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Anche nei vaccini le donne sono discriminate: quando la medicina non considera il sesso

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"La pandemia di Covid ha messo sotto gli occhi di tutti le differenze di genere e sesso nel mondo dei farmaci e notoriamente nei vaccini". Le donne presentano una maggiore risposta alle vaccinazioni, ma anche a un incremento del rischio di reazioni avverse. Ecco perché è sbagliato non tenere conto del genere in medicina: intervista alle scienziate Antonella Santuccione e Maria Teresa Ferretti

Si è parlato molto delle fasce d’età in merito all’utilizzo dei vaccini anti Covid, in particolare del siero AstraZeneca. Dopo diversi stop, dubbi e incertezze, il governo italiano ha deciso che il siero anglo-svedese sarà utilizzato solamente sugli over 60. La decisione è arrivata dopo le polemiche scaturite dalla morte di Camilla Canepa, la 18enne colpita da trombosi affetta da una malattia autoimmune e deceduta alcuni giorni dopo che le era stata somministrata la prima dose di AstraZeneca a un “open day” vaccinale.

Ma quello che forse andrebbe preso maggiormente in considerazione è il fattore di genere e sesso. Distinguere i vaccini in base al sesso è un ragionamento prima di tutto di buon senso. Perché si basa innanzitutto sui dati, che sono alla base della scienza. E i dati che abbiamo ci dicono che le donne presentano una maggiore risposta alle vaccinazioni, ma anche a un incremento del rischio di reazioni avverse. Considerare la differenza tra uomini e donne quando si parla di medicina in generale, e di Covid e vaccini in particolare, è fondamentale secondo il parere di molti esperti.

Vaccini e donne, le differenze di genere e sesso in risposta alle vaccinazioni

“La pandemia di Covid ha esposto sotto gli occhi di tutti le differenze di genere e sesso nel mondo dei farmaci e notoriamente sui vaccini“, dicono a TPI due scienziate italiane di base a Zurigo e Vienna che hanno come missione quella di includere le differenze tra uomo e donna nella medicina di precisione. Sono Antonella Santuccione Chadha, neuroscienziata e luminare in campo medico e farmaceutico, e Maria Teresa Ferretti, laurea in ctf, neuroscienziata e neuroimmunologa con oltre 15 anni di esperienza internazionale nella ricerca per l’Alzheimer, esperta di medicina di precisione e di genere. Entrambe hanno lavorato nel laboratorio del nuovo farmaco contro l’Alzheimer approvato nei giorni scorsi dalla statunitense Fda.

“Noi abbiamo iniziato a sollevare la questione già da marzo 2020, proprio all’inizio della pandemia, facendo presente che, sulla base di quello che la medicina ha constatato da altri virus e da altre infezioni, già si sapeva che le donne e gli uomini rispondono in maniera diversa. Siamo stati tra le prime, infatti, a fare notare che la mortalità e la severità del Covid è più alta negli uomini. Questo perché il sistema immunitario delle donne risponde meglio quando c’è un’infezione acuta, ma ci sono una serie di altri aspetti che invece mettono le donne più a rischio come per esempio negli effetti collaterali legati ai vaccini“, spiegano le due scienziate co-fondatrici dell’organizzazione non-profit ‘Women’s Brain Project‘ (le cui ricerche sono pubblicate su prestigiosi giornali scientifici) e autrici del libro ‘Una bambina senza testa’, dedicato al tema della differenza di sesso e genere all’interno del mondo delle malattie mentali e neurologiche ma dove la riflessione si estende anche al Covid-19.

“Si sa, è ben noto in medicina che i vaccini funzionano in modo diverso tra uomini e donne. Le donne tendono a produrre più anticorpi quindi rispondono di più alla malattia, ma nonostante le differenze siano note non si è mai fatto niente. Perché non abbiamo pensato di aggiustare la dose per le donne? E ancora: perché non abbiamo pensato a un sistema di monitoraggio molto più intenso per le donne sapendo dei rischi? Per la stragrande maggioranza dei vaccini contro altre malattie ci sono dati che mostrano come gli effetti collaterali siano più frequenti e più pesanti nelle donne. È molto chiaro. Era un qualcosa che ci si poteva aspettare“, spiega la dottoressa Ferretti.

