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Charlie, non penso con slogan

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Islamizzazione dell’Europa? Il pericolo è rappresentato da donne come Hayat. Il Papa può fare molto. Schengen? Non cambierà nulla

I fatti di Parigi sono da giorni su tutte le prime pagine dei giornali del mondo. I morti di Charlie Hebdo, la mega caccia all’uomo in Francia, i milioni di francesi in piazza con le matite alzate, tante e forse troppe le cose da raccontare, gli interrogativi da sciogliere, le paure da esorcizzare. Il terrorismo, come spesso in questi casi, ha sempre una mano visibile (i killer, i kamikaze) ma quasi mai un volto. E allora c’è davvero il fondamentalismo islamico dietro a queste azioni che spargono morte e sangue in Occidente? L’Europa rischia veramente una musulmanizzazione?

Per cercare di dipanare questi e altri dubbi, l’Agenzia Giornalistica Repubblica ha intervistato chi per lavoro, e non solo, si è occupata e si occupa del mondo islamico. E’ il caso di Susan Dabbous, 32 anni, giornalista. Dopo un paio di anni con base a Beirut, oggi vive tra Roma e Gerusalemme. Una donna ed una giornalista che ha visto dal di fuori e vissuto dal di dentro il “fenomeno Islam”, anche se la semplificazione non rende bene l’idea.

I fatti di Parigi dimostrano che l’estremizzazione di ogni genere, genera follie di questo tipo. Ma la religione quanto c’entra in tutto questo?

“La religione purtroppo c’entra, e come. Forse non c’entra Dio, né la fede, ma la religione è il condotto attraverso il quale far passare il messaggio degli estremisti che alternano il bastone, o il kalashnikov, e la carota, la pace interiore trasmessa attraverso la preghiera rituale. Se per religione intendiamo invece la Religione con R maiuscola, ovvero quell’insieme di insegnamenti e precetti tradizionali con un capo preghiera (e non un leader politico) allora forse c’entra poco. In questo caso specifico, è innegabile che gli autori della strage di Charlie Hebdo si rifacessero a uno dei pilastri dell’Islam che vieta la rappresentazione (di alcun genere, tantomeno antropomorfa) di Dio e del profeta Mohammed. Detto questo però sempre per l’Islam uccidere è peccato. La pena di morte è prevista in casi specifici. Nel Corano i miscredenti avranno la giusta punizione divina, perché Dio vede nei cuori della gente, non sta agli uomini giudicare e punire gli atei o i miscredenti. Tecnicamente la strage di Charlie Hebdo non troverebbe legittimazione alcuna”.

Non pensi che al Qaeda o l’Isis o altri sfruttino solo la grande presa sulle coscienze dei musulmani delle parole di Maometto più di quanto riescano a fare quelle di Gesù sui cristiani oggi?

“Il cristianesimo oggi si trova storicamente nella posizione di essere la religione di masse secolarizzate, l’Islam no. Ci sono molte parole di Maometto di rispetto per le donne e del creato che non vengono mai riprese dagli estremisti perché evidentemente poco convenienti. La prima parola del Corano è “leggi”, molti musulmani non sanno leggere l’arabo classico, lingua complessa, e imparano tutto a memoria dando alle parole l’interpretazione del predicatore di turno”.

Il mondo cattolico e questo Papa predicano la gioia della tolleranza, la gioia di essere ultimi perché si sarà i primi. Ma la musulmanizzazione dell’Europa come si combatte davvero? Solo con la parola, la cultura o anche altro?

