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Home » Politica

La ministra Bellanova a TPI: “Anche io sono stata sfruttata nei campi, ho visto morire braccianti davanti i miei occhi. La sfida al caporalato è la mia vita”

Immagine di copertina
Teresa Bellanova Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Un passato da sindacalista nella Cgil e la militanza a sinistra. Ora Teresa Bellanova è la ministra per le Politiche Agricole e il suo più grande impegno è eradicare il caporalato

TPI intervista la ministra Teresa Bellanova

“Ho visto lo sfruttamento brutale e ho visto morire delle braccianti davanti ai miei occhi: per questo ritengo il caporalato una battaglia importantissima”. Ha la voce limpida e obiettivi ambiziosi la ministra delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Teresa Bellanova.

Comincia a lavorare giovanissima come bracciante, ha un passato sindacale e nell’impegno contro il caporalato, piaga del territorio in cui è nata.

Classe 1958, di Ceglie Messapica in provincia di Brindisi, è stata viceministro dello Sviluppo economico nei governi Gentiloni e Renzi. Nel 2018 è stata nominata da Maurizio Martina responsabile Mezzogiorno del Pd. Adesso è una delle ministre del governo Conte bis e da poco è entrata a far parte del partito di Renzi Italia Viva.

Dopo aver presentato in commissione di Camera e Senato le linee programmatiche del suo ministero, ai microfoni di TPI Teresa Bellanova ha raccontato come la vita nei campi le abbia dato gli strumenti per poter migliorare oggi il settore agricolo.

Lei ha usato parole forti per definire il caporalato: l’ha equiparato alla Mafia. È davvero così?

Dobbiamo guardare al fenomeno del caporalato per quello che effettivamente è: mafia appunto. Criminalità organizzata. Il caporale è uno che utilizza modi illegali e lo fa in modo organizzato.  Incastra in primo luogo i lavoratori e le lavoratrici, con salari da fame, spesso senza assicurazione e magari attiva anche un mercato delle assicurazioni dove effettivamente le persone che lavorano non vedono registrate le giornate di lavoro ai fini previdenziali presso l’Inps e quelle stesse giornate vengono vendute a persone che poi in agricoltura non lavorano.

Solo che finora non è mai stato considerato come criminalità organizzata. Una legge già c’è ed è la 199 del 2016, ma è incompleta e i casi di sfruttamento sono ancora troppi…

Non si tratta solo di gestire un servizio: il caporale si inserisce in una mancanza di strumenti di gestione, all’incrocio tra domanda e offerta di lavoro e sul mezzo di trasporto.

Ma il caporale è anche quello che, nel momento in cui porta i lavoratori in un’azienda, se l’azienda non utilizza i suoi servizi magari, come accade purtroppo…Fa danni anche all’azienda stessa. Cioè il caporalato ricatta i lavoratori e spesso anche gli imprenditori.

Ci saranno delle misure che riguardano l’intera filiera e non solo i caporali nel Piano Nazionale che vuole proporre?

Abbiamo già convocato per il 16 ottobre un tavolo interministeriale che vede oltre il ministero dell’agricoltura, la ministra del lavoro, Nunzia Catalfo e il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese perché il caporalato va combattuto a tutti i livelli.

Da una parte dobbiamo darci una strumentazione che è una piattaforma di segnalazione per l’imprenditore per chiedere la manodopera che serve e farlo in tempi utili per il mercato agricolo che è diverso da altri sistemi produttivi. Perché in agricoltura spesso la manodopera viene richiesta un giorno per il giorno successivo. Si vive alla giornata e si è legati alle condizioni metereologiche e quindi deve essere data la possibilità di reperire manodopera velocemente ma legalmente.

Poi, bisogna intervenire sui trasporti. Bisogna togliere lo strumento di potere dalle mani dei caporali: cioè il potere di far arrivare le persone direttamente nei campi.

