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Home » Politica

Da Trump a Salvini, da Meloni a Orbán: la politica nel nome di Dio

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Credit: AP Photo

L'ex presidente Usa si dice convinto di essere protetto dal Cielo. Il premier ungherese e la presidente del Consiglio vogliono “difendere” la Provvidenza. Il leader della Lega sbandiera il rosario. Anche se spesso le biografie dei politici hanno poco a che fare con la religione, la fede conta ancora alle elezioni. Così il miracolo è nelle urne

Dio vuole che io sia il presidente. Lo ha fatto intendere Donald Trump all’indomani del secondo tentativo di ucciderlo, subito lo scorso 15 settembre. Di una «grande battaglia per difendere l’identità della famiglia, difendere Dio» parlò anche Giorgia Meloni, un anno fa, in un incontro con il premier ungherese Viktor Orbán. “Dio, patria e famiglia” sono temi all’ordine del giorno anche nel dibattito politico nostrano.

Mistica e popolo
Per Alessandro Portelli, storico, già professore di letteratura angloamericana, «questa espressione di Trump, così come il riferimento a Dio dopo il primo attentato, esprime senza dubbio la megalomania del magnate americano». «Ma non dimentichiamo che abbiamo avuto personaggi e vicende analoghe nella nostra tradizione. In Italia Benito Mussolini era l’uomo della Provvidenza, Silvio Berlusconi si proclamava ”unto dal Signore”», ci ricorda Portelli. «Racchiudono entrambi l’idea che il potere, più che derivare da Dio, conferisca una posizione sacrale a chi lo esercita». Un’idea che ha radici storiche nella monarchia. «Ciò accade sempre di più in democrazie di taglio presidenzialistico, come quella cui ci stiamo avviando nel nostro Paese. E comprende echi di quella tradizione del “corpo mistico” del re», aggiunge. «Tale mistica del potere trova in Trump una manifestazione estrema ma non è il solo a esprimerla».

La fede, dunque, continua ad avere un peso nella scelta dell’elettorato nordamericano. «Parte della Chiesa cattolica è anti Kamala Harris perché sostiene il diritto di scelta delle donne; il Papa ha espresso una posizione equidistante tra i due candidati. Ricordiamo che c’è nella popolazione Usa una componente di origine latina cattolica e prevalentemente democratica, ma in questo contesto la maggioranza democratica fra i latinos tende a restringersi», spiega il professore. «Da Ronald Reagan in poi, inoltre, la tradizionale astensione della destra evangelica si è trasformata in un sostegno alle ali più reazionarie. Va sottolineato che ci sono comunque importanti tentativi di mobilitare i cristiani, sul piano dei veri valori di questa fede. Ancora, permane una componente musulmana piuttosto concentrata in determinati Stati e pesantemente discriminata. E la componente più conservatrice dell’elettorato ebraico ha un peso importante. D’altra parte, il gruppo di attivisti dei Jewish Voice for Peace ha manifestato per chiedere il cessate il fuoco a Gaza, lo scorso luglio, e 300 ebrei sono stati arrestati, un episodio che in altre realtà sarebbe stato inconcepibile».

«La democrazia Usa», rimarca Portelli, «si trova in una situazione complessa e contraddittoria, in cui la maggior parte della popolazione vuole un controllo delle armi ma  su questo tema non si riesce a determinare un compromesso». Secondo l’esperto, «larga parte degli americani è contraria alla pena di morte ma questa ancora sussiste in molti Stati, la richiesta di cessate il fuoco è maggioritaria ma non si concretizza, anche sulla salute riproduttiva una gran parte degli americani è per il diritto di scelta ma è stato in sostanza tolto dalla recente sentenza della Corte suprema».

Portelli, autore tra l’altro de “Il ginocchio sul collo” sulla vicenda dell’omicidio di George Floyd, “America profonda” e “Canoni americani”, non fa previsioni per il voto del 5 novembre. «Consideriamo che vige un sistema elettorale vecchio di tre secoli, creato proprio per mettere un filtro tra popolo ed eletti, un sistema che fa dipendere tutto da piccole minoranze, in cui non basta avere la maggioranza dei voti per essere eletti, come è stato nel caso di Hillary Clinton», sottolinea il professore. «Personalmente, ritengo che Kamala Harris sia una figura di centro, non c’è da aspettarsi niente di radicale da lei. La differenza è che di Harris non ho paura, di Trump sì. E quello che più spaventa è J.D. Vance vicepresidente, una figura criminosa dal punto di vista intellettuale e politico».

