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Basta con Facebook, sta distruggendo i legami umani (e la politica lo asseconda)

Immagine di copertina
Il vicepremier Matteo Salvini durante una diretta Facebook

TPI Opinioni - Facebook è un luogo che, pur sollecitando fantomatiche “connessioni” tra un individuo e l'altro, diventa invece promotore di disconnessione psichica (con la perdita del contatto con sé stessi) e di disgregazione sociale

Dopo la nomina di Lino Banfi a rappresentante Unesco per l’Italia, dopo i predicozzi di Giuseppe Conte all’Unione europea e le svariate esternazioni di Di Maio, che a scadenze regolari tira Macron per la giacchetta, come se fosse un compagno di classe da smascherare di fronte a una professoressa severa, viene da domandarsi cosa accadrà a questi buontemponi quando le luci della ribalta si saranno spente.

Cosa ne sarà di Salvini e dei suoi atti criminali, della sua indifferenza, del suo disimpegno e della sua disumanità nel lasciare morire in mare migliaia di persone mentre al contempo esprime il suo rammarico per i gattini indifesi abbandonati per strada. Questi personaggi si accorgeranno mai di quanto vuoto hanno dentro e fuori di sé? Cosa succederà quando questa scena politica si svuoterà del tutto? Quando questa turpe e oscena spettacolarizzazione delle volgarità, brandita con orgoglio, sarà finita? Se mai finirà.

Le luci del cabaret berlusconiano appaiono ormai storia passata e di raggio estremamente limitato a confronto con i riflessi proiettati da questo circo immenso, da questo gozzovigliare che muove i figuranti al governo. Questi personaggi sembrano non possedere consistenza propria, vivendo piuttosto attraverso l’effetto specchio dei social network, primo tra tutti Facebook, con il suo turbinio sfavillante, incessante e vorticoso di immagini, video, parole pronunciate con leggerezza e massima sconsideratezza. Il luogo dove l’umano viene disperso perché perde valore.

A differenza dei dittatori, che impongono la propria volontà, i capi odierni si lasciano guidare dagli istinti primordiali di migliaia di persone che affollano la rete, in moto frenetico come in un formicaio, e che si esprimono in molti casi senza forza di pensiero, giudizio e soprattutto responsabilità. Non sono consapevoli del potere di cambiamento che avrebbero, per sé e per gli altri, se non lo disperdessero in quel modo.

Per seguire sconsideratamente ciò che potrebbe “piacere” al popolo, Salvini rischia ora di essere processato. Vi potrebbe mai essere una maggiore dimostrazione di stupidità?

Se solo gli utenti di Facebook voltassero le spalle alla violenza, questo teatro da quattro soldi cesserebbe all’istante. Eppure, questa direzione non è stata ancora intrapresa, nonostante il bene porti più vantaggi del male, in termini di costruzione dei legami umani, di riconoscimento del proprio valore e di serenità interiore. Perché dunque continuare a indugiare sul male? È bene domandarselo.

C’è da chiedersi anche se un giorno molti dei ministri al governo, che una volta sono stati venditori di bibite, disk-jockey, agenti assicuratori e segretarie aziendali, vorranno perdere la posizione acquisita. È difficile pensare che tornerebbero volentieri al punto di partenza. Per questo c’è da temere che cercheranno di far durare il più possibile, come irresoluti commedianti da strapazzo, lo spettacolo in scena, cioè quanto hanno conquistato in modo insperato e piuttosto miracoloso, seppur con gli strumenti della democrazia.

Da questo punto di vista, in Italia al momento si respira un’aria di impostura, ma di questa il pubblico non si è ancora accorto. L’esistenza politica di molti dei nostri governanti si fonda su costruzioni farlocche della realtà (“sarà un anno bellissimo”, “avremo il boom economico”), senza visioni, idee, contenuti di spessore.

Una esistenza legata esclusivamente agli umori degli elettori, anzi del popolo dei social, verso cui il loro sguardo si rivolge per trarre conferma e ricevere consistenza. Tuttavia, uno dei maggiori problemi dei fenomeni di massa è che gli umori collettivi non sono sempre intrisi di gioia e felicità ma di sofferenza estrema, come sta avvenendo in questo momento.

I social network non contribuiscono a lenire questa infelicità ma a rinfocolarla. Nei prossimi anni si capirà bene quanto l’uso di questi strumenti stia fortemente contribuendo al clima e allo stato di disgregazione dei legami sociali all’interno delle nostre comunità democratiche e non solo. In spazi di eccessivo avvicinamento, infatti, in cui i confini saltano trascinando alla deriva le regole più elementari del rispetto reciproco, le persone finiscono per detestarsi. Non poco ma tanto. Perché perdono la propria sicurezza e non ricevono le conferme che vorrebbero.

