Francesco Profumo a TPI: “Solo la diplomazia può preparare la tregua”
“La guerra ostacola la globalizzazione e spinge l’inflazione. I leader devono tornare a parlarsi": a TPI parla l'ex ministro
Professor Profumo, in questi mesi di crisi lei è impegnato a sostenere uno dei più importanti progetti del Pnrr, quello sul Fondo per la Repubblica Digitale.
«Purtroppo, in questa fase difficile, tutti i problemi sono strettamente connessi tra di loro: la guerra, la crisi economica, la crisi energetica, la possibilità di una ripartenza rapida, la possibilità di accesso ai saperi digitali e l’opportunità di trovare nuovi lavori, la lotta contro un nemico antico e temibile come l’inflazione».
Perché ha deciso di impegnarsi in questo progetto sulla promozione dei saperi digitali?
(Sorride). «Perché ci credo! Mi sembra un impegno importante e utile, ed è legato a tutto quello che abbiamo già fatto in questi anni sul piano della solidarietà sociale. Al fondo del nostro impegno c’è una idea ambiziosa di cui sono convinto.
Quale?
«All’Italia servono un rilancio e un salto di qualità. Potremo uscire da uno dei momenti più difficili della nostra storia solo con un grande processo di alfabetizzazione digitale del nostro Paese. Riusciremo solo se saremo in grado di affiancare tanti nuovi lavori ai vecchi che conosciamo già».
Lei crede alla possibilità della pace in Ucraina?
«Devo e voglio crederci. Anche perché, come le spiegherò meglio tra breve, le guerre finiscono solo quando i canali della diplomazia, operando sottotraccia, riescono a costruire le condizioni di un accordo».
Francesco Profumo: ex ministro, ex presidente del Consiglio nazionale delle Ricerche, presidente della Fondazione Compagnia San Paolo e presidente della Fondazione Bruno Kessler.
Professore, spieghiamo in cosa consiste questo progetto della Repubblica digitale?
«Volentieri. In Italia, 26 milioni di persone non hanno competenze digitali di base. Stiamo parlando del 54% della popolazione italiana compresa tra i 16 e i 74 anni».
Siamo in grave ritardo rispetto agli altri Paesi dell’Unione.
«La media europea, sullo stesso dato, è del 46%. Siamo al 18esimo posto nell’Europa a 27, secondo i dati della Commissione, su un indicatore molto importante, il Digital Economy and Society Index: il cosiddetto Desi!».
E questo è un ritardo culturale che si trasforma quasi automaticamente anche in un ritardo economico.
«In una proporzione diretta: pensi che secondo un recente studio di Unioncamere, entro il 2024, cioè domani, si stima che le nostre imprese avranno bisogno di un milione e mezzo di lavoratori con competenze digitali di base».
Quadri professionali e profili che, per tutto quello che stiamo dicendo, oggi in Italia ancora non ci sono.
«Esatto. Aggiunga anche che, secondo un altro interessante studio condotto da Deloitte con Swg, già oggi una azienda su quattro in Italia non trova i profili professionali di cui ha bisogno».
Il sistema è bloccato, e non c’è un ricambio nella Pubblica Amministrazione.
«Il punto è che questo ritardo produce un impatto drammatico sulla necessità di costruire le condizioni di una moderna “cittadinanza digitale”. Parlo di problemi molto concreti, a partire dall’accesso ai servizi della Pubblica Amministrazione da parte di tutti i cittadini».
Una grande e indivisibile barriera di accesso.
«Senza tutto questo, il Paese non può svilupparsi e crescere. Il nostro progetto nasce proprio per impedire l’esito che ho descritto».
Come mai ha scelto di impegnarsi in prima persona in questo progetto?
«Io sono profondamente convinto che la priorità numero uno del nostro Paese sia l’educazione. E non c’è dubbio che se si è convinti di questo, l’educazione digitale rappresenti una priorità nella priorità».
Il mondo delle Fondazioni bancarie che lei rappresenta partecipa al progetto finanziandolo.
«Abbiamo già promosso, in questi anni, una esperienza positiva, con il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Oggi, con questo stesso modello di partnership pubblico-privato sociale, speriamo di replicare quel successo».
Quanto investiranno le Fondazioni?
«Parliamo di 350 milioni di euro. Soldi che in base al decreto legge del ministro Colao del 2021 vengono investiti in partnership tra il pubblico e il privato sociale».
Esiste un protocollo economico preciso.
«Il progetto sarà alimentato dalle Fondazioni, che potranno godere di un credito di imposta che varia negli anni: al 65% nel 2022 e 2023 e al 75% per gli anni 2024, 2025 e 2026».
Ed è uno dei progetti culturali più importanti del Pnrr.
«Si iscrive perfettamente tra le priorità indicate dalla von der Leyen nel 2019. Transizione ecologica, rivoluzione digitale e resilienza sociale. Se ci pensa il nostro progetto di alfabetizzazione digitale è una compenetrazione perfetta di questi tre obiettivi strategici».
Lo scenario in cui avviene tutto questo incide sulla possibilità di successo?
«Si sta realizzando la più proverbiale delle triadi della storia umana: quella tra pandemia, guerra e carestia».
Riusciremo a convivere con la guerra?
«Non ci sono prospettive positive. Il conflitto ha ritardato i processi in corso, rallentato e ostacolato l’interdipendenza dei mercati e il ciclo della globalizzazione. Però…».
Cosa?
«Spero anche che la guerra in Ucraina abbia anche indotto in noi una maggiore consapevolezza sul tratto ineludibile della transizione energetica».
Quindi riusciremo a ripartire quando cesseranno di cantare le armi?
«È quello che mi auguro: dalle grandi crisi, nella storia umana sono sempre emerse le più grandi opportunità».
Sta crescendo l’inflazione, che ha due effetti: abbatte il debito degli Stati, ma allo stesso tempo divora il potere di acquisto dei salari.
«L’inflazione è una malattia molto grave, che deve spaventarci tutti. Però, in quella che ci ha colpito c’è un elemento importante per capire se questa sua attuale stagione sarà lunga o breve».
Quale?
«Il fenomeno inflattivo che stiamo vivendo oggi è anomalo rispetto a quelli del passato. È figlio della guerra, che ha amplificato le difficoltà di approvvigionamento delle risorse energetiche e che, insieme all’accorciamento delle filiere iniziato con la pandemia, ha fatto esplodere i prezzi delle materie prime».
E questo cosa comporta?
«Le inflazioni classiche nascevano invece dalle condizioni del mercato. Se si realizzasse un accordo di pace si potrebbe contenere l’arco di tempo della crisi inflattiva».
E lei lo ritiene possibile?
«La diplomazia ci sta lavorando. Siamo sul filo di lana. È necessario che al più presto cadano i veti, che i leader si parlino. Anche gli accordi più difficili nascono sempre così».