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Nadia Urbinati a TPI: “L’opposizione a Letta sulla tassa di successione è la rivolta delle élite”

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“Da anni si parla di disuguaglianze e ci si lamenta di una condizione di disparità di opportunità sofferta dai giovani e dalle classi più vulnerabili. Eppure anche nell’area genericamente detta di sinistra l’idea di Enrico Letta di aumentare la tassa di successione ha provocato dubbi e critiche. Questo mi ha stupito molto”: così la politologa della Columbia University Nadia Urbinati sulla proposta avanzata dal segretario del Pd di aumentare la tassa di successione per finanziare la cosiddetta “dote ai 18enni”. “Non mi stupisce la reazione della destra – continua Urbinati – che si preoccupa degli interessi delle classi più abbienti e che ha una forte rappresentanza nel governo. Mi stupisce invece che l’opinione di centrosinistra non abbia accolto con attenzione e non discuta seriamente la proposta. Letta si è dovuto giustificare, spiegando che in Francia e Germania ci sono aliquote più alte della nostra, per esempio”.

Draghi ha detto che “non è il momento di togliere ma di dare”.

Rispetto alla proposta di Letta, Draghi ha usato parole che erano di Berlusconi: “non mettiamo le mani nelle tasche degli italiani”. Sembra che si vogliano derubare gli italiani, mentre si tratta di una questione di giustizia distributiva. Non è una punizione a chi ha molto. Letta non ha parlato né di una tassa una tantum né di una tassa sui patrimoni. Ha parlato di tassa di successione con una revisione in senso progressivo delle aliquote su successioni e donazioni superiori a 5 milioni; riguarda l’1 per cento degli italiani. Un allineamento ai parametri fiscali europei. Oggi, dalle tasse di successione l’Italia incassa circa 800 milioni contro i 6 miliardi della Gran Bretagna, i 7 miliardi della Germania e i 14 miliardi della Francia. Questo è un principio liberale, non socialista. Lo ha teorizzato già John Stuart Mill nel 1848 appellandosi al principio liberale della competizione e della responsabilità individuale. Vivere di quello che hanno fatto coloro che sono venuti prima e dei quali si ha la fortuna di essere eredi, senza cioè alcun merito, è come dare una patente alla staticità e all’ozio. Se i rampolli dei ricchi sanno in anticipo di avere una possibilità illimitata di risorse impegnandosi poco o nulla, sono stimolati a non coltivare l’imprenditoria e la creatività dei genitori e dei nonni. Questo era l’argomento di Mill, per il quale la mentalità del privilegio andava contrastata con le tasse di successione per bloccare la tendenza a generare una nuova casta. È un principio interessante perché mette chi ha per sola fortuna ereditato tanto nella condizione di non sedersi sugli allori.

Per quanto la tassa di successione riguarderebbe solo l’un per cento della popolazione e non gli interi patrimoni c’è questa forte resistenza da parte delle classi dirigenti, perché? 

L’1 per cento è l’oligarchia, e vuole il privilegio. Passi il principio “una testa/un voto” …. ma poi le politiche devono rispecchiare prima di tutto gli interessi dei pochi. E così la narrativa ci racconta che questo è nell’interesse dei molti. Le classi rappresentate dalla destra nel governo sono quelle di industriali del nord, è chiaro che vogliono fare bene i propri interessi. Diciamolo in maniera banale, devono convincere coloro che avrebbero tutto l’utile da questa tassa, cioè chi ha meno, che non è nel loro interesse introdurla, e falsano la discussione. Ho sentito giornalisti dire che la tassa distruggerebbe l’eredità da dare ai figli, che un appartamento verrebbe tassato dallo Stato. Se in buona fede, è disinformazione. Adesso si vede bene la distinzione tra pochi e molti: se ci fossero rappresentanti che vengono da ceti medio bassi in questo governo penso che la ricezione di questa proposta sarebbe diversa.

Michele Santoro ha detto che con la tassa di successione passa l’idea che “per una volta che la sinistra propone qualcosa di nuovo, è una tassa”.

Questa non è una nuova tassa è l’applicazione della costituzione italiana che parla di progressività ed è una scelta politica che hanno fatto molti altri Paesi. L’Italia è uno di quelli che ha i più alti livelli di disuguaglianza. Letta deve lanciare adesso questa proposta per vincere e per andare a combattere contro la destra sui temi della disuguaglianza. Affinché la campagna tra destra e sinistra non sia su chi vuole i migranti e chi no, ma chi vuole una società più uguale e chi una più diseguale. Lui ha aperto a questo importante dualismo.

