La scienza non è donna?
Un fisico dell'Università di Pisa ha di recente cercato di provare al CERN di Ginevra che la scienza "non sarebbe donna". TPI ha parlato con diverse donne che di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica hanno fatto la propria carriera
La scienza discrimina contro gli uomini. È la conclusione a cui è voluto giungere un fisico dell’Università di Pisa, Alessandro Strumia, quando invitato a parlare ad un workshop organizzato dal CERN, il più grande laboratorio di fisica delle particelle al mondo, ha deciso di tenere un discorso – con tanto di slide – sul fatto che, semplicemente, se non ci sono abbastanza donne scienziate dev’essere necessariamente perché le donne sono meno portate per la scienza.
Nelle slide poi rimosse dal sito web del CERN, basando il proprio pensiero su una serie di dati decontestualizzati e studi sulle differenze tra i cervelli di uomini e donne che non sono riconosciuti dalla comunità scientifica ma rimangono alla base di molti stereotipi, Strumia asserisce, semplicemente, che “la fisica è stata inventata e costruita dagli uomini” e, di conseguenza, non è donna.
Il fisico ha voluto citare anche James Damore, l’ex ingegnere di Google licenziato dopo aver diffuso un documento in cui sosteneva che le donne siano biologicamente meno portate degli uomini alle carriere nei cosiddetti “campi STEM”: scienza, tecnologia, ingegneria e matematica.
Poco importa se qualche giorno dopo la Fondazione Nobel ha assegnato due dei propri ambitissimi Premi per le discipline scientifiche (quello per la Fisica e quello per la Chimica) a delle donne: Donna Strickland per l’innovazione della fisica dei laser insieme ai colleghi Mourou e Ashkin e Frances H. Arnold per aver condotto la prima evoluzione diretta degli enzimi.
Strickland e Arnold non si saranno probabilmente sentite toccate dalle affermazioni di un fisico italiano qualunque, ma il suo discorso non ha lasciato indifferenti tante donne che nel mondo della scienza e della tecnologia pur ci lavorano.
Ricercatrice in High Performance Scientific Computing, Valeria Barra, che 7 anni fa è partita per continuare la sua carriera negli Stati Uniti, non si è detta per nulla sorpresa del fatto che a dimostrare una tale mancanza di tatto e di prospettiva sia stato un italiano.
“Siamo purtroppo un paese ancora troppo patriarcale, in cui la mentalità misogina che vede la donna come oggetto è radicata nella società”, dice. “Ma vorrei ricordargli che ci sono state tantissime donne pioniere in molti campi, che hanno dovuto superare ostacoli enormi anche solo per poter avere un’istruzione che purtroppo era chiusa a soli uomini fino all’inizio del secolo scorso e che a volte hanno dovuto lasciare documenti scritti con pseudonimi maschili affinché il loro lavoro venisse anche solo preso in considerazione”.
“Gli ricorderei che Marie Curie è l’unica persona al mondo ad aver ricevuto due premi Nobel in due discipline diverse. Gli ricorderei la storia di Ada Lovelace, che nel 1843 ha scritto il primo programma per computer, prima ancora che i calcolatori moderni che conosciamo al tempo odierno esistessero. Gli risponderei che esistono testimonianze di donne astronome e quindi fisiche che vanno indietro nei millenni, come quella di Ipazia, matematica, astronoma e filosofa vissuta tra il quarto e il quinto secolo dopo Cristo”, continua.
Disparità radicate e false convinzioni
Nonostante questi traguardi, la disparità tra uomini e donne nei campi STEM è realtà documentata (e non basata, certamente, su una presunta maggiore stupidità del genere femminile). A vincere il 97 per cento dei premi Nobel scientifici in passato sono stati uomini, e soltanto l’11 per cento degli alti incarichi accademici nei Paesi occidentali è ricoperto da scienziate, secondo il report For Women in Science redatto da Unesco insieme a L’Oréal nel 2015.
Lo stesso studio ha dimostrato che in Italia soltanto il 10 per cento degli intervistati ha ritenuto di affermare che le donne possano avere un’attitudine particolare per la scienza, mentre il 67 per cento crede che non abbiano le attitudini necessarie a fare una carriera scientifica d’alto livello. E, secondo il report Science, Technology and Industry Scoreboard dell’OECD pubblicato nel 2017, soltanto il 21 per cento degli autori di articoli scientifici più rilevanti sono donne.
Secondo la dottoressa Barra, che ha ottenuto il PhD in Applied Mathematics al New Jersey Institute of Technology, a bloccare molte donne nell’avanzamento di carriera è il desiderio di costruire una famiglia, con l’onere di prendersi cura della casa e dei bambini che cade ancora oggi sproporzionatamente sulle spalle femminili.
“Nel mio corso di dottorato c’erano solo due professoresse femmine su un corpo docenti di più di 40 professori, di cui solo una con figli, nel Dipartimento di Matematica, “, racconta Valeria.
