La rivoluzione mite di Ratzinger
E il contropiede di una istituzione millenaria
La rivoluzione mite di Ratzinger
Man mano che la polvere si deposita, tutto diventa più chiaro e contemporaneamente ci si rende sempre più conto della assoluta novità della situazione. Il “pigro” lavoro del vaticanista improvvisamente si rende del tutto nuovo. L’esperienza dei colleghi più anziani, quelli che magari hanno visto più di una elezione, che conoscono tutti i segni nascosti della ritualità vaticana, sembra non fare più alcuna differenza: sono impotenti e quasi smarriti, quanto il più giovane dei colleghi.
La stessa Sala Stampa vaticana, guidata da Padre Federico Lombardi, ha deciso di organizzare nella prossima settimana una serie di briefing per rispondere ad alcune domande apparentemente minori che pure sono emerse tra i giornalisti: come si vestirà? Quale sarà il suo titolo? Resterà cardinale? Cosa farà quando sarà a Castel Gandolfo (dove si ritirerà il 28 febbraio)?
Domande banali per certi versi ma che tuttavia indicano il senso di smarrimento per una situazione insolita e una condizione anomala amplificata dalla mediatizzazione della fase storica in cui viviamo. Le motivazioni del gesto – al netto della dietrologia – sono quasi secondarie al confronto col cambio di paradigma che questa scelta potrà imprimere alla Chiesa di domani.
La stessa Chiesa ne esce rafforzata come sostiene Enzo Bianchi (il priore di Bose), oppure no? Questa scelta relega il Pontefice al rango di un mero funzionario come sosteneva in una trasmissione italiana Roberto D’Agostino (inventore di Dagospia)? Tutte le opinioni al momento sono valide, perché è solo dagli effetti che si potrà comprendere cosa accade a quello che è un unicum al mondo: un piccolo stato di alcune decine di chilometri quadrati che fa da sede alla più influente religione del mondo, di certo tra le più antiche, sicuramente tra le più vivaci anche culturalmente.
Tra i fedeli lo sconcerto è molto, gruppi di tradizionalisti sono inferociti, paradossalmente in sintonia col giudizio di alcuni laicisti radicali che gridano all’ipocrisia. Eppure il sentimento generale – anche sulla rete – è quella della commozione positiva, della preghiera certo, ma di un abbraccio gentile al vecchio teologo a cui si riconosce per lo più coraggio, il coraggio di aver lasciato la Chiesa per non imprigionare la Chiesa in quella che lui stesso percepiva come fragilità: l’età che avanza, forse qualche malattia senile.
La forza di un gesto di apparente debolezza: la rinuncia al potere. Un gesto eminentemente cristiano. Vox Populi, Vox Dei?