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Da KK a HH

Immagine di copertina

Si presentano in sette alle elezioni presidenziali in Zambia. Due i principali contendenti: l'uscente Edgar Lungu e Hakainde Hichilema.

Sette partiti presentano
un candidato alle elezioni presidenziali, che si terranno l’11
agosto prossimo in Zambia. Fra di loro una sola donna, Edith Nawakwi,
che si è già presentata due volte ottenendo meno dell’1%.

Sarà l’ottava volta dal
1991
che gli zambiani vanno alle urne per eleggere il presidente, e
la sesta volta per rinnovare il parlamento. In questo periodo, fatto
unica nella storia africana recente, due presidenti sono morti per
malattia mentre erano in carica, Levy Mwanawasa, nel 2008, e Michael
Sata, nel 2014, con le successive elezioni per scegliere chi doveva
completare il mandato. In precedenza, dall’indipendenza del 1964 al
1991, le elezioni erano state solo una formalità per riconfermare in
carica Kenneth Kaunda, popolarmente conosciuto come KK, il leader che
aveva portato il paese all’indipendenza.

Una storia complicata
quella delle votazioni presidenziali in Zambia, ma pacifica. Non
solo i presidenti morti in carica non sono stati avvelenati e non
sono decaduti per colpi di stato, ma le transizioni sono tutte
avvenute pacificamente
, cosa non scontata in altri paesi africani.
Anche quelle più difficili – come da KK a Frederick Chiluba nel
1991 e da Rupiah Banda a Michael Sata nel 2011 – sono avvenute nel
rispetto delle regole e senza violenze. Merito di KK che ha saputo
creare, con il suo iniziale “umanesimo zambiano”, un senso di
unità nazionale al di sopra di ogni possibile divisione etnica.
Anche se nella seconda parte della sua lunga presidenza, ha rovinato
l’economia zambiana perseguendo assurde e mal realizzate ricette di
“socialismo scientifico”, che hanno trasformato quello che negli
anni 60 veniva considerato negli anni 60 uno dei paesi piu
promettenti in uno dei paesi più poveri del continente. Con anche il
contributo dell’AIDS, la cui esistenza é stata negata da KK fino a
che il suo primogenito ne è morto.

Gli sfidanti.

Edgar Lungu del Patriotic front (Pf), avvocato datosi alla politica,
è il presidente in carica. Ha assunto il potere solo nel gennaio
dello scorso anno, con le elezioni indette dopo la morte di Sata. Non
è particolarmente amato, la sua elezione è avvenuta anche perché
alla morte di Sata il vicepresidente era Guy Scott, uno zambiano
bianco, di origine scozzese, e sarebbe sembrato paradossale eleggerlo
come presidente. Il suo avversario più temibile è Hakainde
Hichilema dell’United party for national development (Upnd), che
ama farsi chiamare HH
, un forte richiamo a KK. È un businessman, di
umili origini, riscattatosi attraverso borse di studio all’estero,
e oggi proprietario di grandi allevamenti di bestiame: è un perenne
candidato alla presidenza. Infatti, ha già partecipato alle elezioni
del 2006, del 2008, del 2011 – arrivando terzo – e nel 2015,
quando è stato battuto da Lungu per un soffio: 27.757 voti, solo
l’1,66%. In quell’occasione denunciò brogli elettorali, ma
invitò i suoi sostenitori a rimanere calmi.

Lungu nelle ultime
settimana ha accettato il sostegno dei “Christians for Lungu”,
cristiani di diverse chiese che nei loro rally non esitano ad
accusare HH di essere massone, pur se HH da parte sua vanta
un’appartenenza senza ombre agli Avventisti del Settimo Giorno. In un
paese che si professa formalmente “cristiano” non sembra però
che questa possa fare la differenza in cabina elettorale.

Il fattore etnico è
sempre stato abbastanza secondario nella politica zambiana. Sinora i
presidenti sono stati bemba (del nord) o chewa (dell’est), a parte
Sata, originario di un piccolo gruppo etnico delle vicinanze di
Lusaka. Anche il fatto di aver avuto Guy Scott – nato in Zambia da
padre scozzese e madre inglese – come vicepresidente e presidente
ad interim, fa capire
l’approccio inclusivo della società zambiana. In caso di vittoria,
Hichilema sarebbe il primo presidente proveniente dalla parte
occidentale della Zambia, dell’etnia tonga.