Sui social corrono pensieri veloci e poco meditati, che non si soffermano sul rispetto che si dovrebbe a sé stessi e agli altri. L’effetto è quello di generare una violenta detonazione, un impatto emotivo esplosivo che si riverbera su tutti i partecipanti. Quando in questi giorni i notiziari presentano ai nostri occhi e alle nostre orecchie la realtà delle morti in mare che avvengono senza limiti di indifferenza e indecenza, uno dei pensieri che per primi sorgono alla mente è quanto sia stato e sia tuttora drammatico lo sprofondamento della politica istituzionale negli abissi della disumanità. Della politica istituzionale democratica.

I politici gozzovigliano come il popolo, nel turbine dei bassi istinti. Mentre una parte dell’umanità viene lasciata colare a picco, l’altra crede di salvarsi ritirandosi entro i propri confini. In realtà siamo tutti su una nave, la stessa, e in tal senso non c’è possibilità di farla franca sul piano della distruzione dell’umano, quantomeno in termini di dignità.

Da quando anche i politici progressisti sono scesi sconsideratamente nella piazza virtuale esponendosi senza alcuna protezione ai suoi sentimenti turpi, la politica si è svuotata, ha perso la sua forza. È declinata, mentre gli istinti sono saliti di rango.

Non è un caso che il presidente della Repubblica Mattarella rappresenti uno dei pochi casi di salvaguardia della dignità, tanto da aver conservato autorevolezza e credibilità. È riuscito a conservare una maggiore distanza, non espone la propria persona a un popolo che procede a ruota libera, e così protegge la sicurezza del proprio ruolo e la propria persona. Bisognerebbe ispirarsi a lui per capire come mantenere il proprio valore senza consegnarlo in pasto alla furia della rabbia e della frustrazione.

Quando si cerca di spiegare il clima di disgregazione sociale, culturale e politica che imperversa nel 2019, si fa quasi sempre riferimento alla crisi economica del 2008. E invece no, non basta considerare solo quella. Vi è un altro fenomeno che quell’anno ha segnato una svolta epocale e che dai commentatori viene generalmente ignorato: l’iscrizione massiva di miliardi di persone a un social network come Facebook, la vetrina cioè dove l’umanità viene prevalentemente passata al pubblico ludibrio. Dove viene processata, schernita, derisa, disprezzata. Ridicolizzata, spettacolarizzata, sbeffeggiata, e infine calpestata.

Facebook è un luogo che, pur sollecitando fantomatiche “connessioni” tra un individuo e l’altro, diventa invece promotore di disconnessione psichica (con la perdita del contatto con sé stessi) e di disgregazione sociale. Il dirottamento dell’attenzione da sé verso un luogo dove fondamentalmente si cercano conferme, affida l’equilibrio del rafforzamento o dell’indebolimento della propria identità a un contesto in cui piovono insulti, dove cioè è elevato il rischio di essere sminuiti e dispersi perché ci si trova nel mezzo di dimostrazioni inarrestabili di superiorità, narcisismo, vanità che non favoriscono il benessere e la serenità interiori ma producono insicurezza e sovvertimento delle proprie certezze.

Bisognerebbe essere più gelosi di se stessi e più fedeli. Se all’interno di Facebook si rischia di disperdere ciò che si è, e quindi la propria tenuta, questa la si riguadagna stando a contatto con sé stessi, nella solitudine, nel silenzio, nei dialoghi tra sé e sé, prima di tornare nel mondo. Un social network come Facebook ha contribuito a disseminare e accrescere le paure a causa della contrazione dei suoi spazi, per il sovvertimento dei limiti e dei confini tra una persona e l’altra, sollecitando così l’angoscia di essere invasi. E quando si ha una angoscia di questo tipo ne conseguono in risposta, e come supposta difesa, rabbia e violenza.

Non è un caso che i capri espiatori, i simboli di un’inesistente ma temutissima invasione, sono diventati – proprio su Facebook e attraverso Facebook – i migranti. Su di loro si è spostata la paura, alimentata di giorno in giorno dalla trasmissione massiva di dichiarazioni e notizie false, e da un bombardamento di immagini e parole davvero eccessivo per una buona tenuta della mente umana.

Facebook è la piattaforma in cui ci si specchia per ricavarne il più delle volte un vissuto frustrante, a causa dell’insufficiente riconoscimento che si sente di ricevere o per la sfiducia iniettata dalla visione sconfortante di quanto gli altri mostrano o di quanto viene mostrato del mondo. Basta osservare una fotografia per provare un senso di invidia, di gelosia, di disprezzo, per sentirsi da meno, e sperimentare un senso di disperazione e sfiducia pensando che la propria vita non valga nulla.

Se i politici e il popolo perdono tempo a rispecchiarsi gli uni negli altri, ecco che i problemi restano tutti lì, ad accumularsi e a salutare sornioni, inalterati e intoccati. Sarebbe bene tornare a coltivare il proprio valore, la propria identità, a scoprire i legami umani senza farsi fagocitare dalla dispersione, dal livore, dalle insicurezze e dal’angoscia propagata a dismisura attraverso il turbine dei social network. Parola d’ordine: tornare alla vita.

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