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Home » Politica

Non sono i governi che comprano i vaccini, ma i vaccini che comprano i governi

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Per capire quanto sia grave la situazione nella prima Guerra dei Vaccini (quella che è appena scoppiata, senza che nessuno la dichiarasse) basta rileggere, malgrado sia stata riportata in forma indiretta e attenuata – sia nei retroscena che nelle cronache – la battuta fatta giovedì da Mario Draghi nel vertice dei capi di stato dell’Unione europea sulla pandemia: “Va presa in considerazione l’idea di vietare l’export di vaccini alle aziende che non rispettano gli impegni contrattuali verso l’Unione”, ha detto il premier italiano.

Draghi ha raccolto reazioni gelide, sia dentro il vertice che fuori, dove le aziende produttrici si sono risentite. L’attacco esplicito del presidente del Consiglio italiano ai signori dei vaccini è la prima prova tangibile che svela un segreto di Pulcinella sopravvissuto fino ad oggi: se esiste un mercato parallelo dei vaccini, in queste ore, in Italia e nel mondo, è perché questi vaccini qualcuno li produce e li vende.

E, se c’è qualcuno che li vende, è perché le falle sono aperte in entrambi i capi della catena: sia a quello terminale, dove si vende, che a quello di partenza, dove si produce.

Un signore che di mestiere fa il mediatore saltuario, pochi giorni fa, mi ha detto: “Se si sa cercare, in ogni momento, persino su Alibaba si trova qualcuno che vende milioni di dosi: 8 su 10 di loro sono millantatori, gli altri hanno i quantitativi con cui si può vaccinare un intero Stato”.

Ecco perché il segreto di Pulcinella, fino a ieri, è stato quello che ha permesso di far finta che questo “mercato parallelo” non esistesse, per il semplice motivo che dal punto di vista contrattuale si diceva che non potesse esistere.

Era vero il contrario: può esistere perché (inspiegabilmente) i contratti restano secretati. Di nuovo la battuta folgorante del mediatore anonimo che mi ha chiamato: “Noi siamo ancora convinti che i governi stiano comprando i vaccini. Mentre, piuttosto, è vero il contrario. Sono i vaccini, oggi, che stanno comprando i governi”.

Ovviamente non si tratta solo di una battuta ad effetto, di una iperbole provocatoria. Già adesso le campagne vaccinali “comprano” il consenso e cambiano l’immagine di chi governa con le loro forniture.

Già adesso gli Stati perseguono la loro politica di egemonia con le dosi. E, per rendersi conto di quanto sia vero, basta mettere in fila informazioni che fino ad oggi abbiamo raccolto in ordine sparso.

Come i vaccini dati dalla Russia alla Siria di Assad per liberare un ostaggio. Come i rapporti di forza in Europa e gli stock acquistati dalla Germania. Come la parabola di Netanyahu, che vince o perde le prossime elezioni in Israele grazie alla fornitura di Pfizer (barattata sia con soldi e che con dati sanitari).

Oppure basta riflettere su Boris Johnson, il premier britannico che può rivincere le elezioni grazie alle dosi di AstraZeneca, ottenute prima di noi, in virtù dell’uscita dai vincoli dell’Ema e dell’Europa. BoJo oggi “ricostruisce” la sua immagine pubblica, dopo il terribile doppio colpo della malattia e degli errori commessi nella prima fase.

Ma parlo anche dei cinesi che testano il loro siero in Arabia, usando un Paese come cavia, prima di somministrare un solo vaccino in casa propria. O del vaccino di Cuba nel terzo mondo, e ancora di quello di Sinovax che salva il governo del Cile nel suo momento più difficile con una ottima campagna vaccinale. Per arrivare persino ai tour operator che vendono vacanze con doppio richiamo negli Emirati Arabi.

Domenica scorsa mi è capitato di parlare con Luciano Rattà, l’ex “uomo senza volto” (oggi lo ha di nuovo) dei vaccini. Ovvero l’imprenditore che aveva offerto il famoso stock di 15 milioni di dosi alle Regione Veneto.

Rattà, commerciante del ramo sanitario, dopo l’inchiesta di PiazzaPulita che aveva rivelato la sua esistenza, appariva con il volto celato a Non è l’Arena di Massimo Giletti, perché – diceva – “questa storia può farmi perdere 2 milioni di commesse”.

Io in diretta lo avevo appena definito un commerciante della “borsa nera”, lui aveva detto di se stesso che doveva essere considerato come “uno che svolge un servizio”.

Giovedì Rattà appariva in due programmi in contemporanea: di nuovo a PiazzaPulita, come oggetto di inchiesta, per le sue ipoteche, in una controinchiesta in stile americano. E poi intervistato da Paolo Del Debbio, su Rete4, con il suo mantra: “Io salvo vite”.