Ci sono stati, tuttavia,
segnali allarmanti che la tradizionale tolleranza possa incrinarsi di
fronte a chi incita alla violenza e a chi tenta di reprimere ogni
dissenso. I vescovi cattolici, in una nota pastorale dello scorso
gennaio, hanno richiamato i partiti che «non sono riusciti a
estirpare la violenza politica», chiedendo ai giovani di «non
prestarsi a essere usati dai politici come semplici strumenti di
violenza». Nella nota episcopale si condanna anche «l’applicazione
selettiva delle leggi sull’ordine pubblico a favore del partito al
potere».

Più recentemente anche il
Council of Churches della Zambia, di cui fa parte anche la Chiesa Cattolica, ha
richiamato ancora Lungu ad esercitare la sua autorità per fermere i
segni di violenza politica.

Comunque, ad oggi, si sono
verificati episodi di scarsa gravità, soprattutto violenza verbale,
lo stracciare i cartelli elettorali degli oppositori, od ostacolarne
i comizi.

Mentre la violenza esplosa
lo scorso aprile in un quartiere di Lusaka contro immigrati rwandesi,
un fatto inusuale per la cronaca zambiana, non pare avesse alcuna
relazione con le imminenti elezioni.

I tempi sono comunque duri
e la situazione economica non gioca a favore di Lungu, che
l’opposizione indica come il responsabile nonostante sia al potere
da poco più di un anno. Chiunque vincerà le elezioni dovrà
affrontare sfide difficili.

Ben due terzi della popolazione vive al di sotto della soglia di
povertà. Esistono due economie: quella visibile nei lussuosi centri
commerciali, dove l’elettricità e l’aria condizionata sono
garantiti da potenti generatori privati; e quella dei quartieri
poveri, dove la corrente manca 8 o anche 16 ore al giorno e chi ha
piccole officine e attività produttive è costretto a lavorare nelle
ore più strane, quando c’è l’elettricità. Per molti zambiani
la questione fondamentale non è chi sarà il prossimo presidente, ma
che cosa mettere in tavola da mangiare ogni giorno. Il costo della
vita è aumentato del 20% dall’inizio dell’anno per l’inflazione,
e la disoccupazione è pure aumentata.

La corruzione è
pervasiva
. Lee Habasonda, responsabile della sezione zambiana di
Transparency International, in un’intervista alla
Bbc,
ha accusato Lungu di proteggere alti funzionari accusati di
corruzione, incluso l’ex presidente Rupiah Banda. Anche se la
stampa zambiana è straordinariamente libera se confrontata a quella
dei paesi confinanti, i giornali più aggressivi contro la
corruzione, come
The Post,
hanno subito pressioni, con visite della polizia in redazione.

Un tema non entrato nella
campagna elettorale, al contrario del passato, è quello della
presenza cinese nell’economia zambiana. Da quando, nel 1998, i
cinesi hanno acquistato la più grande miniera di rame del paese, la
loro presenza è diventata pervasiva. L’ex presidente Sata aveva
tentato di affrancarsi: nella campagna elettorale del 2006 aveva
promesso che in caso di vittoria avrebbe riconosciuto Taiwan e non
Pechino. Ma, eletto nel 2011, ha dovuto rimangiarsi ogni promessa.

Nel settembre del 2014,
secondo il ministero dell’interno, vivevano in Zambia quasi
ventimila lavoratori cinesi, quasi tutti concentrati a Lusaka e
dintorni. Se si considera che con un permesso di lavoro possono
entrare anche i familiari del lavoratore, non è azzardato calcolare
che la cifra complessiva sfiori i centomila. Non gestiscono più solo
miniere, ma anche compagnie di costruzione, alberghi, negozi,
fattorie, allevamenti di polli. Le maggiori infrastrutture costruite
recentemente sono state finanziate e costruite da Pechino. Si calcola
che nel paese ci siano oltre 500 compagnie cinesi, con investimento
pari a 3 miliardi di dollari. Una presenza imponente in una economia
fragile: gli zambiani l’hanno accettata come un dato di fatto
inevitabile.

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