A volte il caporalato ricatta addirittura i consumatori perché l’intricato sistema di rapporti della filiera agroalimentare parte dalla Grande Distribuzione Organizzata- i supermercati in cui andiamo a fare la spesa ogni giorno- e arriva fino ai campi. L’uso di manodopera straniera a basso costo – con zero diritti e tutele sindacali – è infatti l’effetto più evidente e scandaloso di un sistema produttivo costretto a modificare i suoi processi per accontentare le richieste, in bilico tra il legale e l’illegale, della distribuzione moderna.

Seguire tutta la filiera è fondamentale. Perché se su 100 euro di spesa solo 3 euro e 30 centesimi rimangono nella disponibilità del produttore è evidente che c’è una distribuzione del valore che non è equa tra produzione, trasformazione e distribuzione. Su questo io convocherò la filiera in Ministero per fare un lavoro con accordi fra le parti per non far ricadere tutto il costo sull’azienda agricola.

E come possono essere mantenuti a un certo livello i prezzi dei prodotti ortofrutticoli?

Innanzitutto tutto combattendo le aste a doppio ribasso. Perché le aste a doppio ribasso significano mettere nella condizione di avere prezzi di vendita dei prodotti inferiore al consumo.

E quando il livello dei prezzi si trova in questa situazione da qualche parte scaricano: sull’anello debole, sui lavoratori e le lavoratrici. E anche sull’imprenditore perché avendo anche noi un sistema fatto anche di piccole e piccolissime aziende, coltivatore diretto o il micro-produttore che non riesce a ricavare un reddito dignitoso.

Quella contro il caporalato è diventata una sua battaglia anche perché ha potuto vedere da molto vicino le condizioni dei lavoratori, avendo lavorato lei stessa in agricoltura. Ha perso delle persone a lei vicine, delle giovanissime braccianti morte nei campi. Cosa si può fare per non far ripetere più degli episodi così gravi?

Ho visto lo sfruttamento brutale, ho visto ragazze di meno di 18 anni che non hanno avuto la possibilità di vivere la loro vita. Ho visto persone che hanno dovuto togliere un tempo spropositato alla famiglia per portare a casa un reddito non sufficiente spesso in modo dignitoso. E visto che il lavoro deve essere uno strumento per vivere con piena libertà la propria esistenza, non può essere uno strumento di morte e mortificazione.

E è una battaglia in cui dobbiamo avere alleate anche le imprese. Quelle che combattono nel nome della legalità, che fanno sacrifici, che investono e innovano. Ci vuole innovazioni per eliminare una competizione da costi e creare una competizione sulla ricerca.

Lei si è mai trovata quando lavorava come bracciante in una situazione in cui le hanno offerto condizioni di lavoro non degne?

Sì, mi è successo. E ho detto no. È per questo che ho iniziato a combattere come sindacalista. Quando si guardano le cose dall’esterno si può valutare con più laicità e tranquillità un’offerta di lavoro. Quando da quel lavoro dipende l’esistenza tua, della tua famiglia, dei tuoi bambini. A quel punto subisci il ricatto, sei intrappolato.

Quando negli anni ’70 facevamo le manifestazioni per bloccare i pulmini dei caporali volevamo proprio esprimere questo disagio  di queste condizioni non dignitose. Non solo le persone partivano alle 2 di notte per avere una paga misera, ma rischiavano quotidianamente la vita.

Quando i caporali prendevano i pulmini da 9 persone e magari ce ne ammassavano 30 o 40, il rischio è evidente.

Le donne in questo sistema sono spesso ancora più fragili degli uomini. Cosa significa essere donna e bracciante? Ci saranno degli incentivi per le donne che vogliono lavorare in agricoltura?

Le imprese a conduzione femminile in agricoltura, che sono circa il 33 per cento, contribuiscono per 9 miliardi di euro alla formazione del valore aggiunto nel settore.

Per avere giovani e donne nel settore dell’agricoltura bisogna investire in innovazione e ricerca. Per fare questo dobbiamo avere tutti la consapevolezza che l’agricoltura deve essere al centro delle nostre azioni politiche, sia a livello nazionale che a livello europeo.

L’agricoltura è il settore attraverso il quale si può guardare con molta attenzione anche alla salute. Perché se siamo quello che mangiamo, è evidente che un’agricoltura che adotta le buone regole di coltivazione, che rispetta tutti i parametri che vengono condivisi dalla comunità scientifica fa arrivare sulle nostre tavole dei prodotti che fanno bene alla nostra salute.