“Questo Papa, che ho avuto il privilegio di conoscere e seguire durante il viaggio in Terra Santa, è forse la figura occidentale più rispettata dai musulmani del mondo arabo. E non solo per ciò che dice, ma per quel che è. Il suo venire “dalla fine del mondo”, ha dato, ad esempio, alla popolazione palestinese l’impressione di essere una persona sensibile ai problemi reali della gente povera. Quanto all’islamizzazione dell’Europa credo che si possa arginare in due modi. In primo luogo con la demografia: gli “europei autoctoni” dovrebbero iniziare a fare 7-8 figli a coppia, ma questo è quel che nessun politico europeo ha l’onestà di dire, perché perderebbe voti in tronco. Più verosimile è invece la strada della secolarizzazione, perché quella islamica è oggettivamente una religione molto difficile da applicare in un mondo fatto di 8 ore di lavoro giornaliere, 5 giorni su 7 per quasi 365 giorni l’anno. Quello che non fa notizia è che la maggior parte dei musulmani in Europa non fa le 5 preghiere giornaliere, non digiuna il mese di ramadan e beve una birra il sabato sera. Con questo non voglio essere elusiva, l’Europa ha un problema con l’estremismo islamico che in questo momento storico coincide con le seconde generazioni.

Hayat Boumeddiene, la cassiera di periferia, ne è un emblema perché nella sua breve vita di 26enne è stata sia “la ragazza carina” con voti poco brillanti a scuola che molto probabilmente aspirava a sposare un venditore di telefonini, che una fervente fondamentalista pronta a pianificare attentati. La domanda sorge spontanea, perché Hayat è passata dal bikini al niqab? Perché ha sposato Coulibaly per poi diventare sua complice in armi? La risposta si chiama Djamel Beghal, predicatore salafita detto Abu Hamza conosciuto in carcere da Coulibaly, che neanche a dirlo, prima di fare il terrorista era un semplice criminale. La coppia conosce Abu Hamza che li inizia all’indottrinamento verso un certo tipo di “azione” religiosa. Il fatto che i due agiscano sotto l’egida di una regia esterna è provato dal fatto che oggi Hayat non si trova sepolta accanto al corpo del marito, “martire”, bensì in Siria. Molto probabilmente a Kobane, città assediata dallo Stato islamico dell’Iraq e della Siria (mi rifiuto di chiamarlo Stato islamico e basta).

L’Isis infatti ha bisogno di donne come Hayat, perché contrariamente ad al Qaeda ha intenzione di svecchiare il rapporto con i social, e avere persone in grado di usare pc, internet in lingue come il francese e l’inglese, strategiche al reclutamento, è fondamentale. Ma le donne nel loro mondo non sono mezzi utili solo alla procreazione? Nel 99% dei casi sì, ma persone come Hayat possono convincere altre migliaia di Hayat che non parlano o scrivono arabo a raggiungere il califfato. In altre parole, anche l’Isis ha bisogno dei suoi eroi femminili, e lei incarna la parabola della perfetta jihadista occidentale. Donne come Hayat, sono multitasking in scenari di guerra, perché contrariamente alle coetanee autoctone, oltre a maneggiare pentole e panni sporchi sanno anche leggere, scrivere, tradurre e usare un computer. Cose che a noi sembrano banali, ma che in certi scenari sono invece elementi importantissimi. Per tornare alla Hayat francese invece, al perché non abbia continuato la sua anonima vita da cassiera di banlieue, io una risposta ovviamente non ce l’ho. Però qualcosa mi suggerisce che la risposta si potrebbe trovare nel film di Lurent Cantet, La classe, che nel 2008 vinse la palma d’oro a Cannes. Più che un film, un vero e proprio documentario, una spia dentro una classe di adolescenti francesi di periferia di seconda generazione. I ragazzi racchiudono in sé tutte le contraddizioni di una cultura “arrogante” repubblicana, e un senso di distinzione identitaria in cui religione e nomi (la fierezza di chiamarsi Soulaiman non JeanBaptiste) fanno la differenza”.

In questo contesto c’è chi chiede di rivedere il trattato di Schengen…

“Sentiamo parlare della riforma del trattato di Shengen da circa una decina d’anni, almeno da quando l’immigrazione è diventata un serio tema di campagna elettorale. È un argomento sempreverde, un po’ come l’Uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Tutti ne parlano per prendere voti, nessuno lo fa per non inferire un colpo letale alla nostra già provata economia”.

L’intervista è stata realizzata da Claudio Barnini caporedattore Agir 

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