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No, Toti non ha agito nell’interesse dei cittadini liguri (e lo sapevamo anche prima dell’inchiesta)

Immagine di copertina
Credit: AGF

Mi ero ripromesso di non metter becco nella vicenda Toti &C finché non si fosse dipanata chiaramente la tela presuntivamente illecita e corrotta tessuta dal governatore ligure e dai suoi presunti sodali/complici attorno al saporoso piatto delle Grandi Opere e annessi e connessi. Parli la magistratura. Ora però non posso più rispettare l’impegno autoassunto del silenzio – una sorta di wait and see – che mi sembrava doveroso.

La lettera vergata dai domiciliari dal governatore Toti, e affidata al postino-assessore nonché suo fedelissimo Giampedrone affinché venga tradotta in verbo nella seduta in cui verrà votata la mozione di sfiducia a Toti presentata dalle opposizioni, è un atto politico e insieme il tentativo disperato di sottrarsi alle proprie presunte responsabilità, queste sì penali.

Toti si aggrappa ad un sillogismo del quale soltanto Toti possiede la chiave. Ovvero di aver agito nella sua azione di presidente del massimo ente amministrativo locale nell’interesse della Liguria e dei suoi cittadini. Un solipsismo sostanziato dalla premessa, tutta da dimostrare, di aver intercettato l’approvazione della maggioranza dei liguri, intendendo riferirsi, presumo, ad un consenso che risiede al di fuori del perimetro del voto del 2020, peraltro “benedetto” soltanto dal 56% dei liguri recatisi alle urne. Nessun plebiscito, dunque. Ma una vittoria elettorale risicata. E comunque nessuna cambiale in bianco rilasciata dai liguri.

Sorvolo sul sorprendente permesso-Giampedrone concesso dal gip Paola Faggioni, con parere favorevole della Procura, e sull’indulgente concessione all’altro indagato illustre, Aldo Spinelli, di un incontro con i vecchi amici per una partita di scopone, medicina necessaria, pare, per alleviare il peso della solitudine piombata su un povero vecchio di 84 anni, fino a ieri peraltro, a leggere le intercettazioni dell’inchiesta, attivissimo ai tavoli da gioco del casinò di Montecarlo nonché nel frequentare giovanissime dame generosamente messe a disposizione dell’amico Paolo Emilio Signorini, costui tuttora ristretto in carcere (è stata appena respinta l’istanza di dirottamento ai domiciliari) e destinatario di quel po’ po’ di prebende: migliaia di euro in contanti per saldare i conti del faraonico matrimonio della figlia (70mila euro già versati e 12.500 da saldare al catering), altri donativi e bonus, ospitalità a cinque stelle all’hotel de Paris, non una ma 42 notti!

Poveretto, Signorini, costretto a vivere con lo stipendio mensile da presidente dell’Autorità portuale di appena 18mila euro. Una indecente miseria. Regali da un amico, senza alcuna contropartita politico-imprenditoriale, si era sgolato a giurare Signorini nel breve interrogatorio di fronte ai pm.

“Dal 2015 avevo finanziato tutti anche il Pd”, aveva ammesso il signor Candido, al secolo Aldo Spinelli, già noto alle cronache per essersi invischiato nei guai giudiziari con l’allora ministro dei Lavori pubblici, il dc Prandini, finito stritolato nella macina di Mani Pulite.

L’amichevole partnership imprenditoriale con l’allora governatore Sandro Biasotti (Forza Italia) già suo socio in affari, le fitte frequentazioni con il suo successore, il governatore Claudio Burlando (ras del Pd ligure), quindi il disinvolto saltafosso in direzione del nuovo “padrone” politico della Liguria, appunto il governatore Toti, testimoniano non solo dell’abilità acrobatica di Spinelli, sempre sintonizzato perfettamente col potere politico in essere, ma anche la sua lucidità mentale, altro che vecchietto bisognoso addirittura di tutela giuridica, così oggi si vorrebbe farlo passare.

Il suo curriculum esclude che i versamenti in denaro a 360 gradi, vale ripeterlo avvenuti nel tempo per sua stessa ammissione, fossero e siano stati dettati da convinzioni ideologiche: è nei fatti, Spinelli pagava chiunque potesse agevolarlo nei suoi progetti di operatore portuale, assurto non a caso a ras del porto di Genova, lui che a vent’anni aveva cominciato guidando tra le calate un vecchio camioncino. Bravo? Eccome. Bravissimo imprenditore, grazie agli amici giusti.

