L’uomo che studia le stelle
Vita e pensieri di un giovane astronomo
Ho conosciuto Alessio qualche settimana fa qui a Manchester, davanti a un bicchiere di rosso durante un aperitivo organizzato da una piccola vineria dal sapore nostrano aperta da un giovane e talentuoso imprenditore italiano in centro.
Alessio è un astronomo. E io ne sono rimasta subito affascinata. Abbiamo parlato di politica, di scienza e di ricerca. Di quanto è dura certe volte stare lontano da casa.
Alessio è un altro talento che è stato costretto ad emigrare per continuare le sue ricerche. Per inseguire la sua passione. Perchè di vera passione parliamo.
Mi sono ripromessa che, dopo questa lunga assenza, avrei ricominciato parlando di lui. Così una domenica mattina stranamente soleggiata gli ho mandato un’ intervista e lui, con la semplicità e chiarezza che contraddistingue gli uomini di scienza, mi ha risposto.
Questa è la sua storia.
Mi chiamo Alessio Traficante, ho 33 anni e vivo a Manchester da poco piu’ di due anni ormai e sono un ricercatore. Mi sono laureato e dottorato all’Universita’ di Roma Tor Vergata, non molto lontano da casa mia. Prima di venire a Manchester ho vissuto per quasi un anno in California, a Los Angeles, dove ho svolto parte del mio dottorato.
Sono un astronomo, lavoro come assistant research alla University of Manchester. In questo momento mi sto occupando della formazione delle stelle nei loro “primissimi momenti di vita” (nella scienza tutto e’ molto relativo, parliamo comunque di migliaia di anni…).
Nonostante gli enormi sviluppi nella astronomia teorica e nella tecnologia necessaria ad osservare milioni di stelle, ci sono ancora moltissime domande in attesa di risposta riguardo la loro origine, in particolare per quel che riguarda le stelle molto massive, fino a decine di volte il nostro sole. Hanno un ruolo fondamentale nella evoluzione delle galassie e si hanno solidi argomenti per credere che siano state stelle di questo tipo a generare la ricchezza di elementi che costituiscono la attuale generazione di stelle (probabilmente la terza) a cui appartiene anche il nostro sole e, di conseguenza, la terra stessa.
Questa domanda merita due risposte. Sicuramente, soprattutto per un lavoro come il mio, degli anni di esperienza all’estero sono fondamentali. Innanzitutto perche’ le collaborazioni a cui partecipiamo sono spesso formate da team internazionali, ed ogni istituto nel mondo ha delle capacita’ e delle conoscenze spesso peculiari. Avere la possibilita’ di collaborare con diverse universita’ permette di ampliare notevolmente le proprie conoscenze, ma soprattutto permette col tempo di cogliere pregi e difetti delle diverse metodologie lavorative di diversi paesi. In definitiva amplia la propria visione del mondo e del proprio lavoro, e questo e’ un valore aggiunto che solo esperienze di vita all’estero possono garantire.
Questa pero’, purtroppo, e’ solo una risposta parziale. Il lavoro del ricercatore, come molti altri, richiede una certa dose di ambizione che, se ben alimentata, permette di crescere come ricercatore e di produrre risultati utili per l’intera collettivita’. Lo stimolo a produrre sempre meglio (e sempre piu’) deve andare di pari passo col veder riconosciuti i propri meriti ed i propri risultati. Questo per chi ha la volonta’ e, soprattutto, la possibilita’ pratica di provare una esperienza fuori dai nostri confini puo’ essere sperimentato. Questi due aspetti che all’estero viaggiano paralleli, sembrano purtroppo non essere per nulla allineati come dovrebbero oggi in Italia, generando frustrazione e insoddisfazione.
Nonostante le mille difficolta’, o forse proprio come conseguenza di queste, il sistema di insegnamento in cui mi sono formato era ancora validissimo, probabilmente anche al di sopra degli standard europei. La nostra preparazione e’ generalmente piu’ interdisciplinare dei nostri colleghi, dandoci una visione di insieme che nel lavoro del ricercatore e’ fondamentale.
Ragionare al di fuori degli schemi permette di raggiungere delle scoperte innovative e l’universita’ intesa anche come luogo di discussione, di confronto e di crescita, non solo specialistica, sono peculiarita’ della nostra cultura. Anche se forse dovrei dire sono state peculiarita’. Purtroppo quella che una volta era la culla della nostra invidiabile cultura ha subito negli anni tali e tante trasformazioni e ridimensionamenti che oggi non sembra avere piu’ la forza di esercitare il suo ruolo di formazione delle menti liberamente pensanti e molto preparate.
