Decalogo Scozzese
Tutto quello che c'è da sapere sul referendum in Scozia: prospettive, criticità e cialtronate varie
La vicenda del referendum scozzese (18/09/2014, segnatevi questa data) pone molti punti interrogativi e soprattutto molte incognite in tutto il panorama politico europeo (se non mondiale).
Un paio di appunti per capire di cosa stiamo parlando cercando di delineare prospettive, criticità e cialtronate varie:
Lungi dal parafrasare la celebre battuta sui Panda Pechinesi nella zo di Edimburgo (“ormai in Scozia ci sono più panda cinesi che rappresentanti dei Conservatori in Parlamento”) lo scontro in atto in queste ore nel Regno Unito è quello tra il fronte unionista e quello per l’indipendenza della Scozia. Fanno parte del primo gruppo i due partner di governo del Partito Conservatore (che poi in realtà si chiamerebbe proprio “Partito Unionista”) e del Partito LiberalDemocratico.
Contrari all’indipendenza e allo smembramento dell’Unione anche il Partito Laburista di Ed Miliband, seconda forza politica del paese e capofila dell’opposizione a David Cameron. Vedono col fumo degli occhi le velleità secessionistiche del nord anche forze politiche extraparlamentari come il British National Party di Nick Griffin e l’Ukip di Nigel Farage. Ebbene sì, checché ne dica qualche giornalista nostrano l’Ukip…non è un movimento indipendentista scozzese!
A guidare il fronte indipendentista ovviamente lo Scottish National Party del primo ministro Scozzese Alex Salmond. Il Plaid Cymru (partito “omologo” del SNP per il Galles, anch’esso con propri rappresentanti a Westminster) aspetta e (non) spera.
In molti si chiederanno “Salmond Primo Ministro Scozzese? Ricciardelli ma che dici? Ma allora la Scozia è già indipendente?”.
Andiamo con ordine: a seguito della morte del leader laburista John Smith, Tony Blair divenne leader dell’allora opposizione al governo Major. Aiutato da una nuova generazione di esponenti politici (Brown, Mandelson, ma anche Prescott e Straw) Blair rivoluzionò il partito tratteggiando quella “Terza Via” capace di cambiare il Labour e di andare oltre la “Old Left” di Attle e la “New Right” (ma non ditelo a Milton Friedman) della Thatcher.
Tra i cambi di approccio della politica blairiana c’era una grande attenzione legata al tema delle autonomie locali: Blair infatti era inglese, ma nato ad Edimburgo ed eletto per la prima volta in Parlamento nel collegio di Aberdeen (1983). Era insomma molto sensibile al tema. Per quanto riguarda Brown poi si trattava di uno scozzese a tutti gli effetti. Per intenderci: alle qualificazioni Uefa o Fifa…mica teneva per l’Inghilterra. Andate a leggervi la sua scheda personale sul sito di Westminster…
Questo nuovo approccio, una volta vinte le elezioni generali nel ’97, spinse al varo di una “devolution” (se ne parlò anche in Italia, in tutt’altro modo): fu conferita dunque maggiore autonomia a Scozia e Galles: alla prima venne concesso un Parlamento (e un Primo Ministro), al secondo un’Assemblea. Al tempo stesso con i famosi “Accordi del Venerdì Santo” Blair stabilizzò anche la situazione nord-irlandese proponendo governi d’unita nazionale tra anglicani (maggioritari a Belfast e dintorni) e cattolici.
Il fatto è che nel 2007, poco prima delle dimissioni di Blair da Downing Street, per la prima volta dalla sua istituzione il Parlamento Scozzese perse la sua maggioranza Laburista. Vedendo il trionfo del Partito Nazionale Scozzese e del suo leader Salmond. Da qui la lunga battaglia verso maggiori gradi di autonomia e verso il referendum di giovedì.
Si parla della vittoria del Sì al referendum come un aspetto che può influenzare l’Europa verso rischi di emulazione (basti pensare al caso catalano). Ma in pochi parlano degli aspetti pratici che può avere sul panorama politico nazionale. Coerenti col già citato motto dei Panda, con una Scozia fuori da Regno si renderebbe di fatto impossibile una futura affermazione elettorale dei Laburisti alle elezioni generali. Il Labour da sempre va fortissimo in Scozia e ciò non potrà che influenzare molte dinamiche politiche. Basti pensare che alle elezioni politiche i Laburisti nel nord del Regno si sono sempre presentati con la dicitura “Partito Laburista Scozzese”.
Paradossalmente è dunque il fronte delle destre che si avvantaggerebbe di questa secessione…ma a quale prezzo!
L’esito di questo referendum sarà combattuto fino all’ultimo. Del resto la pancia o la testa degli elettori non pende radicalmente verso uno dei due fronti. C’è però da dire che il fronte unionista (ormai Cameron, Miliband e Clegg fanno comunella tutti i giorni in Scozia per la campagna elettorale) stanno facendo di tutto per rafforzare il fronte del Sì all’indipendenza.
A parte le voci sparse che minacciano una Scozia senza più sportelli bancari in grado di emettere sterline in caso di vittoria indipendentista, è l’idea del blocco nazionale contro l’indipendenza ad essere rischioso politicamente. Al tempo stesso il fronte unionista non avrebbe dovuto promettere “maggiori competenze in caso di vittoria”, bensì in maniera soft porsi il tema politico della questione: il federalismo asimmetrico britannico ha fallito, in quanto una volta concesse maggiori autonomie ad una determinata parte del Regno questa ha subito rivendicato la volontà d’indipendenza.
Una riflessione che dovrebbe coinvolgere seriamente al proprio interno tutto il Partito Laburista, artefice di queste riforme costituzionali.
Pure quando si parla di una vittoria del Sì, i giornalisti nostrani non colgono molti punti strettamente politico-istituzionali. In primo luogo: l’esperienza scozzese non è minimamente comparabile con quella irlandese del 1949. Se vince il Sì la Scozia diventa uno stato indipendente dal 2016, ma pur sempre membro del Commonwealth. Il Capo dello Stato rimarrebbe la regina/il re del Regno (Dis)Unito, che nominerebbe un proprio governatore in loco.
Alle elezioni generali del prossimo anno verosimilmente l’SNP parteciperebbe comunque. Ma è altrettanto probabile che ritirerebbe la propria delegazione parlamentare una volta sancita l’indipendenza.
Al tempo stesso lo Scottish National Party, pur avendo ottenuto l’obiettivo politico per eccellenza, si troverà in una situazione di estremo rischio. In quanto dovrà del tutto reinventarsi nella nuova situazione. Salmond è uno degli esponenti dell’Alleanza Verde (sic) al Parlamento Europeo. Sfrutterà questo canale o diventerà il Tory della Scozia indipendente?
La Scozia indipendente non sarebbe membro dell’Unione Europea. Dovrà dar vita a dei negoziati con le istituzioni comunitarie per concordare un suo ingresso (in una delicatissima contingenza economica). Dal 2104 al 2016 la Scozia avrebbe l’occasione per stabilire il suo sistema monetario, ma non è esclusa una fuga di capitali verso l’Inghilterra considerando che anche il Trattato di Schengen e la libera circolazione dei capitali è qualcosa che va concordata in sede sovranazionale.
Incognite, dubbi e molte perplessità che potranno avere una risposta (parziale) solo nella tarda serata di giovedì 18.