Per un’agricoltura più “giusta” lei ha proposto il reddito per gli agricoltori. In cosa consiste esattamente?

Il reddito degli agricoltori consiste nel fissare dei diritti di base, scelti con le maggiori rappresentanze sindacali. Come per esempio non segnare in nero le giornate di lavoro nei campi, altrimenti quel lavoratore non avrà poi una pensione.

Se un’azienda non produce ricchezza, non può distribuire ricchezza. Se un’azienda non riesce a arrivare a fine mese, scaricherà i costi sul livello più basso della catena: chi lavora la terra.

Bisogna mettere insieme delle misure per non aumentare la tassazione nel settore, sostenere ricerca e innovazione e utilizzare bene le risorse della Comunità europea – spesso ancora sprecate – e bisogna combattere la concorrenza sleale tra le imprese.

E fare un’alleanza con i consumatori attraverso i bollini qualità. Il consumatore deve sapere che se compra un prodotto che costa di meno rispetto al prezzo di produzione, c’è sicuro dietro qualcuno che sta pagando la differenza con lo sfruttamento, con il sangue del caporalato.

In un momento in cui i giovani hanno lavori precari o lavorano senza contratti, secondo lei i giovani dovrebbero tornare all’agricoltura? Si deve tornare alla terra in questo paese?

La mia funzione al ministero dell’Agricoltura punta proprio a questo. Quello che voglio presentare ai giovani non è un rifugio nell’agricoltura, ma vorrei che si trovasse nell’agricoltura un lavoro di qualità.

C’è un’agricoltura dove c’è innovazione, dove ci può essere attrattiva per i giovani. Potrebbe essere una controtendenza e dare occupazione ai nostri ragazzi.

Il futuro del made in Italy non sembra essere minato solo dal caporalato, ma anche dai recenti dazi statunitensi per 7,5 miliardi di dollari che potrebbe costare all’Italia oltre un miliardo di euro. Come si fa a proteggere le eccellenze a rischio?

Contro i dazi non si vince se mettiamo altri dazi. Dobbiamo far comprendere all’amministrazione americana che sta facendo un gravissimo danno non solo all’agroalimentare italiano, ma anche alla salute dei suoi cittadini.

Se i prodotti italiani cominciano a costare così tanto, sempre più americani mangeranno cibo spazzatura invece che prodotti della dieta mediterranea.

Sui dazi abbiamo bisogno di strumenti europei per compensare la guerra di Trump.

Sull’agricoltura è stata chiarissima Ministra. Adesso voglio farle ancora due domande: una personale e una politica. Quella politica: Italia Viva ha votato a favore del taglio dei parlamentari. Lei cosa ne pensa?

Io nei passaggi in cui sono stata chiamata a esprimermi non ho mai votato a favore. Questa volta Italia Viva ha votato sì perché quando si fa un accordo, l’accordo si rispetta. È ovvio che ci sono delle mediazioni che non accontentano tutti, ma funziona così.

Ora, fatto il taglio dei parlamentari, è bene che si dia corso alla riforma della legge elettorale, altrimenti rischiamo di avere un sistema democratico che non è all’altezza di quello che deve avere un grande paese come il nostro.

La domanda personale: per il giuramento in Quirinale c’è stato un polverone di critiche non per la sua nomina o per le sue idee, ma per il vestito blu elettrico che indossava. Come risponderebbe agli haters che l’hanno insultata?

Ognuno deve potersi vestire come vuole, esprimere il suo essere e la sua anima. Ognuno deve viversi bene, e se io vivo a colori non vedo perché qualcuno debba togliermeli.

Se posso permettermi di dare un suggerimento ai giovani per non fermarsi a criticare le apparenze, è quello che do sempre anche a mio figlio: studiare, studiare e studiare quanto più possibile. Più si sa e più si può nella vita. Competi per quello che sai.

A quelli che hanno tempo da perdere consiglio di riacquistarlo, perché è una delle cose più preziose che abbiamo. E a insegnarcelo è proprio la terra.

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