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Innocent

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A Kibera alcune mamme coraggio reagiscono all'emarginazione dei loro figli. Il video di Matteo Osanna ce le fa incontrare.

«L’ho chiamato Innocente, lui non ha nessuna colpa», dice Clarissa, una giovane mamma con un’espressione sempre composta e serena, che si apre al sorriso solo quando guarda Innocent. Stamattina è in coda, fra le poche mamme che aspettano il loro turno nella veranda di Paolo’s Home, a Kibera. Viene qui due volte alla settimana, guarda con attenzione come Janet, la fisioterapista, manipola Innocente, che è fisicamente disabile, e poi ripete i movimenti sotto lo sguardo attento di Janet, così che potrà rifare il trattamento lei stessa, a casa.

Il padre di Innocent l’ha lasciata sola appena gli ha detto di essere incinta. Janet mi fa osservare come il trattamento faccia quasi più bene alla mamma che non al bambino. Clarissa sente, e approva: «Sono ri-motivata, anzi ri-nata, anch’io. Adesso giro a testa alta. Né Innocent né io abbiamo di che vergognarci. Ho letto che due settimane fa, sulla Costa, i membri di una associazione per disabili hanno chiesto di poter far sentire la loro voce a livello di governo locale. Quando crescerà, Innocent saprà farsi sentire».

Quando abbiamo iniziato questo piccolo centro di fisioterapia a fine 2007, sembrava che i bambini disabili fossero pochissimi. Poi, pian piano, la gentilezza e l’attenzione di Janet hanno conquistato le mamme che si vergognavano dei figli disabili e li tenevano nascosti; a volte non trovavano altra soluzione, quando andavano a lavorare, che rinchiuderli a chiave nella baracca in cui abitano. Da gennaio di quest’anno sono oltre novanta le mamme che, ogni settimana, fedelmente, a turni prestabiliti, portano i figli per una o due sessioni di fisioterapia.

La povertà non è solo mancanza di soldi, è mancanza cronica di istruzione, di cure sanitarie, di partecipazione sociale e politica, di sicurezza e libertà, di qualità ambientale e di giustizia. Parlando con Clarissa capisci che comunque non è, o almeno non sempre, mancanza di dignità e di voglia di riscatto.

È difficile reagire all’emarginazione dei disabili. La maggior parte di loro non ha accesso all’istruzione, al lavoro e alla riabilitazione. Sono stigmatizzati a causa di pregiudizi sociali e culturali e, più degli altri bambini, sono vittime di abusi e violenze. Il rapporto tra disabilità e povertà è bidirezionale. La povertà è causa di disabilità – per esempio perché i bambini che sono partoriti in situazioni igieniche carenti possono subire traumi che portano alla disabilità – e la disabilità comporta anche per le famiglie meno povere l’impossibilità di accedere all’istruzione e diventa quindi causa di ulteriore emarginazione.

In questo contesto difficile Paolo’s Home è solo una mano tesa a chi non vuole arrendersi.

Un’altra mamma, su questa stessa veranda, l’anno scorso. Un quotidiano aveva appena pubblicato la storia di una bambina, di poco più di un anno, con una piccola disabilità fisica che era stata abbandonata dalla mamma nella savana, vicino a Eldoret. Non è dato sapere quanto tempo fosse rimasta in quella situazione, forse qualche settimana; il fatto è che fu ritrovata viva e in buone condizioni fisiche perché era stata accolta, protetta e accudita da un branco di scimmie. La mamma, leggendo quella storia, si mise a piangere quietamente, stringendo al seno la figlia di pochi mesi. Poi mormorò come tra sé e sé, ma con voce sufficientemente alta perché tutti potessero sentire: «Anch’io avevo pensato di fare lo stesso. Adesso invece sono fiera di questa mia figlia. Grazie Janet».

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