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#FreeAlaa is back

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Ancora una volta in tribunale

L’ashtag #FreeAlaa torna a segnare i tweet che partono dall’Egitto. Alaa Abdel Fattah torna in tribunale, accusato dal procuratore generale di aver provocato gli scontri di venerdì scorso davanti alla sede della Fratellanza Musulmana, sulla collina del Moqattam.

Non c’è due senza tre … verrebbe da dire a chi segue da anni le vicende di Alaa. La prima volta a sbatterlo in carcero fu la giustizia di Mubarak infastidita dal vedere questo giovane che creava in primo aggregatore di blog grazie al quale, dal 2005, iniziavano a circolare discorsi “sovversivi”. La seconda volta furono i militari, nell’ottobre 2011, proprio mentre la moglie stava per dare alla luce loro figlio @KhaledAlaa. Ora è la giustizia del nuovo regime a convocarlo in aula, dove Alaa arriva con la divisa carceraria indossata l’ultima volta e il figlio, cresciuto, in braccio.

Gli altri accusati hanno deciso di non presentarsi davanti a quello che ritengono un tribunale fazioso. Lui invece spiega sul suo account Facebook che lo fa per evitare ritorsioni sulla sua famiglia.

Questa la traduzione del messaggio di Alaa, fatta da sua zia, Adah Soueif, una delle più note scrittrici egiziane della diaspora famosa soprattutto in Gran Bretagna.

I’ve decided to go to the Prosecutor tomorrow mid-day, for I will not expose my wife, my son and my home to the practices of the Police if they decide to carry out the detention order.

The order itself is proof of the corrupt nature of the case and the bias of the Prosecutor-General towards the Muslim Brotherhood and the Office of the Supreme Guide.

I have never failed to respond to a legal summons, even when it came from an institution whose legitimacy I did not accept – like the Military Prosecutor. The only explanation for the detention order, and its fevered announcement in the media, is that the Public Prosecutor is instigating the Police and the followers of the MB to act with violence towards the accused. Tomorrow, therefore, I will demand that the investigation be carried out by a judge so that we can be sure of a level of neutrality, since these accusations are directed at political opponents of the MB – the MB to which the Public Prosecutor belongs.

Alaa proviene da una famiglia da sempre all’opposizione. Suo padre, Ahmed Seif al Islam, è uno dei più noti avvocati egiziani, un uomo che ha a sua volta scontato cinque anni di galera per la sua attività sovversive durante il regime del deposto raìs. A completare il quadro di questa famiglia dissidente sono la sorella Mona, fondatrice della commissione contro i processi civili nei tribunali militari, e la madre, Leyla Soueif, professoressa alla Cairo University.

Dopo il primo rilascio, Alaa era andato via dall’Egitto con la moglie, ma era tornato dal Sud Africa a gennaio 2011 per partecipare alla rivoluzione. Quando è tornato non ha avuto dubbi sul nome da dare al figlio, Khaled, in onore di Khaled Said, il blogger picchiato a morte dai poliziotti nel giugno 2010, divenuto simbolo della primavera egiziana.

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