Khaled Said c’è ancora
Un viaggio nella storia dell'Egitto rurale
All’interno dell’Egitto, quello meno esplorato dai turisti e dimenticato spesso anche da noi giornalisti focalizzati sul Cairo, si nasconde una buona fetta della Storia del paese e delle persone che lo popolano.
E’ così che mentre ci si addentra nella depressione di Wadi Al-Natrum per visitare i monasteri copti che mettono a nudo l’anima e la storia cristiana del paese si rimane colpiti da un graffito che immortala un capitolo della Storia molto più recente, ma sempre più a rischio di essere eliminata appannata dall’evoluzione che sta vivendo.
Il graffito in questione è dietro i banchetti di un mercatino di frutta, pane, bulloni e lavatrici simbolo dell’economia informale che ancora domina le zone rurali del paese. A sentire i proprietari dei banchetti, qui la rivoluzione è passata, ma non ha lasciato alcun frutto. Eppure proprio alle loro spalle è rimasto quasi intatto un graffito che con la sua semplicità immortala tutta la potenza esplosiva che quella rivoluzione ha avuto.
Protagonista è il giovane Khaled Said, uno che a Piazza Tahrir, quella in rivolta, non ci ha mai messo piede. Un ragazzo di Alessandria martoriato nel giugno 2010 dalla polizia per la sua azione cibernetica sovversiva. Quel ragazzo che ha fatto sentire molti suoi coetanei egiziani a rischio. Vulnerabili, ma non addormentati. Sono loro, urlanti, che prendono per i capelli il vecchio faraone, lo ridicolizzano, come si vede nel graffito, e lo cacciamo.
A guardare la scena un popolo in festa e dei militari che impugnano le armi.
“Il primo sembra ora tornare in letargo, i secondi al potere” mi dice Ahmed, 20enne venditore di frigoriferi.
“E i coetanei di Khaled Said che fine hanno fatto?” gli chiedo io.
“I più determinati sono in carcere. Gli altri manifestano nelle università dove le forze di sicurezza sono tornate a sorvegliare tutti i nostri discorsi.”