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Giorni di Istanbul

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La Turchia, lo sviluppismo e quel referendum finito nel dimenticatoio

Si fa un gran parlare delle rivolte turche.

Ma cosa accade in realtà? Le manifestazioni di protesta sbocciano a causa della volontà da parte dell’amministrazione comunale di costruire un grande centro commerciale. Che dovrebbe essere edificato al posto di un parco pubblico di Istanbul.

Da qui manifestazioni di protesta contro il governo poco attento alla tutela ambientale. Un precedente questo che ricorda la vicenda bulgara sul finire degli anni ’80. Perché furono dei movimenti ambientalisti il primo nucleo di protesta che portarono alla fine del regime comunista di Zivkov a Sofia (ed è inutile qui analizzare quanto il partito della minoranza turca in Bulgaria di Ahmed Dogan abbia dato un contributo alla caduta di quel sistema).

Ai connotati ambientalisti però si aggiungono anche altri elementi. Perlopiù attraverso una critica feroce all’operato del primo ministro Erdogan. Si critica infatti l’enfasi “sviluppista” in voga da qualche anno a questo parte in Anatolia. Una conseguenza della forte crescita economica della Turchia che spinge i governanti a non considerare gli effetti collaterali di questo stesso sviluppo.

E quindi edificazioni a go go, senza considerare che non si vive di solo cemento. Ma anche di alberi.

Strali e cortei di questo tipo, in una situazione di crescita per il paese, sarebbero stati organizzati contro qualsiasi altro primo ministro. Ma la protesta ha connotati anche specifici e legati all’avversità di parte del paese contro l’attuale primo ministro.

E’ il vecchio tema dell’islamizzazione della società turca che, gran parte della pubblica opinione, legittimamente teme. Alcuni provvedimenti legislativi recenti hanno fato alzare ulteriormente il livello di guardia. Per quanto riguarda il divieto di vendita degli alcolici e del fumo.

E quindi attraverso la miccia ambientalista e le conseguenze di una crescita economica che per quanto positiva deve essere responsabile, parte del paese contesta anche il crescendo di islamizzazione presente nel paese.

Guardando alle prossime scadenze e alla possibilità di eleggere in futuro il Presidente della Repubblica a suffragio universale. Possibilità che renderebbe Erdogan il vero padre-padrone della nuova Turchia.

Per quanto il paese sia stato sempre un’anomalia nel mondo islamico (forse anche per il suo non essere arabo, checché ne dica qualche quotidiano nostrano) e per quanto Erdogan abbia fatto di tutto per far venir meno questa anomalia, ora gran parte della società teme che da un eccesso di laicismo (in cui i generali fanno il buono e il cattivo tempo) si passi ad un eccesso di islamismo (in cui i muezzin fanno il buono e il cattivo tempo).

E la mente non può che tornare al referendum costituzionale del 2011, vinto da Erdogan, che tolse ai militari quei poteri che molto spesso sfociavano nell’abuso e nella possibilità di organizzare colpi di stato “forzati”. Tutta l’intellighenzia mondiale sostenne Erdogan in quell’operazione, che andò in porto. Senza però una doverosa analisi del voto che mostrava un quadro tutt’altro che edificante per quell’operazione erdoganiana: tutte le provincie dell’ovest, affacciate sul Mar Egeo votarono contro quelle modifiche costituzionali. Mentre tutta la zona orientale votò a favore.

Una spaccatura elettorale che tendeva a scardinare troppo un equilibrio, dando troppo peso a zone oggettivamente molto allettate da una possibile islamizzazione del paese.

Del resto un personaggio pacato come il premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk votò contro quella modifica. E non tanto perché amico dei “sanguinari generali” capaci di organizzare un golpe un giorno sì e l’altro pure (anzi). Ma perché quel voto avviava un percorso che faceva venire meno un’eccezionalità turca. Che si sarebbe tramutata non in un’altra eccezionalità in grado di produrre un giusto mix tra elemento islamico ed elemento laico. Ma verso tutt’altra deriva, tipica dei paesi ad est di Ankara.

Per dare al termine “neo-ottomanesimo” una valenza non solo diplomatica ma anche religiosa.

Dalla sottovalutazione di quel referendum costituzionale si sviluppa un movimento di protesta turco che può avere degli sbocchi imprevedibili se non addirittura tragici per tutta la regione.

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