Ma in tanti lo hanno criticato nonostante fino a una settimana fa si dicesse che il Pd, con il dibattito polarizzato sulla legge Zan, ha dimenticato i diritti sociali ed è diventato il partito dei diritti civili, diritti che però può difendere anche il centrodestra. 

Questa proposta non è una battaglia sociale, ma una promessa per fare giustizia sociale. Con che cosa si crea lavoro se si taglia continuamente perché non ci sono soldi? Una proposta di buon senso sarebbe quella dell’onestà fiscale. Se si vogliono creare risorse per le nuove generazioni si dovrebbe imporre una politica di legalità fiscale. Ma poi, serve chiarezza sul criterio del prelievo fiscale e qui si inserisce la proposta di Letta. Ci si deve meravigliare del fatto che dopo un anno e mezzo di grandissime sofferenze nessuno in Parlamento abbia proposto un segno di solidarietà donando un mese del proprio stipendio. Invece pensano ai propri interessi particolari. E se un leader propone una sterzata verso la proporzionalità c’è un rivolta. Ma questa è la rivolta delle élite, delle classi oligarchiche, ed è antidemocratica nel senso che è ostile alla parità di considerazione e alla progressività di contribuzione.

Oggi ha detto che l’attacco della stampa contro Letta è un elogio dell’oligarchia.

Così sembra, vista l’alzata di scudi contro Letta. È chiaro che loro dicono che questo è nell’interesse di tutti. Ma dimostrino che è così visto che la tassazione riguarda l’eredità dei patrimoni (non si portano via risorse al capitale investito) e l’1 per cento della popolazione. La verità è che difendono gli interessi dei pochi. Tecnicamente si chiama oligarchia.

Landini ha dichiarato che la sinistra dovrebbe offrire un progetto di cambiamento di più ampio respiro, mettere al centro il lavoro, non licenziare, investire sulla sanità pubblica e su un nuovo modello di stato sociale. 

Le proposte sono varie. Il lavoro con cosa lo crei se non metti soldi in circolo, e se non stimoli lavori pubblici e occupazione? Lo Stato ha bisogno di risorse. Ci stiamo indebitando fino all’inverosimile, tra due anni Draghi o chi dopo di lui governerà, inizierà a far pagare e ovviamente pagheranno sempre i soliti. I poveri sono molti e rastrellare un pochino da loro significa prendere tantissimo. I pochi sono più visibili e indicabili: questa proposta di Letta ci ha fatto vedere che esiste una minoranza che non vuol contribuire in proporzione a quel che ha. Siamo di fronte ad una specie di lotta di classe che si manifesta non nel linguaggio marxista ma in quello classico dei “pochi” e dei “molti”. C’è una piccola minoranza che ha privilegi, ma che non vuole riconoscere di averne e quindi Landini ha ragione ma a metà. È chiaro che la sinistra deve occuparsi anche di lavoro, ma il lavoro ha bisogno di soldi e risorse. E poi accogliere la proposta di Letta significherebbe dare un segno di cambiamento dopo decenni in cui destra e sinistra hanno fatto politiche fiscali che hanno più privilegiato i pochi che aiutato i molti. La tassa di successione praticamente non esiste più in Italia. Questa è una delle pagine più avvilenti e deludenti della politica attuale e coloro che si appellano alla sinistra dovrebbero avere argomenti validi sulle strategie per combattere le diseguaglianze.

Con la tassa di successione Letta vuole supportare il futuro dei 18enni, finanziare le spese degli studenti fuori sede o l’attività d’impresa. Draghi invece insiste molto sull’importanza di possedere una casa per avere stabilità, tanto che nel Recovery Plan è prevista una garanzia statale al mutuo. È così importante?

Per pagare quel mutuo bisogna trovare lavoro. La proposta di Draghi è sulla scia delle politiche di agevolazione dei mutui che negli States faceva Bill Clinton: la questione è poi se quei debiti possono essere pagati. Dare mutui agevolati senza preoccuparsi di creare lavoro è come una foglia di fico. Il mutuo presume indebitamento, l’indebitamento deve presumere la certezza di un introito. Devo lavorare per potermi indebitare. Inutile dare possibilità di comprarsi una casa quando non c’è il lavoro, e da noi sono altissime le percentuali di disoccupazione tra giovani e meno giovani, soprattutto al Sud. Queste sembrano politiche demagogiche. Si tratta di un debito agevolato. Qual è la grande novità se non ci si occupa delle condizioni sociali perché i rischi di non poterlo coprire siano minimi?

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