Cinque esperimenti psicologici che rivelano preoccupanti verità su noi stessi
Molti si ricorderanno del celebre esperimento di psicologia sociale condotto nel 1961 dal professore statunitense Stanley Milgram, che indagò sul livello di obbedienza di persone a cui veniva ordinato di fare del male ad altri esseri umani con l’elettroshock.
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Ai partecipanti era stato fatto credere che avrebbero collaborato, dietro ricompensa, a un esperimento sulla memoria e sugli effetti dell’apprendimento. Uno per uno, i soggetti ignari (definiti “insegnanti”) erano posti di fronte al quadro di controllo di un generatore di corrente elettrica, mentre di volta in volta un complice dell’esperimento (definito “allievo”) veniva legato a una specie di sedia elettrica. A lui veniva applicato un elettrodo al polso, collegato al generatore di corrente posto nella stanza accanto.
Se l’allievo non rispondeva correttamente alle domande di memoria che gli rivolgeva l’insegnante, questo avrebbe dovuto infliggergli un elettroshock (in realtà finto). Il complice rispondeva di proposito in modo sbagliato, e poi fingeva di provare un dolore crescente mano a mano che l’intensità dell’elettroshock aumentava ad ogni risposta errata.
Nonostante le proteste degli allievi, molti insegnanti continuarono ad azionare il generatore di corrente elettrica ogni volta che una figura autoritaria, lo “sperimentatore”, gli chiedeva di farlo. Alla fine, il 65 per cento dei partecipanti avrebbe inflitto un elettroshock letale al livello massimo di 450 volts.
Questo studio del professor Milgram dimostrò che è probabile che le persone comuni, dietro gli ordini dati da una figura autoritaria, arriverebbero a fare del male a un altro essere umano innocente fino al punto di ucciderlo, e che l’obbedienza all’autorità è radicata in tutti noi, per il modo in cui siamo cresciuti da bambini.
L’esperimento di Milgram, sebbene sia il più famoso, non è il solo ad aver svelato i lati più profondi e nascosti degli esseri umani, talvolta difficili da accettare. Ecco un elenco che mostra quali altri esperimenti di questo tipo – meno noti, ma non meno interessanti – sono stati condotti nel mondo:
La stanza piena di fumo
Questo esperimento condotto da John Darley e Bibb Latané negli anni Sessanta, coinvolse alcuni studenti della Columbia University, a cui fu chiesto di compilare dei questionari. Ad alcuni di loro fu chiesto di farlo mentre si trovavano in una stanza da soli, altri invece dovettero farlo in compagnia di due persone, complici dell’esperimento.
In entrambe le situazioni, a un certo punto, i ricercatori iniziarono a far entrare nella stanza del fumo da sotto la porta. Nel secondo caso, quello della stanza con tre persone, fu chiesto ai complici di fare finta di nulla e non preoccuparsi del fumo.
Il 75 per cento degli studenti che si trovavano da soli nella stanza diede l’allarme per il fumo quasi immediatamente, con un tempo medio di reazione di due minuti da quando si erano accorti del fumo.
Tra gli studenti che invece erano in compagnia di persone dal comportamento passivo, nove su dieci continuarono a compilare il questionario, strofinandosi gli occhi e allontanando il fumo dai loro volti.
L’esperimento mostrò come la maggior parte delle persone risponde più lentamente (o non lo fa del tutto) alle situazioni di emergenza in presenza di altri soggetti passivi, evidenziando una forte dipendenza dalle risposte degli altri, anche quando queste sono in contrasto con il nostro istinto. Se il gruppo agisce come se tutto andasse bene, allora tutto deve andare bene per forza. Una grande bugia in cui siamo portati a cadere in trappola.
La classe divisa
L’esperimento fu ideato e realizzato da un insegnante statunitense di nome Jane Elliott, che nel 1968, dopo l’omicidio dell’attivista per i diritti umani Martin Luther King, decise di spiegare alla sua classe cosa volesse dire davvero la discriminazione e il razzismo.
