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“La scienza ha un problema di razzismo”: la rivista Cell prende posizione dopo le proteste per George Floyd

Immagine di copertina
A sinistra un prelievo su una delle persone testate a Tuskegee. A destra Henrietta Lacks

"La scienza ha un problema di razzismo. Gli scienziati risolvono problemi. Diamoci da fare". La rivista scientifica Cell prende posizione contro le discriminazioni di ieri e di oggi contro la comunità afroamericana

“La scienza ha un problema di razzismo”: la rivista Cell prende posizione dopo le proteste per George Floyd

Mentre negli Stati Uniti torna a imporsi il tema del razzismo a seguito delle proteste che hanno attraversato il paese negli ultimi giorni dopo l’uccisione dell’afroamericano George Floyd durante un fermo di polizia, un editoriale pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica americana Cell fa mea culpa su tutti i modi in cui la scienza è complice di questa piaga che affligge la società statunitense e non solo. “La scienza ha un problema di razzismo“, è intitolato il testo, che invita anche la comunità degli scienziati a reagire.

“Siamo gli editor di una rivista scientifica”, inizia l’editoriale, “impegnata nella pubblicazione e diffusione di entusiasmanti lavori nel campo delle scienze biologiche. Siamo 13 scienziati. Nessuno di noi è nero. Ma la sottorappresentanza degli scienziati neri va oltre il nostro gruppo: riguarda i nostri autori, i revisori e il comitato consultivo. E non siamo i soli”. Sarebbe facile – sottolineano gli autori – liquidare la questione sostenendo che “la rivista è un riflesso dell’establishment scientifico”, ma questa consapevolezza di per sé è inutile se l’obiettivo è contribuire a eliminare il razzismo sistematico presente nella società statunitense, sottolineato dalla battaglia del movimento Black Lives Matter. La scarsa rappresentatività non è però l’unico problema della scienza col razzismo.

“Guardiamo alla  storia delle genetica umana, un campo che è stato ripetutamente usato come fondamento scientifico per la definizione di ‘razze’ umane e per sostenere diseguaglianze intrinseche”, proseguono gli autori. “I sostenitori dell’eugenetica usano gli alleli che portiamo come ragione per dichiarare una superiorità razziale, come se l’espressione di un gene della lattasi avesse a che fare con l’umanità di una persona. La razza non è genetica”.

L’editoriale affronta anche il tema dello sfruttamento dei neri per la ricerca scientifica, e cita ad esempio il caso di Henrietta Lacks, una donna nera malata di cancro e morta nel 1951, cui furono prelevate delle cellule tumorali uterine – utilizzate per decenni per la ricerca scientifica – senza che lei fosse stata informata e quindi senza che avesse fornito alcun consenso. Un altro esempio citato è quello dello Studio sulla sifilide di Tuskegee, un esperimento svoltosi tra il 1932 e il 1972 in Alabama, sull’evoluzione della sifilide non curata. Per lo studio furono reclutati centinaia di uomini neri inconsapevoli, cui fu impedito di sottoporsi alla cura con la penicillina una volta che questa fu scoperta.

“Guardiamo – prosegue Cell – all’estrema disparità nei database genetici e clinici che gli scienziati hanno costruito, con la stragrande maggioranza dei dati provenienti da bianchi americani di origine europea e la conseguente carenza di comprensione della salute e delle malattie delle persone nere. Leggiamo le statistiche sulle disparità di morbilità e mortalità negli ospedali in tutto il paese, evidenziate dall’attuale pandemia: e chiediamoci perché le donne nere hanno una probabilità cinque volte maggiore rispetto alle donne bianche di morire durante la gravidanza o perché i bambini neri hanno il doppio delle probabilità di morire rispetto ai bambini bianchi nati negli Stati Uniti. La salute dei neri non è mai stata la priorità”.

“È tempo di cambiare”, sottolineano quindi gli scienziati. “Siamo parte del problema, come ognuno di noi che non spinge quotidianamente per un cambiamento”. Cell dichiara di schierarsi quindi “con i nostri lettori, revisori, autori e colleghi neri. Ci impegniamo ad ascoltare a amplificare le loro voci, a educarci e a trovare modi in cui possiamo dare il nostro contributo. Da soli non possiamo sconfiggere il razzismo. Ma abbiamo il vantaggio di avere una piattaforma, quindi ci impegneremo, ascolteremo e agiremo”. “Stiamo imparando”, si conclude l’editoriale “e quasi certamente faremo degli errori. Ma il silenzio non è e non dovrebbe mai essere un’opzione. La scienza ha un problema di razzismo. Gli scienziati risolvono problemi. Diamoci da fare”.

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