Perché nella vita tendiamo a procrastinare
Da diversi esperimenti emerge che percepiamo noi stessi nel futuro come estranei. Ecco spiegato come questo accada
Il filosofo inglese Derek Parfit, nel suo libro Reasons and Persons espone la sua visione riduzionista dell’identità personale. Noi umani, ritiene Parfit, non possediamo un’identità personale che sia consistente nel tempo, ma una serie in successione di sé, l’uno congiunto all’altro, come una catena.
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Ad esempio, il giovane che inizia a fumare nonostante sia consapevole che questo danneggerà la sua salute tra qualche decennio non è da biasimare. Non è da biasimare perché percepisce il proprio sé futuro come se si trattasse di un’altra persona.
Come si legge su Nautilus, questa visione del sé è stata ripresa da alcuni psicologi per comprendere meglio il processo con cui gli individui prendono le decisioni ed è emerso che percepiamo i nostri sé futuri come estranei. Questo ci porta a procrastinare e ci impedisce di prendere decisioni che a lungo termine siano positive per i nostri sé futuri.
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Hal Hershfield, un assistente universitario alla Stern School of Business della New York University, ritiene molto curioso che a livello psicologico ed emotivo consideriamo il nostro sé futuro come se si trattasse di un’altra persona. Attraverso la risonanza magnetica funzionale Hershfield e colleghi hanno studiato come cambi l’attività cerebrale quando le persone immaginano il loro futuro e considerano il proprio presente. E’ emerso che la corteccia prefrontale mediale e la corteccia cingolata rostrale, più attive quando un soggetto pensa a se stesso e non a qualcun altro, presentavano livelli di attività più alti quando il soggetto pensa a se stesso oggi rispetto che al futuro. Infatti, l’attività neurale dei soggetti, mentre parlavamo dei propri futuri sé, era la medesima di quando parlavano di soggetti estranei.
La psicologa Emily Pronin, di Princeton, è giunta a conclusioni simili nella sua ricerca. Nel 2008 Pronin e il suo team hanno condotto uno studio con studenti universitari, coinvolti in un esperimento sul disgusto, dove si richiedeva di bere un preparato di ketchup e soia. E’ emerso che i ragazzi cui si richiedeva di bere il preparato quello stesso giorno erano disposti ad assumerne due cucchiai, mentre coloro che avrebbero dovuto farlo nel semestre successivo erano disposti a berne in media metà bicchiere.
Questa mancata connessione tra sé presente e futuro, ha implicazioni reali su come prendiamo le decisioni. Quando procrastiniamo è come se lasciassimo il compito ad una versione del nostro sé a noi estranea.
Tuttavia, se la dilazione deriva da una povera connessione tra i nostri sé presenti e futuri e un rimedio possibile potrebbe essere proprio il rafforzamento di tale connessione. E questo è esattamente ciò che ha fatto la psicologa Anne Wilson, della Wilfrid Laurier University in Canada, che ha manipolato la percezione del tempo dei soggetti studiati, facendo apparire alcuni eventi più vicini o lontani nel tempo. “Usando una linea del tempo più lunga permette alle persone di sentirsi più connesse ai loro sé futuri”, dice Wilson a Nautilus.
Hershfield ha invece adottato un approccio più tecnologico, per sollecitare donazioni di beneficienza. Con i suoi colleghi, ha condotto i suoi soggetti in una stanza di realtà virtuale e ha chiesto loro di guardarsi allo specchio. I soggetti potevano vedere la loro immagine riflessa, oppure una versione digitale del proprio volto invecchiato. Al momento dell’uscita dalla stanza coloro che avevano osservato i propri volti invecchiati si erano detti disposti a investire il doppio in fondi pensione.
C’è da dire che il modo in cui trattiamo noi stessi non debba essere per forza negativo: considerando che pensiamo al nostro sé futuro come una persona estranea, questo riflette il nostro modo di agire nei confronti degli altri. Sarebbe quindi opportuno agire con benevolenza, considerando che fra questi potremmo esserci proprio noi stessi.