In questo quadro che sconfina – secondo la Procura di Genova – nella compravendita di voti in odore di mafia (vedere alla voce Matteo Cozzani, portavoce di Toti da poco dimissionario) come si contempla esattamente il bene della Liguria suoi cittadini rivendicato da Toti?

Come giustifica Toti sul piano politico (al netto dunque delle eventuali tangenti) la scelta di insistere col progetto della nuova diga foranea, l’opera più costosa dell’intero panorama delle opere finanziate dal Pnrr italiano? Un mostro i cui costi sono già lievitati da 900 milioni di euro a un miliardo e 350 milioni a salire verso il traguardo dei 2 miliardi? Un progetto bocciato dall’ingegner Piero Silva, uno dei massimi esperti mondiali di costruzione marine, già consulente del board della diga, dimissionario (rimettendoci un sacco di soldi) di fronte alla sordità di Toti e del sindaco Bucci rispetto al suo grido di allarme.

Costruire una diga alla profondità di 50 metri su un fondo marino sabbioso è tecnicamente impossibile, sostiene Silva Anzi, peggio: pericoloso, potendo il nuovo manufatto crollare se investito da una forte mareggiata con conseguente enorme tsunami destinato a spazzare via le infrastrutture portuali. Da cui il consiglio di Silva: rivedere il progetto (trasferendo la base dei cassoni ad una profondità di 25/30 metri) e non procedere alla demolizione della vecchia diga foranea fino al completamento della nuova.

Silva aggiunge che i tempi di realizzazione, previsti in 3-5 anni sarebbero destinati a prolungarsi indefinitamente nel tempo. Sono possibili progettazioni meno costose e impattanti che oltretutto salvaguarderebbero l’equilibrio biomarino messo a repentaglio dal gigante sponsorizzato da Toti. I cui costi, in questo schema, saranno destinati ad esplodere. Verso l’alto.

Che ci dice di tutto ciò il governatore segregato ad Ameglia? Rivendica? Conferma? Sostiene ancora negli stessi termini il progetto dell’opera?

Lo schema delle opere pubbliche genovesi e liguri ricalca spesso questo scenario distonico. Si progetta indipendentemente da considerazioni di ordine economico, ambientale, di rispetto verso i cittadini-residenti (a Genova i piloni dello skymetro e della funivia ai forti, il trasferimento, bocciato dal Tar, dei depositi petroliferi a Sampierdarena, a ridosso delle case).

Si fingono interlocuzioni con le comunità locali salvo spalancare le braccia e liquidarle con: “Il progetto è già definito. Si va avanti”. E vanno avanti. Gli esempi si inseguono, sulla diagonale Regione Liguria-comune di Genova.

Toti e la sua maggioranza da anni cocciutamente insistono nel progetto del nuovo ospedale Galliera, un parallelepipedo seminterrato conficcato nella roccia nel cuore di un quartiere storico della città, Carignano. Il costo è lievitato da 120 a 200 milioni. Un progetto concepito in spregio a tutti gli allarmi legati all’impatto geologico del manufatto sul quartiere residenziale, oltretutto finanziato con un mutuo eccedente le disponibilità concesse dalla legge alla regione e in una modalità che non tiene conto delle nuove emergenze sanitarie indicate dalla pandemia del Covid, ignorando l’avviso degli esperti sulla possibilità di altre emergenze sanitarie simili in un futuro ravvicinato.

Nel nuovo ospedale infatti sarebbe impossibile isolare in reparti dedicati i pazienti infetti con tutte le conseguenze del caso. Ma Toti “per il bene della Liguria” (sguarnita a ponente da decine di ospedali chiusi e mai sostituiti se non con convenzioni lucrose per i privati) insiste nel portare avanti il Nuovo Galliera. Ignora le chilometriche liste di attesa per le visite e le analisi specialistiche, un male endemico in Regione che costringe molti pazienti a rivolgersi fuori regione con ulteriori costi per la sanità pubblica ligure.

Per il bene dei Liguri? Lasci perdere. Non abbiamo l’anello al naso. Il modello Liguria era chiarissimo ben prima dell’inchiesta dei magistrati. Non ci piaceva e non ci piace.

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