Dr. Gonzo, il reporter che scriveva sotto acidi
Vita-delirio e suicidio di Hunter Thompson
Dr. Gonzo il reporter sotto acidi
Sotto a una pila dimenticata di libri ho ritrovato nel fine settimana “The Curse of Lono”, delirio hawaiano di Hunter Thompson con il contributo grafico del suo leggendario “partner in crime” Ralph Steadman, scovato alla Taschen di Parigi in rue de Buci qualche anno fa. La vita da schizzato di Hunter Thompson reclamava da tempo un ritratto e per l’occasione mi sono procurato il documentario di Alex Gibney, mai uscito in Italia.
Thompson è ricordato principalmente per i suoi eroici reportage su Rolling Stone all’inizio degli anni Settanta in cui racconta eventi sportivi e campagne elettorali sotto effetto costante degli acidi. Un giornalismo soggettivo, disancorato dai fatti, che un collega del Boston Globe Magazine definì “gonzo”.
Ammiratore di Scott Fitzgerald, vuole a tutti costi narrare il sogno americano sulle orme del Great Gatsby, ma una cosa li divide: “Fitzgerald loved to stare at the candy store windows, Hunter preferred to smash them”. Iracondo come Carmelo Bene, bizzoso e umorale come Giancarlo Fusco, non riesce a obbedire ad alcuna regola, solo ai suoi vizi: “I hate to advocate drugs, alcohol and violence, but they have worked for me”.
Il documentario narra l’esordio letterario a Puerto Rico, l’anno “embedded” tra gli Hells Angels, il suo tentativo di farsi eleggere sceriffo ad Aspen (“I am a moralist posing as an immoralist, whereas Nixon is an immoralist disguised as a moralist”), l’odissea lisergica di “Fear and Loathing in Las Vegas”, l’avventura politica di George McGovern che gli ispira “Fear and Loathing on the Campaign Trail”, l’amicizia con Jimmy Buffett, Jack Nicholson, Johnny Depp.
Nella seconda metà degli anni Settanta la sua vena si inaridisce, viene mandato a Kinshasa per l’incontro del secolo Ali vs. Foreman, ma si perde il match preferendo restare nella piscina dell’albergo, in compagnia delle rituali “four margaritas and a six pack of Heineken beer”.
Il Dr. Gonzo ha capito di aver perso “the juice”, è prigioniero del personaggio che ha creato. Vive di rendita per tre decenni, poi un giorno decide di non mentire più a se stesso.”No More Games. No More Bombs. No More Walking. No More Fun. No More Swimming. 67. That is 17 years past 50. 17 more than I needed or wanted. Boring. I am always bitchy. No Fun- for anybody. You are getting Greedy. Act your old age. Relax- This won’t hurt”.
Si spara un colpo in testa, nella piena consapevolezza della scelta, coerente con la sua filosofia di vita: liberi anche nel come morire. L’immagine di Hunter Thompson in bermuda, camicia hawaiana, converse bianche, occhiali scuri, Dunhill in bocca e Tilley in testa è di quelle che non si dimenticano.