Vaccino Covid, il farmacologo Garattini a TPI: “Non sarà disponibile rapidamente, misure ancora fondamentali”
"Se il vaccino sarà ancora efficace dopo un anno, le cose cambieranno", parla il fondatore dell'Istituto Mario Negri, che sugli scettici dice: "Per persuadere bisogna comunicare alla gente i dettagli, essere informati è un diritto di tutti"
“È fondamentale continuare a rispettare le misure: il vaccino non sarà disponibile rapidamente, gli invii saranno limitati per molte settimane, serviranno a coprire solo una piccola parte della popolazione”. Il professor Silvio Garattini, farmacologo e presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano, in occasione del V-Day di ieri, 27 dicembre, è stato tra i primi italiani a ricevere il vaccino messo a punto da Pfizer/Biontech contro il Covid-19.
A TPI, che lo ha contattato telefonicamente, dice che dopo l’iniezione non ha avuto nessun tipo di problema. “Non ho sentito assolutamente nulla, sto benissimo“, spiega Garattini, che a novembre ha compiuto 92 anni. “Ieri ho fatto il vaccino perché me lo ha chiesto la Regione e ho pensato, per spirito di servizio e per dare l’esempio, che fosse utile farlo. Ora aspetto di fare la seconda somministrazione, tra tre settimane”.
Professor Garattini, con i primi vaccini ieri vari esponenti del governo hanno parlato dell’inizio di una nuova fase, ma anche della necessità di mantenere le misure.
Certamente, questa è la grande raccomandazione che bisogna continuare a fare. Le misure anti-contagio rimangono per ora l’unico strumento per evitare che il virus continui a circolare e faccia le vittime che purtroppo abbiamo visto in questi giorni. Il vaccino non sarà disponibile molto rapidamente, gli invii saranno limitati per molte settimane e quindi serviranno a coprire solo una piccola parte della popolazione. Il grande apporto di vaccini avverrà con la primavera.
Il governo si è dato l’obiettivo di vaccinare entro settembre il 70-80 per cento degli italiani. Pensa sia realizzabile?
Dipende dalla disponibilità dei vaccini. Per adesso ne abbiamo uno solo, quello della Pfizer, si spera di avere presto quello della Moderna. Ma noi, come Europa, abbiamo puntato soprattutto sul vaccino di AstraZeneca, che sembra essere un po’ in ritardo. Speriamo che nel frattempo arrivino altri vaccini, ce ne sono molti altri in corso di sviluppo. Qualcuno potrebbe essere disponibile in primavera.
Vaccinare il 70-80 per cento della popolazione è necessario per raggiungere quella che viene chiamata immunità diffusa o di comunità, ma per farlo ci vuole una grande organizzazione, bisogna avere medici, infermieri, luoghi in cui fare queste vaccinazioni, e soprattutto cercare di persuadere la gente.
Come pensa che andrebbe fatto?
È indispensabile che il governo e il ministero della Salute attuino una forma di comunicazione sistematica per illustrare quali sono le caratteristiche del vaccino, ad esempio su che basi esso è ritenuto efficace, chi può farlo, quali sono gli effetti collaterali e le controindicazioni. Bisogna inoltre smontare pregiudizi ed errori di interpretazione.
Tra chi è restio a fare i vaccini ci sono anche medici e operatori sanitari. Secondo lei questo rischia davvero di diventare un problema o è un fenomeno più limitato di quello che sembra?
C’è da sperare che il problema cambi col tempo. Molti probabilmente sono ancora dubbiosi perché non hanno avuto tutte le informazioni. Non dobbiamo dimenticare inoltre che ci sono già mezzo milione di inglesi e un milione di americani che si sono vaccinati. Mano a mano che aumenta questo numero crescono anche le informazioni e i dati specifici, che dovrebbero essere persuasivi.
Concretamente come dovrebbe avvenire questa opera di persuasione per la popolazione in generale?
Serve uno sforzo dal governo, non basta dire “siamo fuori dal tunnel, avremo un mondo migliore”. Quello che la gente vuol sapere sono i dettagli, ed essere informati è un diritto di tutti.
Pensa sia un compito del ministero, del Cts o dei vari esperti?
Bisogna che ci sia un riferimento, qualcuno che la gente riconosce. In modo che sappia che quando parla quella persona sta esprimendo ciò che pensa il governo e chi è informato sul tema.
È il ruolo che ha avuto in questi mesi l’Istituto superiore di Sanità, ad esempio.
Sì, ma bisogna renderlo molto più costante, e farlo arrivare negli spazi giusti. Non basta mettere i dati sui siti, perché non tutti hanno la capacità e la possibilità di raggiungerli e fare ciò che è necessario. I mezzi televisivi e radiofonici hanno spazi limitati, bisogna che ci sia il tempo sufficiente a dialogare con la gente, rispondere alle sue domande.
Una volta vaccinati operatori sanitari, medici e categorie più a rischio, si potrebbe pensare di allentare le restrizioni, anche prima del raggiungimento dell’immunità di gregge? Con la popolazione più vulnerabile protetta, diminuirebbero decessi e ricoveri.
Certamente, però non bisogna dimenticare che i giovani possono essere facilmente contagiati e talvolta sono asintomatici, per cui difficili da riconoscere. E l’obiettivo è evitare che il virus continui a circolare. Per questo occorre usare insieme i due strumenti: vaccinazioni e restrizioni. I vaccini sono lenti, quindi bisogna andare avanti anche con le misure di sicurezza. Questo non toglie che ci si possa organizzare meglio. Se i trasporti si organizzano meglio, la gente può viaggiare più facilmente. Ma bisogna creare le condizioni.
Quindi una previsione realistica per la fine delle restrizioni coinciderebbe con la vaccinazione del 70-80 per cento della popolazione?
È chiaro che quando la vaccinazione sarà generalizzata le cose potranno lentamente tornare alla norma. Ma bisognerà vedere, perché ci sono delle cose che ancora non sappiamo. Ad esempio, non sappiamo quanto tempo dura l’effetto del vaccino, e finché non passa il tempo non possiamo saperlo. Se il vaccino sarà ancora efficace dopo un anno dalla somministrazione le cose cambieranno notevolmente.
Cosa pensa del nuovo farmaco in via di sperimentazione nel Regno Unito, che sembra garantire immunità immediata e proteggere dal virus per 6-12 mesi?
Anche questo sarebbe un grande risultato. Tutto ciò che può contribuire a migliorare le condizioni, sia dal punto di vista della prevenzione sia come cura, naturalmente permette di attenuare le restrizioni. Ma bisognerà vedere i risultati della sperimentazione, che al momento è solo in fase iniziale.
Poi ci sono gli anticorpi monoclonali.
Più tempo passa e più armi avremo a disposizione. Per ora, senza dubbio, dobbiamo ancora stare attenti, ma possiamo guardare al futuro con più ottimismo e più speranza.
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