“Questa assenza di modelli da seguire nel mio campo mi ha sempre terrorizzata. Mi dicevo che se non ce ne erano abbastanza era perché fosse praticamente impossibile far conciliare questo tipo di carriera – soprattutto nei primi anni, quelli più difficili, quelli in cui ti devi affermare nella comunità scientifica con pubblicazioni e conferenze di livello internazionale – con la famiglia”, ricorda, pensando anche a quanto sia difficile per un ricercatore dopo il dottorato scegliere di allontanarsi dalla ricerca anche soltanto per un anno per motivi familiari.
Fiorella Tonello, ricercatrice a tempo indeterminato presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche all’Istituto di Neuroscienze di Padova, di figlie ne ha due, e vede nelle differenze fatte tra bambini e bambine in giovane età una delle questioni principali.
“Le bambine vengono cresciute con l’idea di dedicare del tempo agli altri, mentre i maschi con l’idea di dedicare tutte le proprie risorse alla loro realizzazione. Le bambine devono sempre curare il proprio aspetto per apparire carine e gentili, o quando sono più grandi per essere attraenti, i maschi possono essere più spontanei”, fa notare. “Poco tempo fa il papà del ragazzo di mia figlia le ha chiesto che cosa aveva intenzione di fare dopo il liceo dicendole che, dopotutto, lei può anche decidere di farsi mantenere dal marito”.
Benché, dice la chimica, le discriminazioni di genere nel suo campo siano meno pronunciate rispetto a quelle nelle scienze “dure”, sembra che restino in molti a ritenere che i piani alti spettino comunque agli uomini.
“Stanno diminuendo le differenze ma tuttora i fili del potere sono manovrati per lo più da uomini di una certa età, dai 60 in su, che amano circondarsi di donne che facciano da supporto. Tante donne purtroppo accettano questo, rendendo più difficile la vita di quelle che vorrebbero avere più indipendenza”, racconta.
Oltre le difficoltà
Per Federica Ongaro, che dall’Università di Udine è passata per un dottorato in ingegneria aerospaziale alla Queen Mary University di Londra e oggi lavora, post dottorato, al Centre National d’Ètudes Spatiales francese, il fatto che il mondo degli STEM fosse in gran parte maschile ha presentato prima di tutto una sfida.
“Essendo una persona molto ambiziosa, mi sono detta: “ci sono poche donne nel settore dell’ingegneria. Diventerà una delle poche, la soddisfazione sarà ancora più grande!”, ricorda. “È stata una sorta di sfida con me stessa”. Una sfida che l’ha portata fino al settore aerospaziale, dove di donne se ne vedono ancora, purtroppo, ancora molto poche.
Le ragioni, a suo dire, sono molteplici: “le donne che lavorano nel campo STEM dovrebbero avere molta più visibilità e più possibilità per parlare del loro lavoro, raccontare le proprie esperienze, le proprie difficoltà, per far capire che anche una donna ha tutte le carte in regola per eccellere”. Una necessità legata anche alla paura di “non essere all’altezza” che, dopo anni di stereotipi e bastoni tra le ruote, può bloccare una ragazza che si vorrebbe altrimenti addentrare in questo mondo.
“Ci sono ancora stereotipi secondo i quali le le donne non sono portate per le materie scientifiche: meglio se si dedicano a discipline umanistiche più adatte alla loro personalità…o che ricordano che il mondo STEM è molto impegnativo, meglio che una donna si dedichi alla famiglia”, sottolinea Federica. “Basta pensare che per termini come ‘ingegnere’ non esiste nemmeno la versione femminile”.
Eppure, preme la ricercatrice, “le donne sono spesso più meticolose, attente, sensibili: potrebbero portare un grande contributo nel settore STEM. Ovviamente non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, ma sono convinta che quando ci si accorge che una donna ha delle potenzialità e vuole dedicarsi ad una disciplina del settore STEM non vada ostacolata ma, al contrario, supportata ed incoraggiata. In fondo, dei progressi scientifici ne beneficiamo tutti, sia che essi provengano dal lavoro di uomo che dal lavoro di una donna”.
Per questo, convinzioni come quelle di Strumia le hanno portato delusione e tristezza. “Un uomo di scienza con una certa visibilità dovrebbe contribuire ad eliminare e non a diffondere i preconcetti e le discriminazioni”.
Oltre le affermazioni di persone come Strumia, che vedono nei sistemi come le quote rosa o nell’esistenza di cosiddette “discriminazioni positive” una guerra politica combattuta sulla pelle degli uomini, esiste quindi una miriadi di ragioni storiche e culturali che non possono limitarsi a freddi dati decontestualizzati e che portano ancora oggi le donne ad approcciarsi con insicurezza alla scienza, la tecnologia, l’ingegneria, la matematica.