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Home » Salute

Neogenitori, la privazione del sonno non è una forma d’amore per nessuno

Immagine di copertina
Credit: Pixabay

Le discussioni politiche di questi tempi pongono finalmente il focus su genitorialità e autodeterminazione. In alcune controversie si parla a buon mercato e a favor di consensi delle battaglie che si consumano dietro a questi temi, in altre si mettono in campo delle reali misure di supporto. Nel caso della genitorialità, le urgenze sono chiare: strumenti di conciliazione, congedi paritari e welfare. Noi genitori abbiamo bisogno di lavorare e autodeterminarci, mentre i nostri figli socializzano e si emancipano in luoghi sicuri.

Questo scenario che vede il raggiungimento di un vero sostegno e incentivo alla genitorialità rivela ancora qualcosa di drammaticamente stridente. Si tratta della concezione collettiva della genitorialità. Nello specifico, dello stento che le è comunemente associato. La pericolosa associazione del sacrificio e amore sembra destinata a perdurare soprattutto in ambito familiare, ed è proprio questo binomio a generare l’idea che sacrificarsi per i propri figli significhi amarli incondizionatamente.

Partiamo da un esempio agevole: il 70% delle madri che allattano s’imbatte nella comparsa di ragadi. In questa circostanza, secondo la visione comune, continuare ad allattare è certamente indice di un grande amore per il proprio figlio. L’ago della bilancia è il dolore materno, e non crea alcuno stupore scoprirlo.

Arriviamo, ora, a ragionare su un disagio che caratterizza la maggior parte dei percorsi genitoriali: la privazione del sonno. Si tratta di una condizione che consiste nella riduzione o assenza di sonno, la cui declinazione genitoriale è sempre rivestita di ombrosa consuetudine. Così i neo genitori lavorano, crescono i loro figli centellinando e gestendo i molto spesso minimi strumenti di cui dispongono, vivono la loro vita con un radicale aumento del carico di responsabilità e fatica, ma riposano di meno.

Nel primo anno di genitorialità, infatti, si stimano circa settecento ore di sonno perse. La situazione, nei due anni a seguire, migliora solo di rado. La media delle ore di sonno effettive nei primi tre anni di genitorialità si aggira a circa quattro ore e mezzo a notte. Non basta dire che i genitori dormono poco, è fondamentale specificare anche cosa fanno nelle ore di veglia. Una ricerca pubblicata sul “The Sun” ha riportato che i genitori percorrono circa tre chilometri a notte per cullare i propri figli, nel tentativo di farli addormentare. Per un totale di mille chilometri all’anno. I genitori, dunque, invece di dormire, camminano.

La privazione del sonno può generare gravi conseguenze, tra cui stanchezza significativa e prolungata, disturbi dell’attenzione e della concentrazione, irritabilità, riduzione dell’acume – a causa della ridotta capacità di pensiero laterale – calo d’interesse per le attività quotidiane. Inoltre, dormire poco può contribuire all’insorgere di diversi problemi di salute, come quelli legati alla pressione, ad esempio. Esiste un’ampia letteratura scientifica sulla relazione tra durata del sonno e benessere in termini di qualità della vita. La privazione del sonno ha conseguenze anche sull’elaborazione del linguaggio. Chi lavora con la scrittura, ad esempio, si accorge di questa conseguenza nell’immediato, convivendo con la sensazione perenne di avere le parole sulla punta della lingua, in collocazioni inafferrabili. In quest’occasione, si sperimenta la stentata ricerca delle proprie capacità e predisposizioni. Un’altra risorsa ostaggio della privazione del sonno è la memoria. Si sperimenta, infatti, una maggiore difficoltà nell’incamerare i ricordi e nell’acciuffare quelli collezionati negli anni. Questi effetti non sono solo dei disagi, ma potenziali fonti di pericolo.

