La Coppa d’Africa
Il calcio come metafora delle contraddizioni di un continente dimenticato
La Coppa d’Africa
It’s time for Africa, cantava Shakira. Era l’estate del 2010 e a ritmo di “Waka Waka” l’Africa (o meglio il Sudafrica) organizzava per la prima volta un evento sportivo di rilevanza pienamente globale come i Mondiali di calcio. Fu una scommessa vinta, ma anche una goccia nel deserto. Nei tre anni successivi l’Africa è rimasta sostanzialmente esclusa ed ignorata dai circuiti dello sport che conta; un “continente dimenticato”, insomma, non solo dalla politica, dall’economia e dai media globali, ma anche dallo sport.
In una regione in cui la passione per il calcio non è inferiore all’Europa o all’America Latina, la 19° edizione della Coppa d’Africa, che si disputerà dal 19 gennaio al 10 febbraio in Sudafrica, sembra offrire diversi spunti di riflessione. Il primo, come emerge in modo lampante dal video promozionale dello sponsor della competizione, è il perdurare di un’immagine stereotipata dell’“Africa agraria dei villaggi”, “povera ma felice”, ancora in parte influenzata dal mito del “buon selvaggio”. Delle metropoli inquinate, o della crescente diseguaglianza, causata dall’imposizione di fallimentari ricette neoliberiste votate alle monoculture e all’esportazione, non c’è invece nessuna traccia. Comprensibile, visto che si tratta di un video promozionale rispondente a logiche di marketing, ma comunque significativo.
Se si passa all’analisi delle rose delle sedici squadre si osserva che dei 368 giocatori convocati ben 210 (il 57,1%) non gioca in campionati africani bensì è emigrato in Europa, nella Penisola araba o in Asia orientale. L’Africa dunque non esporta solo materie prime ma anche calciatori. I campionati stranieri che offrono il numero maggiore di giocatori alla Coppa d’Africa sono quello francese, inglese, portoghese, spagnolo e belga; tutti Paesi che, non casualmente, in Africa hanno avuto un passato coloniale. Nel continente, invece, le mete preferite dai partecipanti all’edizione 2013 sono il Sudafrica, la Tunisia e il Congo. La performance di quest’ultimo è tuttavia limitata ad un unico club, il TP Mazembe (finalista al Mondiale per club nel 2010 contro l’Inter), che domina regolarmente il proprio campionato anche grazie al contributo cinque giocatori dello Zambia.
Se è possibile interpretare il calcio come specchio della società non sorprende che la vigilia della Coppa d’Africa 2013 abbia vissuto strumentalizzazioni politiche ed episodi di violenza. Il torneo era stato inizialmente assegnato alla Libia di Gheddafi, ma la guerra civile ha imposto il cambio di sede in Sudafrica, che poteva sfruttare le infrastrutture del Mondiale. Paesi come la Somalia, in cui lo stadio nazionale continua ad essere usato a fini Militari, così come le Comore, Gibuti, l’Eritrea, la Mauritania e le Mauritius non hanno nemmeno partecipato al torneo di qualificazione, lo stesso dicasi per il Sudan del Sud (indipendente dal luglio 2011) che è stato riconosciuto dalla Confédération Africaine de Football solamente a torneo iniziato. La sfida di Dakar fra Senegal e Costa d’Avorio, che ha sancito la qualificazione di Drogba e compagni a danno dei padroni di casa, è stata invece sospesa per le violenze dei tifosi di casa che hanno lanciato pietre, invaso il campo e persino esploso colpi di arma da fuoco; tanta paura e diversi feriti, tra cui il Ministro dello sport El Hadji Malick Gakou, autentico obiettivo della rabbia dei tifosi eliminati.
Come ha scoperto sulla propria pelle lo sventurato Gakou, il calcio in Africa suscita passioni talvolta incontrollabili; eppure può rivelarsi anche un formidabile veicolo di consenso. Il Presidente del Togo Faure Gnassingbé, per esempio, si è mosso in prima persona per convincere l’attaccante del Tottenham, Emmanuel Adebayor, restio ad accettare la convocazione per ragioni economiche. In Niger invece, dove la popolazione deve combattere contro la povertà e la carestia, la televisione ha organizzato una colletta allo scopo di permettere alla nazionale di recarsi in Sudafrica e partecipare per la seconda volta della sua storia alla fase finale del torneo. Sono stati raccolti la bellezza di tre milioni di euro, ma la metà sono arrivati dal governo.
Lo scorso anno lo Zambia, costruito da Dario Bonetti prima di venir esonerato e sostituito da Renard a seguito dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica nonostante avesse qualificato la sua squadra, vinse suscitando sorpresa e commozione. Una squadra di primissima fascia come il Camerun ha pagato oltremodo i conflitti fra istituzioni sportive e politiche, nonché le faide interne ed è stata eliminata dalla matricola Capo Verde. Fare pronostici dunque pare un’impresa impossibile, ma Ghana e Costa d’Avorio partono favorite, con il declinante Sudafrica, non fosse altro perché padrone di casa, a svolgere il ruolo di possibile outsider.