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Bang Bang Sei Morta

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Tre racconti fra colonialismo e alta società

C’è un luogo dell’Africa Nera in cui si intrecciano le storie di tre donne: Sybil, Ago e Daphne, giovani avventuriere che vivono a metà tra due guerre mondiali – la prima e la seconda – e due emisferi: quello della madrepatria inglese e quello della colonia africana.

In Inghilterra ci sono le strade di Portobello Road, i debutti in società e le feste di artisti a Soho, i barboncini da passeggio delle vecchie donne sole e i giardini di Kensington.

Nella Colonia ci sono indigeni, piantagioni, uccelli tropicali e tenute di famiglie di bianchi dove “tutti prima o poi incontrano qualcuno che conoscevano, o che i genitori avevano già conosciuto in patria”.

Il destino dei giovani borghesi è quello di andare a Sud quando si presume si sia visto tutto del Nord. Ma le donne dei tre racconti di “Bang bang sei morta” si destreggiano tra i due emisferi senza sentirsi a posto in nessuno dei due, progettando di tornare dall’altra parte del Mondo quando l’ambiente circostante sta loro stretto.

Sybil si ritrova a fare da dama di compagnia al marito di una vecchia amica d’infanzia, agricoltore improvvisato e dalle velleità artistiche frustrate, arrivato in Africa per produrre succhi di frutto della passione.

Ago porta il soprannome che le avevano assegnato i suoi amici per essere riuscita a trovare un ago in un pagliaio quand’era piccola. Con quella combricola di amici si trasferisce per alcuni anni a Sud, ma è proprio lì che i sogni d’infanzia e di un unione fraterna del gruppo vengono delusi.

Daphne vive nella Colonia con uno zio anziano. Fugge dall’indigeno tutto fare della famiglia che la pedina, ed è ossessionata da un uccello che scandisce la frase “va’ via” per tutto il giorno. Vuole andare via, ma anche a Londra la inseguono ossessioni metropolitane che la respingono come un uccello tropicale.

Storie, animali e personaggi scorrono davanti allo sguardo ironico e disincantato dei tre personaggi di “Bang Bang sei morta”, che osservano la realtà circostante come se fossero anche loro indigene, e mai britanniche.

E attraverso il loro sguardo l’autrice scozzese Muriel Spark sembra rivelare una banale verità: non si può dire di conoscere l’Inghilterra coloniale senza averne esplorato una delle sue colonie, dove le ansie e le idiosincrasie della popolazione espatriata rivelano il lato più selvaggio e crudele per sfociare quasi sempre nella morte.

 

A cura di Marta Vigneri

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