Intesa BraSiRiana
La comunità siriana in Brasile convince il governo Rousseff ad aprire il Paese ai connazionali in fuga dal conflitto
Le braccia del popolo brasiliano, solitamente dispiegate e aperte ad accogliere qualunque straniero nella loro terra, sembrano invece conserte per i siriani.
Qualunque sia la vostra nazionalità, se avete bisogno di un visto turistico per soggiornare in Brasile non vi resta che iniziare la raccolta degli innumerevoli documenti richiesti dagli uffici consolari e, una volta in possesso di tutte le carte, pazientare che la flemmatica macchina burocratica brasiliana si metta in moto per emettere il lasciapassare.
Per un siriano è impossibile mettere insieme tutta la documentazione prevista dalla normativa consolare per l’emissione di un visto: certificati giudiziari, estratto conto bancario che registri i movimenti degli ultimi sei mesi e i documenti comprovanti un regolare contratto di lavoro non sono di facile reperibilità in un paese che ha appena conosciuto la guerra civile. Dopo il conflitto, l’economia siriana è collassata e numerose banche e uffici pubblici hanno chiuso i battenti, lasciando la popolazione senza impiego. A questo il Brasile non ha pensato.
Il conflitto scoppiato il 15 marzo 2012 in Siria è la prova di quanto siano arrugginiti gli ingranaggi dell’Itamaraty, il Ministero degli affari esteri, in materia d’immigrazione. Il governo brasiliano prende in considerazione le candidature a “status di rifugiato” solo se il sollecitante si trova già sul suolo brasiliano, ma il complesso iter burocratico per ottenere un visto turistico e volare in Brasile ostacola il regolare processo di espatrio.
Se, in qualche maniera, fosse possibile raccogliere i documenti necessari, non esiste un luogo fisico dove consegnarli: l’ambasciata brasiliana è stata traferita nel luglio 2012 a Beirut, nel vicino Libano, per motivi di sicurezza. A Damasco non sono rimasti che pochi funzionari che si occupano di inoltrare agli uffici diplomatici le pratiche consolari, dilatando i tempi di rilascio fino a quattro mesi. Per snellire la procedura, molti tentano, con difficoltà, di raggiungere la capitale libanese o Amã, in Giordania, dove i servizi consolari brasiliani operano regolarmente.
I dati del Ministero della giustizia rivelano che, dal 2010 a oggi, il Brasile ha approvato 27 richieste di rifugio delle centotrenta ricevute e l’ambasciata brasiliana ha emesso 259 visti a favore degli sfollati siriani. Le cifre equivalgono solo allo 0,01 per cento dei 2 milioni che secondo l’Onu avrebbero lasciato il paese dall’inizio degli scontri.
La preoccupazione per la sicurezza nazionale giustificherebbe la rigida regolamentazione della politica di immigrazione. “Date le circostanze in cui versa al momento la Siria, dobbiamo alzare la soglia di attenzione per non accettare persone che possano compromettere la sicurezza nazionale”, chiarisce un funzionario del Ministero degli affari esteri.
Questa versione non incontra il consenso dei molti siriani che già abitano a Rio de Janeiro o San Paolo. “La Svezia ospita quindicimila profughi siriani dal 2012, sessanta volte quelli accolti dal Brasile. Forse questo Paese non si preoccupa della propria sicurezza nazionale?”, commenta asciutto Amer Masarani.
Masarani ha quarant’anni, cuore siriano in infradito brasiliane. L’accento arabo flette il suo portoghese appreso negli ultimi 15 anni trascorsi a San Paolo. Laureato in ingegneria, si è reinventato commerciante. Insieme a un gruppo di imprenditori brasiliani e libanesi ha messo in piedi l’organizzazione Coordinazione della Rivoluzione Siriana in Brasile, iniziativa che propone di aiutare i siriani che vogliono fuggire dal paese e assisterli dal momento in cui domandano il visto fino al loro atterraggio in Brasile. Masarani e colleghi si muovono anche per cercare un’abitazione e un lavoro a chi espatria, favorendo quanto più possibile la loro integrazione. A oggi, il gruppo ha già aiutato 25 connazionali, soprattutto parenti e amici, e si serve di una pagina facebook per diffondere la propria propaganda contro il regime di Bashar al-Assad.
L’organizzazione ha più volte tentato di coinvolgere le istituzioni brasiliane, ora rivolgendosi al governo, ora all’ambasciata siriana in Brasile. Hanno tentato di convincerli a sposare la loro causa manifestando in strada una trentina di volte, rilasciando interviste alla televisione locale e chiamando l’attenzione attraverso la loro pagina facebook.
La collera dei leader del movimento è andata via via montando di fronte alla silenziosa indifferenza dei piani alti. Secondo Masarani, il governo brasiliano ostacola l’arrivo dei siriani perché appoggia tacitamente il regime di Assad: “Il Brasile non vuole dare visibilità al conflitto”, dice. E accusa, forse troppo duramente, la Presidentessa Roussef, tuonando: “Il Brasile porta ancora le cicatrici della dittatura. Dilma, quando è stata eletta, non ha taciuto le persecuzioni di quegli anni. Oggi invece sembra appoggiare un dittatore”.
Anche un reportage della Bbc datato 9 settembre 2013 aveva contestato le politiche d’immigrazione brasiliane, facendo appello a misure più flessibili per ragioni umanitarie.
La pioggia di critiche ha persuaso il governo brasiliano a cambiare le carte in tavola e a mettersi al riparo di un nuovo quadro normativo per agevolare l’entrata degli immigrati in territorio brasiliano.
Lunedì scorso, Il Conare (Comitato nazionale per i rifugiati), che opera per conto del Ministero della giustizia, ha pubblicato nella gazzetta ufficiale del Brasile una norma che garantisce la concessione di un visto speciale alle persone coinvolte nel conflitto armato in Siria che desiderano raggiungere il territorio brasiliano. Il visto umanitario sarà esteso anche alla famiglia degli sfollati che riceveranno in documento. La nuova norma è già in vigore, vale per due anni, è prorogabile e conta un solo precedente. Dal 2012, infatti, il governo brasiliano ha approvato l’emissione di un visto speciale per gli abitanti di Haiti colpiti dal terremoto che ha distrutto il Paese caraibico nel 2010.
Andrés Ramirez, rappresentante in Brasile dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, si compiace della decisione presa dal governo: “Questa nuova misura risponde pienamente agli appelli reiterati dall’Acnur a favore del popolo siriano in seguito alla crisi umanitaria”.
Ad oggi, l’emergenza siriana conta 130mila morti e oltre 2 milioni di sfollati, riversati, per la maggior parte, nelle regioni al confine col Paese. I dati raccolti dall’Acnur segnalano la presenza di 720mila siriani in Libano, 520mila in Giordania, 464mila in Turchia e 200mila in Iraq. I rimanenti 111mila hanno trovato rifugio in Egitto.