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Home » Salute

Hiv, 15mila italiani sono sieropositivi senza saperlo

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Uno studio dell'istituto superiore di sanità rivela che in Italia circa 15 mila cittadini sono sieropositivi, ma l'infezione non è stata mai diagnosticata. Seimila sono già in fase avanzata

Circa 15mila italiani sono positivi all’Hiv, ma i loro casi non sono ancora stati diagnosticati.

Tra di essi, circa 6mila sono già nella fase avanzata, poiché l’infezione va avanti da diversi mesi, e soffrono di un abbassamento dei valori del sistema immunitario.

L’82,8 per cento dei malati non ancora diagnosticati sono maschi e hanno contratto il virus per via sessuale.

A riportare questi dati sono i ricercatori dell’Istituto superiore di sanità in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Eurosurveillance.

La ricerca abbraccia il  periodo 2012-2014.

In Italia, le persone affetta da Hiv sono circa 130mila.

“Di questi, 15mila non hanno ricevuto una diagnosi”, ha spiegato Vincenza Regine, ricercatrice dell’Istituto superiore di sanità.

“Nell’Unione europea, si stima che i casi non diagnosticati siano 101mila, di cui circa il 33 per cento in fase avanzata”. I dati europei si riferiscono al 2016.

Scoprire tardi di essere sieropositivi diminuisce le possibilità di ottenere benefici dalle terapie antiretrovirale e il trattamento ha dei costi più elevati.

Il rischio di malattie o morte aumenta con l’avanzare dell’infezione, a causa dell’abbassamento dei livelli del sistema immunitario.

Inoltre, un soggetto affetto da Hiv senza saperlo può essere un veicolo di diffusione del virus per via sessuale.

Gli italiani a cui non è ancora stato diagnosticata l’infezione “sono a un passo dall’Aids conclamato. Chi invece riceve una diagnosi di sieropositività e inizia un trattamento vive più o meno quanto una persona sana”, spiega l’epidemiologo dell’Istituto di sanità, Gianni Rezza.

Le persone infettate sono tante in Italia”, continua Rezza. “Indubbiamente in questi ultimi anni si è parlato molto meno di Hiv e Aids e si sono fatte meno campagne di sensibilizzazione, che andrebbero invece potenziate”.

Cos’è l’Hiv e come si diagnostica

Il virus dell’immunodeficienza umana o Hiv è l’agente responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita, detta anche AIDS.

L’AIDS è una malattia che rende difficile al corpo contrastare le altre malattie infettive.

Il virus dell’Hiv infetta e danneggia una parte delle difese immunitarie del corpo che contrastano le aggressioni esterne. In particolare, il virus attacca i linfociti, un particolare tipo di globuli bianchi che hanno il compito di contrastare i batteri e virus.

L’Hiv può essere trasmesso con il contatto diretto con il sangue o con i liquidi del corpo di chi è già infettato dal virus.

Il contagio può avvenire, per esempio, avendo rapporti sessuali non protetti con una persona infetta.

Una donna affetta da Hiv può trasmettere per via verticale il virus al figlio durate la gravidanza, al momento del parto o anche per allattamento al seno.

L’infezione viene diagnosticata a seguito di esami del sangue.

Il test utilizzato come test Hiv è il “Hiv-Ab”, che permette di rivelare la presenza nel sangue di anticorpi prodotti dal nostro organismo per contrastare il virus e indicati con la sigla “Hiv ab”. Il metodo utilizzato per l’analisi prende il nome di Modello ELISA.

Il test non può essere eseguito subito dopo il possibile contagio: quando il virus penetra nell’organismo, gli anticorpi anti-Hiv non si formano immediatamente.

Esiste infatti un periodo chiamato “periodo finestra”, nel quale si è stati contagiati e si è contagiosi, ma nell’organismo non è ancora avvenuta la sieroconversione e non si sono ancora formati gli anticorpi che contrastano l’Hiv.

Si effettua un primo test dopo almeno un mese o un mese e mezzo dal possibile contagio e dopo 3 mesi si effettua il secondo.

Un risultato positivo del test ELISA deve sempre essere confermato dal test Western Blot, per avere una diagnosi certa.

Non esiste ancora una cura per l’Hiv. Le terapie attuali cercano di impedire la replicazione del virus nell’organismo e di limitare i danni, così da consentire una sopravvivenza e una qualità di vita migliori.

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