Tornando all’Italia, l’esperto prosegue: «Ritengo che sia cristiano chi si comporta come cristiano. Ma siamo nel Paese in cui Matteo Salvini sventola il rosario e attacca il Papa sui migranti, dunque non c’è da stupirsi. Penso che “cristiano” sia spesso più un’etichetta che ci si mette addosso per convenienza, non trovo nulla di cristiano in certi tipi di discorsi, in questo rimarcare la propria appartenenza, nella retorica sulla famiglia. Da non credente, anzi, l’uso volgare e opportunistico del sacro mi offende».

Tra lobby e realpolitik
Volgare o meno, il sacro funziona. Negli Usa, secondo una recente indagine del Public Religion Research Institute, nel 2023, i cristiani bianchi costituivano il 41 per cento della popolazione, mentre il 13 per cento della popolazione si identificava come protestante evangelica bianca e sette repubblicani su dieci come bianchi e cristiani, rispetto a solo il 24 per cento dei democratici.

Paolo Naso, docente di scienza politica all’Università La Sapienza di Roma, sarà negli Usa nei giorni delle elezioni, per una serie di incontri universitari e presso istituzioni religiose. Valdese, esperto di Stati Uniti, ha scritto “God bless America: Le religioni degli americani”, nel 2002. A lui chiediamo se vale ancora il motto “Dio benedica gli Stati Uniti”.

«La religione è una costante assoluta nelle campagne elettorali e in generale nella politica Usa», dichiara Naso. «Trump esibisce nei suoi comizi una versione particolare della Bibbia – che tra l’altro costa 60 dollari – in una chiave prettamente nazionalistica, usando strumentalmente il messaggio evangelico. In realtà nulla della sua biografia fa trasparire un ruolo della religione». Ma al di là di quanto sia o non sia credente, Trump può contare su una base di sostegno importante: «Il mondo evangelicale lo sostiene», afferma il docente. «I dati ci dicono che l’81 per cento dei maschi bianchi evangelici voterà per Trump. La sua sfida ora è ricostruire la base elettorale del 2016».

Ma chi sono gli evangelici americani, o per meglio dire gli “evangelicals”? «Sono dei cristiani conservatori che leggono la Bibbia in modo personale, rivendicano un rapporto diretto con Gesù, denunciano la decadenza degli Usa determinata dall’essersi allontanati dalla religione dei loro avi. Il loro sguardo è retrospettivo, teso a ricostruire una America degli anni ‘40-’50. Grandi nemici del movimento “evangelical” sono i diritti, il movimento Lgbtqi+, la secolarizzazione», ci spiega Naso. «Storicamente e teologicamente attraversano le diverse denominazioni e provengono dal mondo protestante ma lo criticano proprio perché avrebbe “ceduto” alle sirene dei diritti, del dialogo interreligioso. Hanno dunque un legame teologico con le chiese storiche della Riforma ma se ne sono progressivamente allontanati. E oggi rappresentano delle vere e proprie lobby che agiscono sul Congresso».

Dall’altro lato, Kamala Harris, sottolinea il docente, è «protestante, si è formata in una chiesa battista, figlia di madre di religione indù, ha sposato un ebreo». «È un caso interessante di “melting pot” religioso, vive il suo essere cristiana in modo articolato, è uno specchio realistico della società Usa di oggi», aggiunge. «Per questo, ciò che vuole rappresentare anche plasticamente il candidato repubblicano è che non si eleggerà solo un presidente ma un modello di nazione, si sceglierà tra un’America cristiana e una confusamente multiculturale».

E nel Vecchio continente, nel Belpaese, quanto conta la fede? «I livelli di secolarizzazione del linguaggio non sono paragonabili, la laicità in Italia e in Europa è un valore assodato. Anche quando pensiamo alla destra che recupera il rosario, il presepe, mi pare si faccia riferimento a un repertorio quasi “tirato giù dalla soffitta”», rimarca Naso. «Non mi sembra che anche l’Italia cattolica si senta rafforzata dall’esibizione di queste icone, accolte con una certa freddezza. Oggi lo sguardo della componente cattolica del Paese è più puntato sull’essenziale, sull’umanità delle scelte», prosegue. Quanto al Vaticano, con il Pontefice che ha invitato a «scegliere il male minore» nel voto Usa, il docente di scienza politica ricorda che «esiste una realpolitik vaticana e cattolica». «Non ci si poteva aspettare altro. Quello che è certo è che, ad esempio sul tema dei migranti, potrebbero arrivare delle delusioni, anche dalla candidata democratica. Non dimentichiamo che Obama fu visto come il nuovo messia ma poi su molte istanze non convinse nemmeno i suoi sostenitori e che gli Usa hanno equilibri complessi», conclude Naso. «Il Congresso è cruciale: l’anatra zoppa di Joe Biden insegna».