Elliott divise i suoi alunni in due gruppi: quelli con gli occhi chiari e quelli con gli occhi scuri. Per una giornata, garantì un trattamento preferenziale a tutti quelli che avevano gli occhi chiari, e li fece sentire superiori rispetto a quelli che avevano gli occhi scuri. Il giorno successivo fece il contrario.
In entrambi i giorni, il gruppo favorito dall’insegnante si comportò con entusiasmo in classe, rispose alle domande in modo rapido e preciso e ottenne risultati migliori nei test. Chi invece veniva discriminato si mostrava più abbattuto, esitante e incerto nelle risposte, ed ebbe risultati peggiori nelle verifiche.
L’esperimento di Elliott finì sui giornali ed ebbe reazioni contrastanti. Lei lo ripeté altre volte e nel 1970 l’esperimento fu ripreso e pubblicato con il nome The Eye of the Storm. Quindici anni la classe del 1970 si riunì con la sua insegnante e anche questo nuovo incontro divenne un documentario, dal titolo A Class Divided, che mostra cosa hanno imparato quei bambini sulla discriminazione e quali effetti ha avuto questo esperimento sulle loro vite.
Il gorilla invisibile
Al centro di questo esperimento dell’università di Harvard c’è un breve video in cui sei persone si passano una palla da basket. Ai partecipanti è stato chiesto di tenere a mente il numero di passaggi che queste persone fanno tra loro. A un certo punto, però, nel video entra un gorilla, che rimane sullo schermo per nove secondi.
Sareste riusciti a vedere il gorilla? Metà di voi, probabilmente, no. È stato questo infatti il risultato che hanno ottenuto i ricercatori di Harvard. Mentre ci si focalizza sul conto dei passaggi, il gorilla sembra invisibile.
L’esperimento evidenzia quante cose di quelle che succedono intorno a noi ci stiamo davvero perdendo e, soprattutto, mostra che non abbiamo idea del fatto che ce lo stiamo effettivamente perdendo.
Il violino in metropolitana
A gennaio 2007, il famoso violinista Joshua Bell si è esibito alla Symphony Hall di Boston, dove ha fatto sold out con biglietti che costavano oltre cento dollari. Tre giorni dopo, Bell si è messo a suonare in una stazione della metropolitana di Washington, D.C., dove ha eseguito un mini-concerto per circa 45 minuti, suonando sei pezzi classici con un violino Stradivarius da 3,5 milioni di dollari.
Tra le migliaia di persone che sono passate quel giorno nella metro, solamente sei si sono fermate ad ascoltare per un po’. Una ventina gli hanno dato dei soldi, per circa 32 dollari in totale. Quando Bell ha finito, nessuno ha applaudito.
“In un ambiente banale e in un orario non convenzionale, la bellezza viene oltrepassata?”, si è interrogato il giornalista Gene Weingarten sul Washington Post, parlando di un esperimento su contesto, percezione e priorità. Il risultato dell’esperimento, come minimo, solleva domande interessanti sul valore della bellezza e su come il contesto e la presentazione possano fare davvero la differenza.
La bambola Bobo
Questo esperimento è stato realizzato nel 1961 da Albert Bandura, psicologo profondamente convinto che tutti i comportamenti dell’essere umano fossero acquisiti attraverso l’imitazione sociale, piuttosto che dettati dal patrimonio genetico. Per verificare questo assunto, Bandura ha deciso di lavorare con dei bambini utilizzando una bambola chiamata Bobo.
Lo psicologo ha diviso i partecipanti in tre gruppi. Uno di questi ha assistito a comportamento aggressivo di un adulto verso una bambola Bobo; un altro ha guardato l’adulto mentre giocava con la bambola; un terzo gruppo non è stato esposto a nessun comportamento da parte di adulti.
Successivamente i bambini sono stati chiusi in delle stanze da soli con vari giocattoli, incluse proprio quelle bambole. Ai bambini è stato chiesto di non giocare con quelle cose, perché erano riservate ad altri bambini (un espediente studiato per accrescere la loro frustrazione).
I ricercatori hanno visto che i bambini esposti ai modelli aggressivi avevano una maggiore probabilità di adottare un comportamento simile con le bambole, mentre gli altri gruppi hanno avuto pochi casi di comportamento aggressivo.