Stabilimenti balneari, il Parlamento si inventa il “condono”: concessioni a prezzi irrisori e senza gare
Ombrellone, lettino, cabina: per molti stabilimenti balneari in Italia, un simile pacchetto può rendere dai 500 ai 1.000 euro al mese, quanto l’affitto di un appartamento in una città. Un business molto redditizio, se pensiamo che i gestori degli stabilimenti pagano canoni di utilizzo del suolo molto ridotti, facendo profitto grazie alla concessione di un bene pubblico (le spiagge e il demanio) a canoni incredibilmente bassi. Il più famoso è il caso del Twiga, lo stabilimento toscano che fattura oltre 4 milioni di euro, pagando un canone annuale di circa 17mila euro. Meno di un affitto annuale di un trilocale di 70 metro quadri a Milano. Ad oggi lo Stato incassa infatti 100 milioni di euro di canoni per un mercato che vale oltre 15 miliardi di euro l’anno (l’equivalente di 3 misure di reddito di cittadinanza, superiore a quanto versato in 15 anni in contributi pubblici ad Alitalia).
La battaglia politica che combattono gli stabilimenti balneari per mantenere la propria condizione ha un nome preciso: quella contro la direttiva Bolkestein, normativa dell’Ue che prevede che il suolo pubblico sia concesso ai privati secondo specifiche regole di gara pubblica, con scadenze delle concessioni e l’esigenza di preservare l’interesse collettivo, prevalente su quello del privato. La direttiva Bolkestein ha subito, negli anni, diversi tentativi di attacco, l’ultimo solo dieci giorni fa, con l’iniziativa della Lega, bocciata dal Parlamento Europeo e dagli esponenti italiani di Movimento 5 Stelle e Italia Viva, che chiedeva di escludere le concessioni demaniali marittime dal campo di applicazione della direttiva.
Come accade per molte categorie professionali ben organizzate, anche quella dei balneari può vantare un peso politico significativo, che giustifica i continui interventi della politica. Così la Commissione trasporti ieri alla Camera ha approvato un emendamento, a firma Deborah Bergamini (Forza Italia), che impegna lo Stato ad estendere le concessioni balneari con una proroga fino al 2033. Questo significa che gli stabilimenti balneari continueranno a pagare gli stessi canoni. L’emendamento sostiene una proroga già varata dal Conte 1, che però contrasta con la normativa europea e che ha già portato l’Ue ad annunciare l’avvio di una procedura di infrazione contro l’Italia.
La nostra Costituzione prevede infatti che vengano rispettate le fonti di diritto superiore, in particolare il diritto dell’Unione Europea, che ha una prevalenza di applicazione rispetto agli atti del Parlamento italiano. L’emendamento quindi, porterà a conseguenze molto semplici da prevedere: l’aggravio della procedura di infrazione (che potrebbe comportare una multa per l’Italia), il mancato introito di fondi nelle casse dello Stato, e l’ennesima conferma che una parte della politica lavora, evidentemente, per soddisfare interessi corporativi e privilegi di pochi, piuttosto che fare l’interesse di tutti.
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