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Il modello spagnolo è il peggiore..

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Ma per le Coppe (come dimostra l'Atlético Madrid) funziona benissimo.

Il sistema di ripartizione dei diritti televisvi della Liga spagnola, non lo scopriamo certo oggi, è uno dei più sciagurati al mondo; il Real Madrid e il Barcellona si spartiscono il cinquanta per cento della torta lasciando le briciole alle altre 18 squadre. Questa soluzione, sommata alla cosiddetta “Ley Beckham”, che consentiva una tassazione agevolata per le superstar straniere, ha paurosamente inaridito un campionato che, tra la fine e l’inizio del nuovo millennio, aveva assunto piacevoli tinte di imprevedibilità.

Tra il 1994 e il 2004, infatti, oltre alle due superpotenze, anche Atlético Madrid, Deportivo La Coruña e Valencia si erano aggiudicate il campionato, mentre, per effetto della nuova distribuzione economica, nel decennio successivo il campionato ha finito per trasformarsi in un grigio duopolio Barcellona-Real Madrid. Le rimanenti squadre, non solo finiscono per svolgere un mesto ruolo di comparse, ma nemmeno ad inizio campionato possono nutrire una legittima aspirazione al titolo, visto che dalla stagione 2004-2005 ad oggi solo il Villareal, nel 2007-2008, è riuscito a piazzarsi al secondo posto, spingendo sul gradino più basso del podio una delle due regine del calcio spagnolo.

Valvola di sfogo di un sistema impari è stata la Coppa del Re; generalmente snobbata da Barcellona e Real (dal 2000: due vittorie e una finale per i catalani, una vittoria e due finali per i Blancos), si è trasformata in terreno di conquista per Maiorca, Real Saragozza, Deportivo La Coruña, Betis, Espanyol, Siviglia, Valencia, Atlético Madrid e sogno proibito per le finaliste Osasuna, Recreativo Huelva, Celta Vigo, Getafe e Athletic Bilbao.

Questa iniqua distribuzione economica nella spartizione dei proventi tv ha reso la Liga un campionato più avvincente ed incerto di quello scozzese solo perché i Rangers di Glasgow sono falliti, eppure ha portato degli evidenti benefici al sistema-calcio spagnolo nel mondo. Se oggi la Spagna è saldamente in vetta al ranking Uefa, non si deve solamente al favoloso contributo di una generazione d’oro, ma anche, per l’appunto, a delle ragioni sistemiche.

Grazie alle vagonate di soldi dei diritti televisivi (sommata ad oculati investimenti di marketing, stadi di proprietà e generosi prestiti bancari…) il Barcellona e il Real Madrid hanno rafforzato la loro posizione come squadre globali costruite per vincere la Champions. Negli ultimi cinque anni il Barcellona è arrivato sempre almeno in semifinale (sollevando due volte il trofeo), mentre il Real Madrid è finito tra le migliori quattro nelle ultime tre edizioni.

Le medie-potenze spagnole invece, costrette a vendere (spesso proprio a Real e Barcellona) i propri giocatori migliori,  si sono pragmaticamente concentrate sulle competizioni europee (o sulla Coppa del Re), snobbando il campionato. Al di là degli exploit del Malaga e del Villareal in Champions, è stata l’Europa League il terreno di caccia prediletto. Nell’ultimo decennio le spagnole l’hanno vinta cinque volte e Valencia (1), Siviglia (2) e Atlético Madrid (2) hanno finito così per avere più successo in Europa che non in patria.

Investire tutto nelle coppe (minori) può dare quindi i suoi frutti e permette di essere vincenti anche rinunciando ai migliori calciatori delle stagioni precedenti; ne sa qualcosa l’Atlético Madrid, che proprio venerdì, nonostante le continue e dolorose cessioni di giocatori fondamentali (basti citare Fernando Torres, De Gea, Forlan e Aguero), si è tolta la soddisfazione di sconfiggere i cugini ricchi del Real Madrid per la prima volta dopo 14 anni e di sollevare così la Coppa del Re. Dal 1995 non finiva fra le prime tre in campionato eppure dalla stagione 2009-2010 ha vinto due volte l’Europa League e una Coppa del Re.

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