“God bless me”
Secondo Simona Siri, giornalista e scrittrice – il suo ultimo libro è “Mai stati così uniti” – che collabora con diverse testate statunitensi e italiane, tra le quali Vanity Fair e La Stampa, «tutti i sondaggi danno molto vicini i due candidati e, considerato il sistema americano, è davvero impossibile prevedere chi vincerà. Ci sono alcuni elementi chiari, come il fatto che la Pennsylvania è uno Stato-chiave ma è come un puzzle: e fino all’ultimo non sapremo» quali pezzi mancheranno. Quanto ai temi, alcuni sono realmente cruciali: come l’aborto, «non a caso nella convention repubblicana questa parola non è stata mai nemmeno nominata – è certamente un tema che gli fa perdere voti -, mentre la salute delle donne e la libertà di scelta sono stati un leit motiv dei democratici a Chicago». 

Il dibattito sulle armi va invece letto attraverso una lente Usa: «La battuta, infelice, di Harris sul fatto che possegga un’arma e che la userebbe, semplicemente, negli Stati Uniti non è una notizia. Anche se il linguaggio è cambiato, c’è la polemica sull’AR15, il fucile semiautomatico con cui sono state compiute numerose stragi e si parla in sostanza sempre più di “gun control”, di regolamentare l’uso delle armi», dichiara Siri. Quanto a Trump, «certamente gli evangelici sono parte della sua base, ma rispetto al 2016 le cose sono cambiate, ha perso ad esempio segmenti di voto tra le donne e le minoranze etniche».

L’impatto delle fedi sul voto è confermato anche da Marina Catucci, corrispondente dagli Stati Uniti per Il Manifesto: «C’è un uso strumentale della fede da parte di Trump, che è diventato un culto in sé. L’immagine del leader con il cerotto sull’orecchio è un’icona, si rappresenta come protetto da Dio. Più che “God bless America” è proprio “God bless me”». 

Una vera religione di Stato: «Quello che viene chiamato in modo dispregiativo “white trash”, il sottoproletariato urbano più fragile e problematico, include persone prone e pronte al fanatismo religioso», sottolinea Catucci. «Dobbiamo ricordare che c’è anche un’America rurale che vive un’altra situazione rispetto a quella delle grandi metropoli». È in queste differenze che si inserisce il discorso delle armi: «Che sia un orso, un nemico, o lo Stato federale» a cercare di entrarti in casa, è un tuo diritto difenderti.

Un quadro complesso e stratificato, dove le religioni però continuano a essere delle bussole per gli elettori. «C’è una lobby ebraica molto potente e ci sono anche comunità arabe, ad esempio in Michigan, molto forti, che furono determinanti nelle ultime presidenziali del 2020. Con Biden si sono sentite abbandonate e la loro astensione sarebbe un grosso danno per i democratici. O pensiamo al voto della popolazione ispanica, tradizionalmente di destra, che in questa elezione pare si stia riposizionando», aggiunge. 

Sui temi etici, come il diritto all’aborto, «c’è una sensibilità trasversale ed è per questo che in alcuni Stati potrebbe esserci un risultato inatteso». E poi il voto migrante: «JD Vance è riuscito nel miracolo di inventare un’invasione di migranti che non c’è, creando un cortocircuito» anche comunicativo rispetto alla popolazione haitiana in Ohio, con la fake news sugli immigrati che mangiano cani e gatti rilanciata da Trump e ripresa dal mondo intero. E nulla insomma, nelle prossime settimane, va dato per scontato: «Mettetevi comodi – chiosa Catucci – il risultato non lo sapremo la sera del 5 novembre».

Intanto, mentre si consuma la campagna elettorale Usa, alcuni dei grandi testimonial si alleano e si muovono nello scacchiere internazionale. È il caso dell’incontro tra la presidente del Consiglio italiana con Elon Musk. «Meloni vuole diventare la referente della destra mondiale e questo rapporto con Musk si inserisce in tale quadro», aggiunge la corrispondente negli Usa. Musk, che ha pubblicamente dato il suo endorsement a Trump, il quale a sua volta vede in Orban uno dei suoi maggiori alleati.

Destre sovraniste che si legano e leader carismatici che si affermano, dopo il crollo delle ideologie moriremo comunque tutti democristiani? «Pochi giorni fa Franklin Graham, noto predicatore evangelico (e fedelissimo di Trump, ndr), a Napoli ha riempito Piazza del Plebiscito con 20mila persone», ricorda Paolo Naso. «Parliamo di un personaggio che teorizza l’evangelizzazione dei musulmani e si iscrive perfettamente nel trend di un’organizzazione politica della destra religiosa. Ha senso immaginare una simile esperienza in Italia? Forse no ma qualche riflessione, guardando al clima politico degli ultimi anni, può certamente nascere».

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