“Ho vissuto 25 anni da senzatetto, se volete davvero aiutarli ecco l’unica cosa che serve”
Un australiano ha scritto un libro su cosa voglia dire vivere da senza fissa dimora tra vessazioni e invisibilità
“La vita da senzatetto è una dura, dura lotta. Sei sempre affamato, sei sempre stanco e la società pensa sempre il peggio di te”. Gregory P. Smith, un uomo australiano, ha deciso di raccontare i 25 anni in cui ha vissuto da clochard, dormendo per le strade di Sydney, Brisbane e non solo.
In un articolo pubblicato sul Guardian per lanciare il suo libro autobiografico Out of the Forest, edito da Penguin Random House, Smith spiega che ogni senzatetto ha una storia diversa che lo ha portato a dormire per strada, ma tutti hanno qualcosa in comune: “sanno cosa vuol dire essere emarginati”.
Gregory P. Smith si è trovato senza fissa dimora dopo un’infanzia “devastata dalla violenza domestica” e dopo alcuni anni traumatici in un orfanotrofio e una detenzione in un carcere minorile.
Per 25 anni, Smith ha girovagato per lo stato australiano del Nuovo Galles del Sud, trascorrendo giorni e notti nei villaggi sulla costa e nelle città dell’entroterra, ma anche nel North Queensland, a Cairns, Townsville, Rockhampton e Mackay.
“Ho fatto uso di droghe e alcol per auto-curare la mia malattia mentale”, ammette l’autore, “e questo senza dubbio ha fatto sì che la gente a mi vedesse come un barbone ubriaco che ha preferito la bottiglia a una vita migliore. Ma nessuno sano di mente avrebbe mai scelto la vita che ho vissuto”, sottolinea Smith, che definisce “un incubo a occhi aperti” la vita dei senza fissa dimora.
Smith dice di aver dormito “su puzzolenti schizzi di urina nei bagni pubblici, nei bidoni della spazzatura industriali ricoperti di sporcizia, su binari ferroviari, nei locali delle caldaie, in chiese di campagna o in grandi sacchetti di plastica al lato di una strada”.
L’ex senzatetto sostiene che nel bel mezzo della notte la polizia lo prendeva regolarmente a manganellate sullo sterno o gli dava calci nelle costole dicendogli di togliersi dalle scatole (“per andare dove, non saprei”, aggiunge).
In alcuni casi, sono stati anche civili a prendersela con lui. Smith ricorda i terribili giorni successivi, in cui aveva il corpo pieno di lividi ed escoriazioni. Guardava le persone intorno a lui e pensava: “sei stato tu a farmi questo?”.
“Sono arrivato a vedere la società – le persone ben vestite con lavoro, casa, cibo, famiglia, amici e stabilità – come un rafforzamento dei miei sentimenti di vergogna e auto-disgusto”, racconta. “Per la maggior parte di loro, essere senzatetto significa essere trasparenti. Nella mia esperienza, la stragrande maggioranza dei passanti fa finta che la sfortunata anima sulla panchina del parco o rannicchiata sul marciapiede del centro città di fronte a loro semplicemente non ci sia. Mi guardavano come se fossi fatto di vetro”.
“In un modo contorto, a volte essere preso a bastonate mi sembrava meglio rispetto all’invisibilità generale. Almeno i teppisti mi consideravano”, confessa.
Dopo 15 anni di questa vita, Smith si è recato nella foresta pluviale nella costa nord dell’Australia.
Vivere in quella foresta gli risparmiava l’umiliazione di essere ignorato dalla popolazione. Era lui, stavolta, a scegliere ignorare come un eremita il resto del mondo. Ma neanche lì è stato facile.
“Durante gli anni folli e caotici che ho vissuto nella foresta, la mia salute – sia fisica che mentale – è costantemente peggiorata al punto che sapevo che sarei morto se fossi rimasto lì”, scrive.
A spingere Smith a tornare in mezzo ai suoi simili è stata la consapevolezza che se fosse morto nella foresta, le persone a lui care, per quanto allontanatesi da lui, non avrebbero mai saputo cosa gli fosse successo. Per questo ha abbandonato la foresta (da qui il titolo del suo libro).
“Nel decidere di dare alla società un’altra possibilità, ho giurato di essere la migliore versione di me stesso possibile”, dice Smith. “Per quanto ci fosse una tendenza per le persone a evitare i senzatetto, mi sono reso conto che anche io avevo allontanato il mondo da me. Abbassando leggermente la guardia, ho permesso alle persone di entrare nella mia vita”.
Quando le persone chiedono a Smith come devono comportarsi quando incontrano una persona senza fissa dimora, lui risponde: “forse non puoi fare la differenza per le condizioni di quella persona, ma puoi fare la differenza su come la vedi. Molti sono feriti dalla vergogna e dallo stigma di essere senzatetto. Non fingere che non esistano: anche loro sono persone”.