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La violenza non esiste più

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Ne "Il declino della violenza", Steven Pinker racconta il migliore dei mondi possibili: il nostro.

Viviamo nel migliore dei mondi possibili, o almeno nel migliore da millenni a questa parte.

Questa, in breve, la tesi che Steven Pinker sviluppa nel torrenziale saggio “Il declino della violenza”, edito da Mondadori.

Come scrive l’autore nella prefazione: “L’argomento di questo libro è forse il fatto più importante della storia dell’umanità. Che ci crediate o no, la violenza è diminuita e oggi viviamo probabilmente nell’era più pacifica della storia della nostra specie”. Nonostante l’uomo del Duemila passi le notti in bianco angosciato da terrorismo, criminalità e guerre, le sue probabilità di morire in maniera violenta sono ai minimi. Da sempre.

Con buona pace dei “bei tempi andati”. Dall’incubo hobbesiano della preistoria, passando per brutalità medievali, Inquisizioni spagnole e due Guerre Mondiali , fino arrivare ai mitici anni Sessanta, certo non paragonabili al medioevo ma particolarmente sanguinosi (basta pensare al destino di quasi tutti i protagonisti dell’epoca – dai Kennedy a  Malcolm X- per realizzare che insieme alle Stratocaster risuonavano anche i Winchester). 

L’harvardiano Pinker – un po’ Virgilio un po’ Beatrice – ci accompagna in un inferno di morte e sofferenze che dura millenni, estraendo dalla sua cassetta degli attrezzi ora una teoria antropologica, ora studi di neuroscienze, ora trattati di politologia. E statistiche, una miriade di statistiche, lì a confermare che l’arco della storia tende verso la pace.

Pinker spiega che l’umanità è passata dalla carneficina degli albori alla relativa sicurezza moderna attraversando sei diverse “rivoluzioni” culturali, ognuna delle quali ha avuto come risultato il progressivo declino  della violenza.

Fra gli elementi decisivi, la formazione di stati democratici, il commercio globale, le organizzazioni internazionali; ma anche, curiosamente, la diffusione di grandi romanzi, (come “Oliver Twist “o “La Capanna dello zio Tom”) cui va il merito di aver denunciato gli orrori contemporanei e di aver fatto immedesimare i lettori con le vittime di quelle storture.

L’impianto ottimistico del saggio, per quanto giustificato, a tratti sembra inopportuno quando si guarda ai numeri dei morti in conflitti o violenze attuali. Che oggi, in proporzione, si muoia meno che ieri e molto meno che l’altro ieri è una magra consolazione per gli abitanti della Siria o del Messico. Scontato, quindi, l’articolo su Foreign Policy di John Arquilla , che ha accusato Pinker di indorare la pillola (la replica dell’autore è stata, prevedibilmente, una cascata di dati difficilmente discutibili).

Che si faccia parte del club degli ottimisti scientifici, o dei pessimisti che pensano che la violenza continui a insanguinare il globo, “Il declino della violenza” è un classico immediato, con cui bisogna fare i conti. Ma è anche l’ avvincente romanzo di formazione di un’umanità in lotta contro il suo lato oscuro, scritto con uno stile fresco e irriverente. Paradossalmente, un libro che non sfigurerà sotto l’ombrellone.

 

a cura di Gian Maria Volpicelli

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