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L’allarme di Alessandro Maggi, presidente di Assortopedia: ““Questi livelli di assistenza non tutelano le categorie più fragili”

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“Non difendiamo le imprese che rappresentiamo ma soprattutto i pazienti. Questo deve essere chiaro”. Alessandro Maggi, presidente di Assortopedia, si unisce al grido di allarme di altre associazioni per la situazione paradossale creata dal documento di revisione dei Livelli Essenziali di Assistenza, i famigerati LEA, che stanno creando non pochi problemi alle categorie più deboli. Il prossimo 8 novembre se ne parlerà al webinar “Ausili complessi e inclusione”.

“Assortopedia” dice Maggi “ha seguito tutto l’iter che ha portato al nuovo decreto sui LEA. Abbiamo cercato di sottoporre all’attenzione del Ministero quelli che erano i limiti più evidenti del provvedimento, non per difendere i nostri interessi ma per tutelare in primo luogo la realtà oggettiva della situazione che si è venuta a creare, per alcuni aspetti paradossale, e in particolare per difendere gli interessi dei pazienti, perché la riabilitazione e l’assistenza alle persone con disabilità dovrebbe essere l’obiettivo verso il quale procedere insieme. Così invece non sembra essere”.

Perché?

“Stiamo cercando di correggere uno strumento che è estremamente ambizioso nei principi ma che ha avuto una gestazione lunga e faticosa, portandosi dietro contraddizioni vistose. Le scelte che sono state fatte in termini di assistenza essenziale garantita sono state ispirate soprattutto a principi di carattere economico, di risparmio. Un criterio che non ci vede contrari in assoluto ma che in questi termini e con queste caratteristiche impedisce alle aziende di continuare a fornire un servizio di personalizzazione di alto livello e di assecondare al meglio il bisogno riabilitativo delle persone. Questo è particolarmente grave perché si riflette sulla quotidianità di migliaia di persone, sulla loro qualità della vita, ancor di più rispetto alla qualità del servizio degli ortopedici.  Un impianto normativo che si fonda su un assunto sbagliato: ciò che viene prodotto in serie (in termini di produzione industriale) non può essere riconosciuto come dispositivo ‘su misura’, personalizzato, individuale. Cosa che invece, anche a livello di filiera produttiva, nei fatti è. Perché se parliamo di carrozzine o di sistemi basculanti il grado di personalizzazione del singolo dispositivo medico è assolutamente paragonabile a una progettazione calibrata sulle esigenze del singolo. E il ruolo del tecnico ortopedico non è certo quello di assemblare meccanicamente prodotti differenti.”

Quale ritiene sia l’aspetto più delicato e da modificare con urgenza della nuova normativa?

“Il riverbero più immediato di questa impostazione, che con altri contestiamo, si riflette sulle procedure di gara dove è impossibile reperire presidi ad alta complessità. La realtà è che le regioni si sono astenute da questi nuovi criteri, oppure si sono avventurate in territori minati, creando danni all’erogazione stessa di questi dispositivi.  Oggi la realtà è che il sistema delle gare è fuorviante. Nulla in contrario al sano principio che il Servizio Sanitario debba puntare a evitare ogni spreco, ma è la stessa procedura per l’assegnazione dei punteggi che non ha senso. Qui si risparmia, sì, ma sulla pelle degli assistiti. Dobbiamo intenderci bene: ogni prodotto offerto deve ottenere un punteggio dove la qualità debba risultare prevalente, ma questi valori non possono indicare semplicemente un capitolato e non invece certificare e premiare, ad esempio, un elemento di innovazione tecnica. Per farmi capire: non si può ragionare esclusivamente sul prezzo più basso di una carrozzina senza capire le differenze di qualità della stessa. È successo che vincessero le gare carrozzine in ferro e non in alluminio, quando invece chi opera in questo settore sa bene che inevitabilmente l’alluminio costa di più all’azienda produttrice e che quindi il prezzo sarà sempre più alto. Ma il prodotto finale in ferro non può essere considerato un vantaggio per l’assistito. È esattamente il contrario. Oggi poi i prezzi delle materie prime sono alle stelle: la realtà è che si deve tenere conto di più fattori, non è possibile ragionare in termini meramente economici. Non si può lavorare solo sul principio del ‘prezzo scontato’. La qualità, l’innovazione, la ricerca devono essere sostenute. E valutate. Non a vantaggio delle imprese produttrici, ma del paziente, del disabile. Perché alla fine chi paga sulla propria pelle certe scelte burocratiche sono loro”.

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