Perché alcune donne scelgono di abortire?
Secondo Papa Francesco, scegliere l'interruzione volontaria di gravidanza è come affittare un sicario per risolvere un problema. Ma, oltre la facile retorica, quali sono statisticamente le ragioni per cui si sceglie di abortire?
“Interrompere una gravidanza è come fare fuori una persona. È giusto fare fuori una vita umana per risolvere un problema?”. Se l’è domandato Papa Francesco il 10 ottobre 2018, scagliandosi in particolare contro l’aborto terapeutico, ovvero quello giustificato per ragioni mediche che potrebbero mettere a repentaglio la vita della madre o la salute del bambino.
È una domanda affatto sorprendente dal capo spirituale e politico di una religione che non ha nessun dovere di rispettare i valori di Stati laici e secolarizzati, d’altronde.
Altrettanto poco sorprendente è che a queste posizioni a dir poco conservatrici del Pontefice facciano eco le associazioni che attorno all’universo cattolico gravitano, come l’UCCR (Unione Cristiani Cattolici Razionali).
Non a caso quest’ultima titola, sul proprio blog, “Le donne abortiscono maggiormente per motivi superficiali” – ritenendo “motivo superficiale” e “assolutamente risolvibile” qualsiasi caso in cui la gravidanza non sia stata conseguenza indesiderata di una violenza sessuale o motivata da ragioni stringenti di salute.
Diffusa è anche la narrativa secondo la quale ormai le donne deciderebbero di interrompere la propria gravidanza quasi come una forma di contraccezione, senza “dare la giusta importanza” alle proprie scelte.
Ma è davvero così?
Secondo la Relazione del ministro della Salute sull’attuazione della Legge 194/78 per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza risalente al dicembre 2017, nel 2016 ci sono state in Italia 84.926 interruzioni di gravidanza. Il dato mostra una riduzione del 74,7 per cento rispetto al 1982 e segue un trend discendente decennale.
Secondo gli stessi dati, nel 2016 la maggior parte sono state donne tra i 25 e i 24 anni e nubili. Il 44 per cento di esse non aveva figli, il 46 per cento possedeva una licenza media superiore e il 47 per cento risultava occupato.
Le ragioni dietro all’interruzione volontaria di gravidanza
Se ottenere questi dati a livello nazionale, ma anche internazionale, è relativamente semplice, più complicato è invece trovare ricerche quantitative recenti e attendibili sulle ragioni che spingono le donne, non soltanto in Italia, ad interrompere la propria gravidanza.
Una risposta semplice semplice sarebbe che le donne decidono di abortire perché rimaste incinte: scriveva nei suoi Scritti di Rivolta Femminile nel 1980 l’autrice Carla Lonzi che “la donna viene responsabilizzata di una situazione che invece ha subito. (…) Una volta incinta la donna scopre l’altro volto del potere maschile, che fa del concepimento un problema di chi possiede l’utero”.
Al di là della discussione su come i figli si facciano in due e su come la responsabilità della contraccezione non dovrebbe assolutamente ricadere soltanto sulla donna – e sulla conseguente necessità di un più libero accesso alle diverse forme di contraccezione e a un’educazione sessuale più completa e rigorosa – sono diversi gli studi in giro per il mondo che hanno preso in esame con modalità diverse le ragioni delle donne che abortiscono.
Uno studio del 2004 sulle motivazioni di 80 donne in Norvegia volto a identificare le ragioni più importanti dietro all’aborto volontario – che nel Paese scandinavo è diventato legale nel 1978 – ha elencato una lista delle motivazioni più frequenti tra le intervistate.
Tra queste troviamo “la mia educazione o il mio lavoro sarebbe molto difficile da portare a termine o continuare”, “un bambino dovrebbe essere voluto, e questo non lo è”, una condizione finanziaria che renderebbe difficile dare una vita dignitosa al bambino, la riluttanza del partner maschile ad avere un figlio in quel momento, il fatto di avere già abbastanza figli, quello di non voler essere una madre single, quello – semplicemente – di non volere figli e quello di aver ricevuto pressioni dal partner. La preoccupazione che il feto possa essere deformato o malato si trova al decimo posto tra le motivazioni più comuni.
Uno studio del 2004 compiuto su 1.209 pazienti negli Stati Uniti ha confermato, almeno parzialmente, i dati relativi alle scelte delle donne norvegesi, giungendo alla conclusione che “la decisione di abortire è motivata da ragioni multiple, diverse e correlate. Il tema della responsabilità verso gli altri e della scarsità di risorse, come le ristrettezze finanziarie e la mancanza di supporto da parte del partner è risultato ricorrente nello studio”.
Dallo studio sulle donne statunitensi è emerso che il 74 per cento delle intervistate riteneva che avere un figlio avrebbe interferito con la loro educazione, il loro lavoro o con la capacità di prendersi cura di altre persone di cui già si era responsabili, mentre il 73 ha riportato di non potersi permettere economicamente un bambino in quel momento.
Il 48 per cento ha detto di non voler essere una madre single o di avere problemi gravi nella propria relazione. Il 10 per cento aveva già avuto figli, mentre quasi un terzo non si riteneva pronto ad avere figli.
Una ricerca quantitativa svolta via sondaggio telefonico nel 2003 per l’Università di Helsinki su 645 donne che avevano deciso di interrompere la propria gravidanza ha mostrato l’incidenza, nella fascia d’età sotto i 25 anni, della scelta di abortire per via della propria situazione di studente o di madre single, mentre tra i 25 e i 34 anni le ragioni si spostavano piuttosto verso la volontà di smettere di procreare, avendo raggiunto già il numero desiderato di figli. Sopra i 34 anni, invece, le donne sembrano decidere di interrompere la gravidanza soprattutto per motivi lavorativi o per l’instabilità della relazione con il proprio partner.
In ogni caso, come sottolinea quest’ultimo studio stesso, “la letteratura esistente (riguardante i motivi per cui si decide di optare per l’aborto volontario) è stata definita ‘confusionaria’ per via delle sostanziali differenze contestuali, teoretiche e metodologiche tra gli studi”.
Statisticamente, comunque, la ricerca dell’Università di Helsinki ha mostrato come quasi la metà (il 48 per cento) delle gravidanze indesiderate risultino comunque nella decisione di tenere il bambino.
Come sottolineato da un paper del 2018 dell’ESHRE Capri Workshop Group, che si occupa di questioni riproduttive, nonostante alcuni soggetti anche in Europa possano ancora considerare il ricorso all’aborto un’aberrazione, “per le singole donne una gravidanza indesiderata può essere un disastro”.
Ma, sempre al di là della retorica sulla donne da responsabilizzare e da convincere a “fare la cosa giusta”, le soluzioni non stanno sicuramente nella riduzione del diritto all’aborto.
Considerando che la storia di questa pratica medica si perde nel tempo – la prima testimonianza scritta risale al 1550 avanti Cristo – e che gli aborti svolti in contesti non sicuri causano 47mila morti e 5 milioni di ricoveri ospedalieri all’anno nel mondo, le soluzioni (se si vogliono trovare) starebbero, piuttosto, in un cambiamento culturale, sociale e politico radicale che aiuti a cancellare le ragioni per cui le donne ricorrono, in primo luogo, a questa scelta.