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Crisi istituzionale a Tunisi

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I lavori dell'Assemblea costituente sono stati interrotti, mentre il partito Ennahda si trova in una crisi di governo

Martedì 6 Agosto i lavori dell’assemblea costituente tunisina sono stati temporaneamente interrotti. “Dopo l’abbandono di massa dell’assemblea da parte di più di 70 parlamentari di opposizione il presidente della Costituente Mustapha Ben Jaafar non ha avuto altra scelta” spiega Fabio Merone, ricercatore dell’università di Dublino.

La crisi politica tunisina è stata innescata dall’omicidio di Mohamed Brahmi, il 25 luglio scorso. Il leader del movimento nasseriano Hezb Al Shaab, che fa parte del raggruppamento noto come “Fronte popolare”, è stato ucciso con undici colpi di arma da fuoco da due uomini che sono poi fuggiti in motocicletta. L’omicidio è arrivato sei mesi dopo l’esecuzione di Chokri Belaid, anch’egli esponente dell’opposizione del Fronte Popolare, il 6 febbraio scorso. Fonti della polizia sostengono che l’arma utilizzata per uccidere Brahmi sia la stessa che fu utilizzata dai i sicari di Belaid.

I responsabili dei due omicidi politici non sono stati identificati. Fin da subito, tuttavia, i sospetti sono convogliati sui gruppi salafiti. Per la sinistra, i salafiti agiscono come il braccio armato del principale partito di governo, Ennahda. 

Per sedare le proteste dopo l’uccisione di Belaid è stato necessario un consistente rimpasto di governo. Il primo ministro di Ennahda Hamadi Jebali si è dimesso ma per calmare le acque sono saltate anche le teste del ministro degli Interni, Esteri e Giustizia.

Questa volta però la crisi istituzionale è decisamente più grave. A partire dal 25 luglio uno dopo l’altro ben 73 deputati dell’opposizione hanno abbandonato l’Anc (Assemblea Nazionale Costituente) rifiutandosi di proseguire i lavori. Il 6 agosto si è svolta la prima seduta dopo l’omicidio di Brahmi nella quale non si è fatto altro che prendere atto dell’impossibilità di continuare i lavori. Lo stesso giorno Tunisi è stata invasa da una manifestazione per l’anniversario semestrale dell’omicidio Belaid che, sull’onda dell’assassinio di Brahmi, ha portato per in strada circa 95 mila persone.

Ad alimentare la tensione concorrono anche i fatti di “Jebel Chaambi” (monte Chaambi), al confine con l’Algeria. La regione di Kasserine, dove si trova la città, è da sempre marginalizzata e caratterizzata da alti tassi di criminalità in buona parte dovuti al contrabbando con l’Algeria. A partire dal 2012 l’esercito ha cominciato a confrontarsi con gruppi armati che secondo le autorità tunisine sarebbero riconducibili ad “al-Qaeda nel Maghreb islamico” (Aqim). Quattro giorni dopo l’uccisione di Brahmi otto soldati hanno perso la vita in un’imboscata tesa ad una pattuglia dell’esercito. I criminali hanno sgozzato le vittime dopo averle uccise. Nei giorni successivi l’esercito ha reagito duramente bombardando a tappeto il promontorio: “oggi la montagna è nera, da Kasserine dove mi trovavo ieri si vedeva la montagna bruciare” racconta l’attivista italiana Debora Del Pistoia.

Nel frattempo dal giorno dell’omicidio l’opposizione ha convocato un sit-in permanente davanti all’Anc, nel quartiere agiato del “Bardo”. Promosso da Fronte Popolare, Nidā’ Tūnis (chiamata per la Tunisia) oltre ad altre formazioni politiche minori, il sit-in è riuscito a chiamare a raccolta diverse migliaia di persone. Le richieste sono dimissioni del governo e lo scioglimento della Costituente, instaurazione di un governo di salvezza nazionale e di un’istanza mista di “saggi” che ultimi la costituzione.

L’Ugtt, storico sindacato dei lavoratori, ha aderito alla richiesta di dimissioni del governo ma rifiuta lo scioglimento della costituente, unica istituzione legittimata da voto popolare. Il 29 luglio la polizia tunisina ha deciso di sgomberare e recintare con il filo spinato la piazza antistante il Bardo. 

L’Assemblea Costituente, nata con le prime elezioni libere del 23 ottobre 2011, aveva in teoria 12 mesi per portare a termine i lavori. Da allora, una dopo l’altra, sono state fissate date “ad effetto” per l’ultimazione dei lavori: prima il 23 ottobre (anniversario delle elezioni libere) poi 17 dicembre (anniversario dell’inizio della rivoluzione con l’immolazione di Bouazizi) e 14 gennaio (giorno della fuga di Ben Ali in Arabia Saudita).

Di anno in anno, però, le scadenze sono state rinviate. Ora i lavori sono addirittura interrotti in attesa che, con la fine del Ramadan, arrivino anche gli accordi politici necessari a superare la paralisi politica. L’alternativa è il caos, in un contesto economico-sociale d’emergenza.

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