Per ovviare al tragico fenomeno dei genitori che dimenticano i loro figli in macchina, da qualche anno è diventato obbligatorio disporre di un dispositivo anti abbandono, per cui esiste anche un bonus. Invece di agire sulle tragedie in potenza, ci sarebbe la possibilità di preservare lo stato psicofisico dei genitori e metterli nelle condizioni di non dover imparare a sopravvivere senza le risorse assorbite dalla privazione del sonno? La risposta è sì. La possibilità c’è.

Tuttavia, nessuno ha ancora rivendicato delle misure a riguardo. Sebbene si tratti di una condizione di estrema difficoltà, non è davvero concesso ai genitori di pretendere un supporto, perché si tratta di un disagio comunemente percepito come elemento caratteristico di quando si cresce un bambino o una bambina. Si archivia questo impedimento come passeggero e fisiologico, e si dimentica che, nel frattempo, la quotidianità dei genitori non va in ibernazione.

Quelle notti insonni generano giorni in cui gli impegni incombono senza tener conto del loro stato psicofisico. In modalità del tutto contro intuitive, i genitori non dormono di notte e la società li pretende sempre più svegli di giorno, nell’affannosa richiesta che tornino presto a essere le persone di prima, arricchite dalla genitorialità. Tutto, intorno a loro, preme affinché si dichiarino e dimostrino persone nettamente migliorate, ignorando che molti dei neo genitori lottano tutti i giorni e tutte le notti anche solo per dimostrarsi delle persone sufficientemente lucide.

Amare i propri figli non può tradursi nel rassegnarsi a perdere brandelli di sé stessi per strada o arrendersi alla sopravvivenza del lento scorrere dei giorni in preda alla stanchezza e alla confusione. Mentre discorriamo di strumenti di conciliazione, emancipazione e auto determinazione, da qualche parte ci sono genitori post-it che attivano promemoria anche per ricordarsi di preparare la cena ai loro piccoli. E che credono di essere delle persone inaffidabili, per questo. Da qualche parte ci sono genitori che nel tragitto in macchina tra la loro casa e l’asilo nido cantano o contano al contrario per scongiurare il rischio di addormentarsi alla guida, e a volte questo rischio gli esplode in faccia sotto forma di gas azoto e sodio metallico degli air bag. Da qualche parte ci sono genitori che decidono di riappropriarsi del proprio svago e prenotano finalmente il biglietto d’ingresso a una mostra, e non si riconoscono nella svogliatezza che li porta a indugiare prima di uscire di casa, e che spesso ha la meglio sulle loro buone intenzioni.

La privazione del sonno non è una fase, non è una forma di amore per nessuno. Si tratta di un disagio imponente e invalidante e le famiglie che non possono contare sul privilegio di dormire almeno di giorno o di assumere operatori per l’infanzia notturni devono abituarsi a convivere con un’esistenza sbiadita dal sonno. E a volte non ce la fanno. Iniziamo a scardinare e decostruire l’immagine del genitore che perde i propri pezzi. In nessun ambito sacrificare i propri diritti umani è normale. È giusto e sacro santo occuparsi del welfare, ma deve essere permesso davvero ai genitori di avere accesso a tutti i necessari strumenti di conciliazione proposti.

Deve essere garantito il diritto al sonno. Non esiste emancipazione e autodeterminazione se manca il sonno. Da qualche parte vicino o lontano da noi, ci sono genitori che si sentono brocche vuote. Da qualche parte ci sono genitori che, di notte, camminano.

Testimonianza.

Ciao, mi chiamo Eleonora. Una volta ho provocato un incidente e non so neanche se sono svenuta o mi sono addormentata alla guida, la differenza tra queste due cose ultimamente mi sfugge. In macchina con me c’era la mia bambina ed io mi sono sentita un reietto, il senso di colpa ancora mi perseguita. Oggi leggo le tue storie e mi rendo conto che non sono sola. Perché nessuno intorno a me ha mai raccontato niente e devo trovare conforto nelle testimonianze anonime? Perché mia madre mi dice di non lamentarmi e di essere felice per il dono di Dio che è mia figlia? Quando è successo che queste due cose si sono mescolate? Come può il mio dolore generare il bene di mia figlia? Che posso fare, che devo fare?

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