Formigli si interroga su come una società che ha solo 45 euro di liquidità possa avere una commessa da 21 milioni di euro. Del Debbio invece sposava la sua tesi: “Se lei può portare in Italia delle dosi che non ci arriverebbero, sta davvero svolgendo un lavoro utile”.

Dettaglio non da poco: per questo lavoretto Rattà contava di incassare 0,20 centesimi di euro a dose, che moltiplicati per 15 milioni di dosi produce la modica cifra di 3 milioni di euro di commissione.

E qui si torna alla posizione di Draghi: se l’Unione europea la sposasse, non esisterebbero né Rattà, né le offerte su Alibaba, e nemmeno nessun altro mediatore.

La polemica del presidente del Consiglio italiano, però, ci segnala che questo esito non è indifferente: e ci dirà se i vaccini resteranno un mercato protetto (e quindi regolamentato) dagli Stati. Oppure se commerciare vaccini sarà come vendere patate o mascherine, come sognano i tanti Rattà attivi in queste ore sulla scena globale.

Diventa allora importante indagare la figura di questo imprenditore lombardo, con i suoi doppiopetti gessati e i suoi capelli lunghi tagliati alla moda, il viso abbronzato e un passato nel settore dell’abbigliamento e (come candidato minore) in Forza Italia. Uno di quegli uomini che appaiono come meteore e involontariamente illuminano un mondo.

Non avremmo scoperto la sua esistenza, se un sondaggista, Luigi Crespi, e il suo commercialista, Alessandro Arrighi, non si fossero presentati a casa sua con una telecamera nascosta, e non avessero filmato oltre un’ora di colloquio con la sua proposta.

Rattà sembra fatto apposta per dividere l’opinione pubblica. Io lo incalzo per chiedergli se non si senta “uno speculatore”. Lui mi ribatte: “Se non lo faccio io, lo farà un altro. E porterà quei vaccini in un altro Paese. È questo che volete?”.

Quel che è certo è che personaggi come lui si svelano i segreti e le falle di un sistema in cui ogni ora si muovono milioni di euro, e da cui dipendono le vite di molti cittadini.

Quando Crespi lo accusa di essere “uno sciacallo”, per esempio, l’imprenditore risponde con un annuncio di querela. Così provo a ricordargli che lui vende qualcosa che gli Stati hanno già pagato. E lui ribatte: “Io so come funziona il mercato meglio di voi. L’America ha pagato il vaccino a Pfizer 20 euro a dose. Israele 28, l’Europa 12. Se lei fosse Pfizer, chi rifornirebbe prima?”.

Quello che i mediatori dimenticano di ricordare è che l’Europa (e la Germania) hanno finanziato la ricerca della BioNTech. Ovvero della società di ricerca fondata da un figlio di immigrati turchi, Ugur Sahin, e da sua moglie, che è arrivata “prima” nel mondo, assicurando il suo brevetto a Pfizer.

Quello che le grandi aziende non raccontano è che ci sono contratti di fornitura tra gli Stati e le Big Pharma che non sono stati rispettati.

Ma i sostenitori del “libero mercato” dei vaccini rispondono che nessuno ha letto in integrale i contratti di fornitura con l’Europa. E assicurano che in realtà non ci sia nessuna esclusiva. Questo è un altro punto di verità, purtroppo: perché parti importanti di questi accordi restano tutt’ora secretate, malgrado le tante dichiarazioni di Ursula von der Leyen.

Ma, se fosse vero quello che dice la presidente della Commissione europea, da dove saltano fuori le sue dosi – milioni, non migliaia – che finiscono sul mercato parallelo?

Sempre Rattà sostiene che la partita che lui aveva offerto a Zaia era disponibile quando la proposta era stata fatta, due settimane fa. Poi a me ha detto, invece: “I miei fornitori si sono tirati indietro”. Giovedì, da Del Debbio, curiosamente, ha cambiato ancora versione: “Si potrebbero ancora comprare. Anche se io posso venderli solo agli Stati”.

Dice la verità o bluffa? Mistero. Giovedì l’imprenditore appariva a volto scoperto, mentre solo domenica scorsa diceva di dover celare le sue fattezze: “Per difendermi da accuse folli che mi piovono sulla testa”.

Nel video trasmesso da PiazzaPulita, affermava di avere “i camion frigo pronti da consegnare”. A me ha detto: “Non esiste nessun camion frigo. Io sono solo uno che colloca uno stock”.

La domanda che mi faccio, a questo punto, è: possibile che gli Stati non fossero a conoscenza di questo mercato parallelo fino all’annuncio di Zaia?

