Voto ai 16enni, Pisapia a TPI: “Si guarda con sospetto ai giovani ma sarebbe una buona palestra per la democrazia. Io proposi nel 1997”
L'europarlamentare dem ed ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia è stato tra i firmatari di una delle primissime proposte di legge per la concessione del diritto di voto dai sedici anni
Voto ai 16enni, Pisapia a TPI: “Io lo proposi nel 1997”
Voto a 16 anni, questo tema da giorni tiene banco su media e social. La proposta, lanciata dall’ex presidente del Consiglio Enrico Letta nell’ambito di un’intervista concessa al quotidiano Repubblica, ha raccolto l’opinione favorevole di esponenti politici di ogni partito, dal Movimento 5 Stelle al Partito Democratico al premier Giuseppe Conte.
Non è la prima volta che l’opinione pubblica e la politica affrontano questo tema, anzi, il dibattito prosegue incessante da almeno vent’anni. Nel recente passato, poi, numerosi leader di partito si sono detti favorevoli all’abbassamento dell’età minima per il diritto di voto dai 18 ai sedici anni, tra cui il segretario della Lega Matteo Salvini e il fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo.
A distanza di tempo, si torna ora a discutere della tematica del voto a 16 anni, che vede due fronti decisamente contrapposti: da un lato i favorevoli sostengono che sarebbe giusto allargare la platea ai giovanissimi che al momento sono sotto-rappresentati a livello elettorale per cause soprattutto demografiche; dall’altro, invece, il fronte dei detrattori critica la proposta perché a sedici anni ben pochi giovani sarebbero in grado di esprimere un voto coscienzioso e informato per mancanza di competenze.
Per inquadrare meglio la questione, TPI ne ha discusso con l’europarlamentare dem ed ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, tra i firmatari di una delle primissime proposte di legge per la concessione del diritto di voto dai sedici anni.
Voto a 16 anni, parla Pisapia
Mi sembrava il giusto riconoscimento del ruolo che avevano i giovani nella vita pubblica. Dalla scuola al volontariato, dal tempo libero all’impegno collettivo, i sedicenni erano già protagonisti autonomi delle loro scelte.
La seconda ragione era che le decisioni assunte dal Parlamento riguardano in gran parte il futuro dei giovani. Sono cose che pensavo più di vent’anni fa e che oggi ritengo più che mai attuali. Con tutti gli strumenti che oggi la tecnologia e l’innovazione ci offrono è ancora più rapido e realizzabile il principio “conoscere per deliberare”. Il voto ai sedicenni è una presa d’atto del loro ruolo di cittadini a pieno titolo nel nostro Paese.
Evidentemente perché non è vero che tutti sono d’accordo. È una questione di valutazione soggettiva. Non è che i buoni la pensano in un modo e i cattivi in un altro. Credo che anche in questa, come in molte altre questioni delicate che interrogano le coscienze – ad esempio per restare all’attualità, il dibattito sul fine vita – il modo di procedere corretto sia quello di lasciare ai parlamentari libertà di voto.
In questo modo al di là degli schieramenti, se è una riforma che la maggioranza del Paese considera matura, potrà essere approvata. Il voto a sedici anni in Italia può essere un segnale per l’intera Europa; un segnale chiaro di maggior coinvolgimento dei nostri giovani nella vita democratica. Non solo a parole, ma con i fatti.
A volte la maturità e la competenza non c’è neanche a diciotto, e nemmeno a venti, o a trenta… Ma non bisogna fare valutazioni soggettive. Sono convinto che la società di oggi metta nelle condizioni i giovani di conoscere e di poter scegliere con criterio. Lo stesso che muove le scelte degli adulti.
In realtà mi pare che, non solo nel nostro Paese – penso ad esempio all’Austria, l’età della classe politica si sia molto abbassata. Abbiamo appena avuto un vice premier di 30 anni! E se devo essere onesto devo dire che non mi pare che il solo criterio dell’età sia garanzia sufficiente di lungimiranza.
Il coinvolgimento dei giovanissimi con il voto mi sembra una buona palestra per aiutare i più “senior” ad avere visioni politiche più “fresche” e i più giovani a imparare a fare i conti con le difficoltà del governare.
Pensiamo solo alle battaglie ambientali. Noi adulti possiamo studiare, possiamo aggiornarci, possiamo sforzarci di decodificare le richieste e i pensieri dei nostri ragazzi, ma vi sono degli evidenti limiti. I giovani devono cogliere che la politica non è una cosa distante da loro. Al contrario essi devono “sporcarsi le mani” mettendoci la faccia battendosi per le loro idee.
Non credo a questa divisione manichea tra giovani e meno giovani. Le differenze passano tra persone diverse, con culture e valori diversi, non di età diversa.
Per quanto mi riguarda nella mia esperienza da sindaco di Milano ho scelto di avere degli assessori giovanissimi e credo che, insieme, siamo riusciti a fare delle ottime sintesi.
Loro mi hanno insegnato molte cose, hanno portato un valore aggiunto notevole, ma quello che ha funzionato è stato il mix di freschezza ed esperienza. Siamo un popolo che guarda ancora con sospetto un giovane che ricopre un ruolo chiave. In altri Paesi è la norma, da noi un’eccezione.