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La sinistra è morta

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Ci dobbiamo stupire se anche in Italia crolla quella sinistra che è già crollata in tutta Europa? Il commento di Fulvio Scaglione all'indomani delle elezioni italiane

E poi arriveranno il conto dei seggi, la mischia delle coalizioni, la corsa dei “responsabili” a infilarsi sotto le gonne del vincitore, le proposte decenti e quelle indecenti, le alleanze impreviste, chi va e chi viene, le discese ardite e le risalite al Quirinale.

E con questo si farà almeno Pasqua. Ma considerato che al 73 per cento degli elettori italiani piace ancora votare e aspettando che qualcuno ci governi, possiamo forse azzardare che sia tempo di aggiornare alcune delle categorie con cui guardiamo alla politica, visto che la politica si aggiorna da sé alla velocità della luce.

Per esempio: ci si può davvero stupire se in Italia crolla quella sinistra che è già crollata in tutta Europa? Nel 2016 i partiti della sinistra moderata, che due decenni fa governavano ovunque, hanno perso elezioni in Spagna, Croazia, Irlanda e Repubblica Ceca.

Nel 2017 la sinistra è stata piallata in Francia da Macron, ha tenuto a stento la testa fuori dall’acqua in Germania e in Olanda è arrivata comunque dietro Geert Wilders, il razzista anti-Ue, che a sua volta ha preso una scoppola dai liberali di destra di Mark Rutte.

Certo, c’è un governo di sinistra in Grecia: quello che ha somministrato le pillole economiche prescritte da Bruxelles, che di sinistra proprio non erano. L’Economist scrive anche baggianate ma è credibile quando sostiene che dal 2008, cioè dall’inizio della grande crisi economica globale, la sinistra moderata europea ha perso un terzo dei consensi.

Diciamo piuttosto che anche noi italiani siamo arrivati dove gli altri già stavano. O pensavamo davvero di essere la solita eccezione? Lo stellone? Catenaccio e contropiede?

Benvenuti nell’Europa reale, dunque. Collegato a questo c’è l’altro ritornello, quello sul crollo dei “partiti tradizionali”. Certo, se uno pensa che la Lega Nord ha superato Forza Italia e che il M5S ha superato tutti…

Ma questi sorpassi sono avvenuti solo dopo che il M5S, con la benedizione concessa più o meno volentieri dallo stesso Beppe Grillo, ha dichiarato chiusa l’era del Vaffa e del movimentismo, si è trasformato in partito “vero” (o tradizionale, appunto), si è dato un leader in giacca e cravatta come Di Maio, ha fatto una campagna elettorale vecchio stile, ha limato tutte le posizioni più “cattive” e in definitiva più innovative, ha fatto pace con l’Europa e si è preoccupato di carezzare commercianti e imprenditori.

Lo stesso vale per la Lega, che Matteo Salvini ha tolto di peso dalle secche del movimentismo federalista e dal ridotto del Nord e ha trasformato in un partito nazionalista pronto a competere su scala nazionale. Un partito vero, “tradizionale”. Dunque i partiti tradizionali vincono o perdono?

Il che ci porta a un’altra considerazione. Ha ancora senso, in questa Europa e in questa Italia, per non dire in quell’America, parlare di populismo, antipolitica e di tutti gli spauracchi che evochiamo mentre quei quattro punti di riferimento, logori e ormai quasi inutili, ci crollano intorno?

Eppure eravamo noi quelli che ballavano ebbri di gioia sulla tomba delle ideologie, or non è moltissimo. Eravamo noi quelli che “cos’è la destra, cos’è la sinistra” e basta con il vecchio armamentario.

Dunque perché questa paura, adesso che finalmente siamo arrivati? Sarebbe più utile, oggi, prendere atto che questa è la forma politica del nostro tempo e abituarci a nuotare in questo mare.

E poi, dai, Macron non è un populista-nazionalista? E Jeremy Corbyn, l’uomo che con i suoi zig zag ha fatto vincere la Brexit?

Alla fin fine, la lezione della tornata elettorale, per il nostro paese, non sta nelle filosofie e nel cronico ritardo nei confronti della realtà. La lezione, quella vera e drammatica, sta nell’eterna questione meridionale, non risolta, mai scalfita e forse mai davvero affrontata.

Questo Sud che continua a essere l’altra faccia della Luna, un mondo a parte che non è contento di esserlo e di volta in volta cerca, come sempre capita ai disperati, il salvatore di turno.

Ci ha provato con Berlusconi, ora ritenta con Di Maio. Vedremo. Vedranno. Auguri a tutti.

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