È sintomatico che l’imprenditore si lamenti dicendo: “Sono venuti da me con l’inganno fingendosi compratori per conto di Regione Lombardia e di Gallera”. Se è un mercato legale, come dice lui, perché avrebbe dovuto arrabbiarsi se qualcuno ne rivelava l’esistenza? Altro mistero.

Finché ha retto il segreto di Pulcinella queste domande potevano restare senza risposta. Oggi non più.

Altro dettaglio non da poco: quando gli chiedi come mai non abbia mai offerto le dosi ad Arcuri, Rattà spiega: “Tutti i miei colleghi che hanno fatto delle offerte sono stati denunciati. Non a caso, la prima cosa che Arcuri ha chiesto, quando ha saputo di me da Zaia, è stato il numero del lotto”.

E qui c’è un altro punto decisivo, che si ricollega al discorso di Draghi: il lotto è la carta di identità di ogni partita di vaccini. Quello che impedisce, ad esempio, che le forniture che escono dalla porta a prezzo di favore destinate ai Paesi del terzo mondo possano rientrare dalla finestra sui mercati dei Paesi avanzati, a prezzo maggiorato. E con una doppia beffa: crea plusvalenza e sottrae dosi ai più poveri.

Il numero seriale serve anche a capire se le offerte sono reali o se sono una truffa. E Rattà, che spiega di essere “un mediatore regolarmente iscritto all’albo del ministero della Salute”, sostiene che lui non può fare il numero dei lotti perché funziona esattamente come quando si compra una macchina: il numero del telaio che si ottiene non è quello del giorno in cui si paga l’auto, ma quello del giorno in cui questa viene consegnata.

“Oggi è una cifra, domani un’altra”. Ma è evidente che questo varco è lo scudo migliore dietro cui si può nascondere il mercato parallelo. Pfizer da giorni diffonde comunicati per ribadire che la società non fornisce mercati paralleli, e che vende solo agli Stati. Lo stesso ha fatto l’amministratore delegato di AstraZeneca.

Ma finché non scatta la minaccia delle sanzioni – ecco di nuovo la forza del discorso di Draghi – le maglie resteranno troppo larghe. E finché il pallino della produzione sarà in mano ai Signori del Vaccino, le forniture saranno legate alle loro filiere produttive.

Ecco perché, in fondo al discorso di Draghi, alla fine di quella catena logica, c’è l’unica possibile soluzione a questo rompicapo: bisogna obbligare le case farmaceutiche a consentire la produzione controllata, su licenza, agli Stati.

Ecco perché il caso del vaccino in Veneto è stato il grimaldello che ha scassinato il sistema coperto del mercato parallelo.

Questa non è una storia di lotti, e di commesse, non è la riffa delle mascherine, con i suoi appalti e le sue stecche. Questa sarà la storia più importante dei prossimi anni.

L’esito da scongiurare, a mio avviso, è che alla fine si produca un unico grande mercato vaccinale in cui Stati e privati si ritrovino in concorrenza, come su qualsiasi altro terreno, per procurarsi e commerciare le dosi. Le regole di ingaggio decise oggi determineranno il futuro nei prossimi trenta anni.

Per caso avete visto l’app (di successo in queste ore) in cui si inseriscono i propri dati anagrafici e si scopre la data in cui si verrà vaccinati se si segue il ritmo attuale? Io ho provato, e ho scoperto che, con i miei 50 anni, potrei attendere fino all’autunno 2021.

È chiaro a tutti che il primo giro di vaccinazione, in Europa, finirà proprio quando dovrà iniziare il secondo. Il mondo del dopo-Covid dipenderà dalle campagne vaccinali, dai tempi delle campagne vaccinali, dai loro dosaggi e dalla loro efficacia. Dalla velocità con cui arrivano o no una dose e una partita, dalla varietà delle offerte, e dalle risposte alle varianti del Covid. Dal secondo, e adesso – è notizia recente – anche dal terzo, richiamo.

I vaccini arriveranno a contare come le forniture del greggio a metà degli anni Settanta. Anzi, è già così. Solo che ancora non leggiamo tutti, nel modo corretto, le informazioni che sono già in nostro possesso.

Durante la Guerra Fredda contavano le potenze nucleari, ovvero quelle che avevano i loro arsenali all’Uranio e la capacità di utilizzarli sul campo. Dopo la pandemia conteranno quelli che avranno un loro vaccino da somministrare o da vendere. Siamo appena entrati – quasi senza accorgercene – nell’era della Geopolitica vaccinale.

Leggi anche: Cosa non sta funzionando nel piano vaccini

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