Nel suo lavoro quinquennale l’organizzazione non-profit ‘Women’s Brain Project’ ha portato alla luce evidenze scientifiche che dimostrano le differenze di genere e di sesso nelle malattie. E con la pandemia l’ipotesi scientifica, già comprovata dai dati, è stata avvalorata ulteriormente dal dato pandemico

La fondazione ha lanciato un appello alla comunità di scienziati affinché vengano prese in considerazione le differenze di sesso e genere nella medicina sin dall’inizio perché il problema – ci spiegano – inizia già nella scienza e nella sperimentazione pre-clinica, quella sugli animali, dove il modello animale è prevalentemente quello maschile: si preferisce usare topi maschi. “È chiaro che se una malattia ha delle differenze di diagnosi, di sintomo di progressione, sarebbe opportuno che anche nel modello animale questi aspetti venissero considerati perché sappiamo che l’aspetto ormonale anche nel modello animale differisce da quello maschile. Questo gioca un fatto preponderante”, spiegano le scienziate della Women’s Brain Project. 

“Fino a una decina di anni fa i farmaci venivano testati solo sui maschi. Per molti anni in passato l’Fda aveva escluso le donne giovani in età fertile. Venivano automaticamente escluse dagli studi clinici che attestavano la sicurezza dei farmaci“, osserva Ferretti. Oggi le cose stanno cambiando ma siamo ancora lontani da una vera equivalenza nella rappresentazione di uomini e donne negli studi”, precisa. Soprattutto perché “andrebbe fatta molta più attenzione all’effetto e alla sicurezza dei farmaci in base al sesso dell’individuo date le differenze note di metabolizzazione dei farmaci tra maschi e femmine”.

Questo è particolarmente vero per i vaccini.”L’analisi di dati disaggregati del sesso è una cosa che gli enti regolatori avrebbero dovuto fare con grande attenzione”, dice l’esperta. “E noi nei documenti ufficiali che abbiamo trovato pubblicati dall’Fda e dall’Ema questo tipo di analisi così attenta dei dati di sicurezza divisi per sesso non li abbiamo trovati. Sono sempre numeri in generale quelli che vengono pubblicati. Ma in questo modo non sappiamo quali sono i numeri per la popolazione femminile”.

Bisogna cambiare le regole del gioco e serve una maggiore attenzione alle donne. “Abbiamo fatto una tavola rotonda con gli enti regolatori del farmaco il 27 maggio scorso”, spiegano le scienziate. C’erano tutti all’incontro dalla Fda, all’europea Ema, passando per la canadese Health Canada. 

“Stiamo cercando di dialogare con loro per cambiare l’approccio e per fare presente che questi aspetti e queste differenze tra uomo e donna dovrebbero essere considerate con molta più attenzione quando si sviluppa un farmaco. Queste differenze esistono, le conosciamo in letteratura scientifica, ma per qualche motivo ancora non sono una parte integrante del disegno e di tutto il processo che porta poi all’approvazione del farmaco. Il risultato ce lo abbiamo sotto gli occhi di tutti. E non è un bel risultato”, dice ancora l’esperta.

“Il discorso che noi facciamo è quello della medicina di precisione dove andiamo semplicemente ad analizzare i dati tenendo presente che non tutte le persone rispondono allo stesso modo e che quindi esistono questi sottogruppi di pazienti per cui bisogna fare degli studi un po’ più attenti. Raggiungeremo la medicina di precisione quando non parleremo più di differenze (che ci dividono) ma di caratteristiche del paziente che ci rendono singolari”, concludono.

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