Elezioni Verona, Veronica Atitsogbe a TPI: “Volevo sentirmi parte attiva della città. Con Tommasi ora si può”
“Sono una di quelle persone che ha voluto fare un’altra forma di politica perché non si sentiva rappresentata da quella che solitamente immaginiamo. Per cui ho sempre fatto associazionismo. Ho iniziato questo percorso senza immaginare che sarei arrivata a ricoprire questo ruolo. Ho sempre avuto un po’ di reticenza nel dire “faccio politica” ed esporsi è sempre un po’ difficile. Poi, conoscendo la persona di Damiano Tommasi, ho capito che potevo dare una mano e che potevo portare il suo messaggio alle seconde generazioni – la realtà che più mi è vicina – e poi anche a tutte le persone che possono rivedersi in me: giovani, donne, attivisti”.
Veronica Atitsogbe, 28enne nata a Verona da genitori originari del Togo, presiederà la prima seduta del Consiglio comunale di Verona. È lei la più votata nelle liste di Damiano Tommasi, il neo eletto sindaco della città veneta, “strappata” alla destra. Atitsogbe è la prima italiana di seconda generazione all’assemblea municipale di Verona. A TPI racconta il percorso che l’ha portata fin qui.
Nata a cresciuta a Verona?
Sì, i miei genitori provengono dal Togo, storia molto simile a tante, si sono trasferiti in Italia principalmente per vivere un’esperienza poi hanno deciso di rimanere e siamo nate io e mia sorella. Dopo le superiori ho scelto di studiare a Trento, periodo che mi è servito molto come crescita personale. Per motivi di lavoro sono tornata a Verona e concluso i miei studi con una magistrale e un erasmus. Andando fuori mi sono resa conto di più che a Verona mancava qualcosa, anche a livello di spazi aggregativi destinati ai giovani. Così poi ho deciso di fondare l’associazione con due ragazze (Afroveronesi). E poi in modo molto strano sono arrivata a Damiano Tommasi.
Perché dice in modo strano?
A convincermi è stato un altro compagno di attivismo, Jacopo Ruffolo, lui mi ha detto “perché non provare a portare le battaglie in un campo più politico?”. Ha parlato di me a Damiano Tommasi che poi mi ha fatto questa proposta e ho deciso di scendere in campo. Fino all’ultimo ero molto scettica. Non avrei mai pensato di avere tante preferenze.
Verona: la città è cambiata, sta cambiando? Che esperienze ha vissuto?
Prima di tutto ho dovuto fare un viaggio di consapevolezza, avendo io origini straniere mi sono anche sempre sentita come quella diversa. Per cui in città mi sono sempre posta come non parte integrante del contesto cittadino. Poi però ho fatto un percorso e ho capito che non dovevo sentirmi esclusa.
Quando ha sentito l’esigenza di fare di più?
Il momento che ha creato la spaccatura è stato il congresso delle famiglie del 2019: in quel momento ho capito di provenire da una città che proponeva una cosa del genere ha fatto scattare in me un cambiamento. E non solo in me. La contro manifestazione che si è svolta ha forse segnato un cambio di passo. Si è vista una folla desiderosa di un cambiamento e una parte civile molto diversa. C’è stata una parte civile molto attiva in questi anni, siamo scesi in piazza per portare temi importanti che dal Comune non erano sostenuti.
Chiedo bruscamente: Verona è razzista?
Ci sono diverse forme di razzismo. Magari non c’è il singolo episodio in cui vieni presa da parte e insultata, cosa che comunque ho vissuto, ma è un’altra storia. Ma razzismo è proprio non avere un riconoscimento da parte della città. La mia elezione però porta anche a contraddire questo. Oltre a ciò che rappresento penso abbia anche prevalso altro, lo vedo anche dal fatto che persone che non credevo mi avrebbero mai votato lo hanno fatto. Alcune persone invece si sono fermate solo sul mio aspetto fisico e non andando oltre, qui vedo che Verona è ancora ferma. Credo che questa elezione, non mia, anche quella di Tommasi significhi che c’è un’evoluzione della città.
Rispetto alla questione della cittadinanza italiana, cosa pensa di ius scholae, di Kaby Lame e diritti?
La cittadinanza non può essere un premio, ci sono persone che nascono o vengono qui da piccole e non avere questo riconoscimento a livello sociale significa escluderle dalla società, privarle di diritti. Ragazzi e ragazze che hanno fatto un percorso di studio, fermi su tanti livelli. Va fatto un atto di “coraggio”, che nemmeno chiamerei coraggio. La società dal 92 a oggi è cambiata. Adesso si discute sullo Ius Scholae, mi auguro che la riforma vada in porto, ci sto lavorando anche io con l’associazione a livello nazionale, anche grazie al gruppo “Dalla parte giusta della storia”.
È anche per uno ius soli?
Per ora cercherei di concentrarci sullo ius scholae; per aiutare almeno quel milione di ragazzi a raggiungere un diritto. Il Pd ora deve trovare il coraggio di portare avanti queste battaglie.
La famiglia come ha preso questa tua volontà politica?
Mi hanno supportato, mia sorella è stata la prima a supportarmi. Hanno anche un po’ paura per me ma sono felici.