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“Uno spunto in più sulle sigarette elettroniche”: la lettera di Luigi Godi (Philip Morris Italia)

Immagine di copertina
Una fumatrice di sigaretta elettronica Credits: Flikr

TPI riceve e pubblica la lettera al direttore firmata da Luigi Godi - Senior Scientific & Medical Advisor di Philip Morris Italia

Egregio Direttore, leggendo l’articolo dal titolo “Sì o No sigarette elettroniche” di Anna Ditta, pubblicato su The Post Internazionale (TPI) del 22 ottobre scorso, alcune note hanno attirato la mia attenzione. Intervistato dalla giornalista, il Prof. S. Garattini afferma che tutti i prodotti alternativi alle sigarette contengono nicotina e, pertanto, creano dipendenza e sono nocivi.

Da Medico e in qualità di Senior Scientific & Medical Advisor di Philip Morris Italia non posso che condividere pienamente con quanto espresso dal Professore. Non iniziare a fumare e ad utilizzare prodotti contenenti tabacco o nicotina oppure smettere, sempre utile ripeterlo, rappresentano l’unico modo per eliminare qualsiasi tipo di rischio per la salute. Nessuno dei prodotti senza combustione (comprese le sigarette elettroniche, i prodotti a tabacco riscaldato e lo snus – piccoli sacchetti di polvere di tabacco) è a rischio zero, ma essi rappresentano delle valide alternative per quei milioni di fumatori italiani che ogni giorno comprano sigarette e che, per diversi motivi, non smettono.

Per questo credo sia di particolare interesse, la successiva affermazione del Prof. Garattini che dichiara “se la sigaretta elettronica e il tabacco riscaldato diminuiranno l’uso delle sigarette, questo può essere un vantaggio. Ma ad oggi non c’è una chiara dimostrazione che l’impiego di questi due dispositivi riduca il consumo di sigarette, perché in realtà la maggior parte delle persone fa uso di entrambi. Inoltre, c’è il pericolo che i giovani comincino con la sigaretta elettronica per poi passare alle sigarette”.

Sono temi molto importanti quelli sollevati dal Professore che rappresentano alcuni dei principali punti di confronto nel dibattito sulla riduzione del rischio/danno applicata al fumo. Per questo, colgo questa occasione per stimolare un dibattito scientifico, aperto e trasparente, basato sui numeri, su questi temi che rappresentano un primario interesse di salute pubblica.

Ci aiutano alcuni dati ufficiali sia dall’estero sia dall’Italia. Ad esempio, in Giappone uno studio indipendente ha mostrato come, dall’introduzione dei prodotti a tabacco riscaldato, si sia registrata una diminuzione delle vendite di sigarette tradizionali del 26% (dal 2012 al 2018), senza variazioni di disposizioni legislative e fiscali.

Un altro caso scuola è quello della Svezia dove il consumo di snus (il cui consumo è una tradizione nel Paese scandinavo) ha portato la prevalenza dei fumatori al 4% , con una diminuzione del consumo di sigarette di oltre il 60%, consentendo di raggiungere l’obiettivo della “Tobacco Smoke-Free Generation” indicato dallo European Beating Cancer Plan. E lo stesso si osserva nel Regno Unito, dove il sostegno governativo e della comunità medica alla sigaretta elettronica sta portando ad una inversione di tendenza tra sigaretta tradizionale (-10%) e e-cig (+8%).

Anche in Italia iniziamo ad assistere a trend simili: dal Libro Blu 2020 a cura dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) si evince come negli ultimi anni vi sia stata una riduzione rilevante del consumo di sigarette tradizionali, in parte significativa sostituite con prodotti da inalazione senza combustione.

Infine i dati sull’iniziazione. Probabilmente il tema più caldo quando si affronta l’argomento della riduzione del danno legato al fumo. Il rapporto dello scorso febbraio 2021 di Eurobarometer, organo di consultazione pubblica della EU, ci dice che in Italia, solo l’1% degli intervistati (oltre 28.000 nei 27 Stati membri) ha indicato la sigaretta elettronica ed i prodotti a tabacco riscaldato come primo prodotto utilizzato, a confronto del 93% degli intervistati che ha ammesso di aver iniziato con le sigarette tradizionali o rollate.

In merito all’iniziazione con sigaretta elettronica, numerose valutazioni eseguite in UK, sotto l’egida del Public Health England, ci dicono come il tasso di iniziazione con e-cig sia rispettivamente dello 0,2 (OPN, 2019), dello 0,3% (ASHA, 2020) e dello 0,6 (STS, 2020) nelle ultime survey effettuate.

Nel 2020 la European Tobacco Harm Reduction Advocates (ETHRA) ha condotto “The EU Nicotine Users Survey”  in una popolazione di oltre 32mila soggetti e la prevalenza di utilizzo di e-cig è risultato dell’1,3%.

Anche in un’indagine di Philip Morris Italia, realizzata con DOXA ed in fase di pubblicazione, condotta su un campione di oltre 3000 utilizzatori di IQOS, solo lo 0,6% di utilizzatori hanno indicato il tabacco riscaldato come primo prodotto utilizzato. Percentuali che auspichiamo si possano ulteriormente ridurre fino ad annullarsi grazie all’evoluzione della tecnologia. In questo campo, come Philip Morris ci siamo già impegnati per far sì che entro il 2023 tutti i nostri device elettronici siano dotati di una tecnologia per la verifica dell’età.

Come azienda vogliamo fare la nostra parte, non solo continuando ad adottare politiche rigorosissime per impedire che i nostri prodotti finiscano nelle mani sbagliate, ma anche nel ricercare e comprendere questi fenomeni. Dati e ricerche che continueremo a condividere con le autorità.

Dall’altro lato, è importante che il mondo scientifico e accademico promuovano sempre più studi su questi fenomeni con il fine ultimo di rappresentare una solida base scientifica di discussione tra attori diversi della società per valutare come la strategia della riduzione del danno possa complementare le attuali politiche di contrasto al fumo.

Affermare, come fa il  Dott. S. Gallus nella sua intervista a TPI, che la strategia della riduzione del danno, seppur abbia funzionato (e continui a funzionare, mi sento di sostenere) in tanti ambiti sanitari, “non è applicabile al tabacco per vari motivi; tra questi il fatto che sono le stesse aziende che producono le sigarette tradizionali a produrre le sigarette elettroniche”, vuol dire semplicemente non incentivare innovazione e ricerca scientifica da parte delle aziende (cosa che non avviene in altri settori industriali quali l’alimentare, l’automotive o il settore energetico), rinunciando a promuovere un dibattito scientifico basato sui fatti e non su pre-giudizi.

Luigi Godi Senior Scientific & Medical Advisor di Philip Morris Italia

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