E’ paradossale: le nostre universita’ hanno formato delle persone eccellenti, ma frustrate. Quando si arriva in una universita’ straniera, la prima cosa che spiazza e la fiducia in se stessi che hanno i nostri colleghi. Vengono educati a mostrare il meglio di loro stessi, ad essere premiati per i loro risultati e quindi ad aspirare sempre al massimo. Ci sono addirittura dei corsi per studenti che insegnano come risultare vincenti in un progetto, o quale skill sviluppare per raggiungere un obiettivo. Noi siamo stati, al contrario, formati in una cultura che non premia il merito ne’ le capacita’, e risultiamo spesso poco convincenti non per mancanza di argomenti, ma di fiducia in noi stessi.
Ci sono diversi motivi che giustificano investimenti sostanziali nella ricerca e nell’universita’ per ogni paese che abbia a cuore il proprio futuro.
Molti lavori richiedono una adeguata formazione e permettono di migliorare la qualita’ della vita dell’intera collettivita’. Pensiamo per esempio agli ospedali. Formare dottori di qualita’ permette di ricevere cure migliori in tempi ragionevolmente brevi (e quindi in costi ridotti). Investire in ricerca permette di disporre dei macchinari piu’ all’avanguardia e delle tecnologie necessarie per diagnosi rapide.
Per quanto riguarda l’astronomia o le scienze fisiche in generale, invece, la risposta va articolata su due aspetti. Da una parte c’e’ la la ricerca di base. Con le sue idee innovative, contribuisce allo sviluppo del pensiero e della conoscenza di un popolo, aspetto che puo’ non sembrare tangibile ma che invece ha delle ricadute enormi sulle capacita’ di cambiare ed adattarsi alle sfide future. Pensiamo per esempio alla meccanica quantistica. Se nei suoi aspetti piu’ tecnici e’ stata compresa per anni solo da poche persone, dall’altro lato e’ oggi campo di ricerca teorica e sperimentale per la costruzione dei potentissimi computer quantistici, probabilmente il futuro dell’informatica. Dall’altra parte c’e’ il progresso tecnologico che ha poi riscontro nelle vite di ognuno di noi.
Pensiamo per esempio al grande radiotelescopio SKA, il futuro della radioastronomia da terra che verra’ ultimato prima del 2025, di cui il quartier generale e’ proprio l’Universita’ di Manchester. Sara’ composto da migliaia di antenne dislocate tra il Sud Africa e l’Australia. Ebbene, in un solo giorno la quantita’ di dati che sara’ in grado di raccogliere equivale al doppio dell’intero traffico giornaliero di dati internet mondiale del 2011. Parliamo di una quantita’ spaventosa di dati, per la quale oggi non esiste la tecnologia necessaria ne’ per trasferirli ne’, semplicemente, per immagazzinarli! A questa sfida e’ stata chiamata in causa, per ora, la IBM con un contratto milionario volto a sviluppare la tecnologia richiesta. Questa tecnologia sara’ poi il futuro della trasmissione dati via internet e questo ambizioso progetto diventera’ molto probabilmente la base per i dispositivi di connessione che avremo nelle nostre case future
Da “grande”, se mi passate come un giovane, vedo la carriera accademica. Ho sempre desiderato insegnare la scienza, oltre che impegnarmi nella ricerca. Dove, e’ una domanda che con il tempo si e’ evoluta. Per anni mi sono immaginato in qualche importante universita’ del mondo, in chissa’ quale continente. Ora, dopo aver vissuto quasi un anno in California e da ormai piu’ di due a Manchester, devo dire che, se ho un sogno, e’ tornare a casa. Conoscere gente di ogni paese e’ una esperienza che arricchisce infinitamente, e la consiglio vivamente a tutti. Ma le proprie abitudini, il proprio stile di vita e’ qualcosa di irriproducibile in terra straniera, almeno per me.
E devo ammettere che la risposta e’ molto soggettiva, conosco molte persone che hanno trovato la loro dimensione al di fuori della loro terra di origine. Ma per me, e piu’ in generale per molti italiani, le nostre radici culturali sono un valore prezioso. A questo, si aggiunge quel perenne senso di frustrazione che non si riesce a far tacere. In fondo, nel nostro intimo, tutti noi italiani sappiamo benissimo che si, viaggiare e’ meraviglioso ed anche necessario. Ma non lo stiamo facendo davvero perche’ lo abbiamo scelto. Il nostro paese non ci ha mandati all’estero per permetterci di migliorarci e trarne tutto il vantaggio necessario al nostro rientro, dopo aver investito anni e denaro per formarci. Al contrario, purtroppo, ci spinge ad andare fuori perche’ non vuole e non sa come gestire quella stessa istruzione che ci ha fornito.