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Home » Politica

Montanari a TPI: “Il M5S che appoggia Draghi è come il Papa che bestemmia”

Immagine di copertina
Credit: Stefano Dalle Luche - AGF

Montanari, tu non hai lesinato critiche alla sinistra dopo l’elezione del presidente della Repubblica.
«E ho fatto bene. Ci siamo risparmiati Draghi, e questa per ora mi pare l’unica notizia buona».

Però?
«Abbiamo avuto un Mattarella bis, e questa invece, malgrado ciò che si pensa a sinistra, non è una buona notizia».

Cosa non ti va del secondo mandato?
«La Costituzione dice, a mio parere in modo chiaro: “L’assemblea dei grandi elettori vota il nuovo presidente”. Siamo sul filo della legittimità: oggi per Mattarella, come prima per Napolitano».

Però non c’è solo questo, immagino.
«Infatti c’è molto di più, sul piano politico-simbolico, prima ancora che su quello della legittimità giuridica».

Cosa?
«Il “nuovo” presidente è quello “vecchio”. Questa è la migliore fotografia dell’Italia contemporanea, quella dove “nuovo” e “vecchio” possono diventare addirittura sinonimi. Follia».

Va detto che Mattarella era uno dei candidati più giovani.
«Durante la Costituente Terracini spiegò chiaramente: “Con l’articolo 85 rieleggere il vecchio presidente sarà impossibile”. Questa era la volontà, chiara».

Ma non lo hanno vietato esplicitamente.
«Adesso il secondo mandato è già diventata una consuetudine: il nuovo-vecchio è l’immagine paradossale che racconta il nostro Paese».

Da dove nasce, dunque, quella che tu ritieni una sconfitta?
«Da molto prima. Con Draghi il centrosinistra ha portato la Lega al governo. Ancora non si sono resi conto di cosa questo abbia comportato davvero, sia sul piano politico che su quello culturale».

Di solito si dice: scegliere la Lega “di governo”, includendola nel governo Draghi, ha indebolito quella “di protesta”.
«Non condivido né la premessa né la conclusione».

Ovvero?
«La Lega ha molte anime, ma la cosiddetta anima “moderata” e “industrialista” fa capo a Giancarlo Giorgetti, uno che nasce nel Msi. Non è per nulla moderata, negli obiettivi: solo più tattica nella modalità».

Dici che tra Giorgetti e Salvini è un gioco delle parti?
«È una dialettica politica irrilevante ai fini dell’identità. La Lega – tutta – ha rapporti consolidati con la galassia fascista e neofascista nazionale internazionale. E con Putin».

Non ti pare un giudizio drastico?
«Leggi il libro di Claudio Gatti, I demoni di Salvini: impressionante. Guarda le posizioni sull’Ucraina. L’asse con la Russia. Secondo me la Lega non è un partito democratico».

Quindi il governo Draghi non ha “normalizzato” Salvini?
«Semmai è il contrario. Io lo scrissi a marzo: si preparava un’operazione che doveva culminare nell’elezione di Draghi al Colle: il piano era questo».

Quale?
«Creare un iper presidenzialismo “de facto” che avrebbe massacrato la Costituzione».

Iper?
«Almeno il presidenzialismo, quello vero, ha pesi e contrappesi. Se Draghi avesse governato dal Colle, come non a caso chiedeva “il moderato” Giorgetti, sarebbe saltato il ruolo del presidente-arbitro. Altro che repubblica delle banane».

Non è accaduto.
«Per ora. Nulla ci garantisce che non accada a fine legislatura: è una ipotesi sospesa, non sventata».

Lo consideri un pericolo?
«Mi spaventa il Parlamento blindato in un governissimo quasi unanime. Che poi, nei rapporti di forza, la squadra di governo sia di venti e quella di opposizione di due – Fratelli d’Italia e Sinistra Italiana – non fa che aggravare la situazione».

Se era un piano così ben congegnato cosa lo ha bloccato?
«La palese mancanza di rispetto delle istituzione dimostrata da Draghi».

Sei durissimo.
«Il discorso da “nonno della patria” ha fatto trasparire una ambizione personale fortissima. Troppo persino per lui».

Tomaso Montanari, professore universitario, saggista, rettore, grande polemista: rappresenta uno degli ultimi intellettuali critici della sinistra italiana. La sua analisi sulla crisi dei giallorossi e del centrosinistra è più drastica della sua critica alle destre: «Il Movimento è la mia delusione più grande».

Parli del discorso di fine anno che è suonato come una autocandidatura. È stato un errore.
«Partiamo da un fatto enorme. Intorno a Draghi c’è un coro stucchevole. I media, salvo eccezioni, non osarono criticare quella infelice sortita. Ma la politica si è spaventata, e lo ha fermato».

Non condividi l’idea che Draghi governando dia un colpo al cerchio e uno alla botte, a destra e a sinistra?
«Quali sono stati i colpi a destra?

Beh, il Green Pass, i vincoli vaccinali.
«Di sinistra non c’è nulla: norme di buonsenso. Ma la rinuncia a governare la pandemia ha prodotto una impennata di morti. È stato un disastro».

E li imputi a questo governo?
«Cito ad esempio i dati del professor Carlo Lavecchia di Milano, dove la maggioranza delle vittime sono vaccinati con una o due dosi: hanno pagato la vera politica del governo».

Cosa intendi per «vera»?
«Abbiamo seguito la linea di Boris Johnson, ma al contrario di lui, senza dirlo».

Quale?
«Sulla salute pubblica ha prevalso il mercato. Non chiudere le attività, e semmai la scuola, anche se con le quarantene. Il costo è questo».

Linea diversa da Conte?
«Draghi ha governato la pandemia guardando solo agli interessi economici. Davvero conveniva non chiudere i ristoranti? Non si possono spendere i soldi per i ristori, ma per fare il ponte sì».

Su Draghi hai dei pregiudizi, confessa.
«Lo rivendico».

Davvero?
«Il pregiudizio verso una persona il cui operato è noto da decenni, in realtà, è un giudizio fondato».

Quindi un giudizio negativo.
«Draghi non è uno sconosciuto: vallo a chiedere ai greci chi è Draghi».

Parli della crisi del 2011.
«Lui in quel caso era nella Trojka. Noi ci siamo portati a casa la Trojka fai-da- te. E si vede: il Quirinale è solo l’ultimo tassello».

Mattarella non si dimetterà, però.
«Dici? Pronostico: dopo le elezioni inizieranno a scrivere: c’è un Parlamento nuovo, questo presidente è figlio di un Parlamento delegittimato».

Però poi sei duro anche con Mattarella.
«La sua strategia l’ha svelata solo il più grande analista politico italiano».

E chi sarebbe?
«Maurizio Crozza: “Credulone e creduloni, avevate davvero creduto agli scatoloni?”. Ah ah ah…».

Io lo considero in buonafede.
«Per carità. Ma la sindrome da “Salvatore della patria” spesso produce – in buonissima fede – brutti esiti»…
Continua a leggere l’articolo sul settimanale The Post Internazionale-TPI: clicca qui

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