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Il curioso caso del sindaco di Palermo che si è trovato, a sua insaputa, inserito nella lista a sostegno di Draghi

Immagine di copertina
credit: ansa foto

C’è fermento nel tempo che precede il fatidico mercoledì 20 luglio, il giorno più lungo del premier Mario Draghi, quello in cui si voterà la fiducia al Senato e che segnerà definitivamente il futuro del Governo. Tra le varie iniziative per chi si è schierato a sostegno del presidente del Consiglio non è passata inosservata quella di oltre 1000 sindaci che hanno firmato per chiedere di scongiurare la crisi e far rimanere il premier al suo posto.

L’appello ad andare avanti, nato sabato tramite una lettera aperta al presidente del Consiglio su iniziativa del sindaco di Firenze Dario Nardella, è presto diventato il caso che ha acceso le rimostranze della destra d’opposizione che ha accusato, per voce di Meloni, i primi cittadini promotori di mancanza di regole e di “usare le istituzioni senza pudore come se fossero sezioni di partito”.

Una lista di oltre 1300 nomi tra cui compaiono quelli dei sindaci più noti d’Italia: Beppe Sala, Roberto Gualtieri, Antonio Decaro e così via. Un lungo elenco di sostenitori che ha fatto appello al premier per un atto di responsabilità: “Noi Sindaci, chiamati ogni giorno alla difficile gestione e risoluzione dei problemi che affliggono i nostri cittadini, chiediamo a Mario Draghi di andare avanti e spiegare al Parlamento le buoni ragioni che impongono di proseguire l’azione di governo. Allo stesso modo chiediamo con forza a tutte le forze politiche presenti in Parlamento che hanno dato vita alla maggioranza di questo ultimo anno e mezzo di pensare al bene comune e di anteporre l’interesse del Paese ai propri problemi interni […] Ora più che mai abbiamo bisogno di stabilità, certezze e coerenza per continuare la trasformazione delle nostre città perché senza la rinascita di queste non rinascerà neanche l’Italia”.

Tutto chiaro e tutto corretto se non fosse per un piccolo disguido. Non proprio tutti i sindaci inseriti nella lista sarebbero stati informati o comunque avrebbero dato il proprio esplicito consenso a essere inseriti nella nota a favore del premier. È il caso che riguarda il neo sindaco di Palermo Roberto Lagalla: il primo cittadino compare nella lista pur non avendola sottoscritta. Lagalla ha rivolto un appello a Mario Draghi, tuttavia non ha firmato la lettera che i primi cittadini hanno inviato al premier nella speranza che resti al suo posto.

“Credo che i sindaci si preoccupino – aveva detto il sindaco di Palermo – di garantire la continuità dell’azione di governo che in questo momento è auspicabile, in particolare per Palermo, impegnata, su questioni legate al bilancio comunale, nel confronto con lo Stato, che dovrebbe trovare soluzioni in tempi rapidi. La proposta di sottoscrizione della lettera mi è arrivata in zona cesarini e parte dalla politica dell’Anci, le cui dinamiche al momento non conosco essendomi insediato da poco tempo”. Una dichiarazione forse fraintesa.

Dallo staff del sindaco Lagalla è infatti arrivata la smentita ufficiale sulla firma: “Riguardo all’ultima agenzia Ansa nella quale viene allegato l’elenco dei sindaci che hanno firmato l’appello al premier Draghi, nel quale viene erroneamente riportata la firma del sindaco Lagalla, si ribadisce che il sindaco NON ha firmato alcun documento”, si legge nella nota.

Il nome del sindaco è però ancora su quella lista, al posto 822 sul 1300.

Sarà stata la fretta o la foga a voler raggruppare quante più firme possibili da sottoporre a Mario Draghi a creare l’imbarazzante equivoco? Certo è che negli ultimi giorni da più partiti politici si è avvertita una certa smania nel voler affermare l’incontrovertibile necessità di una permanenza del “migliore” come guida del Governo. E a questo punto l’invito a controllare è rivolto agli altri sindaci: che qualcun altro non sia rimasto inavvertitamente “impigliato” nella rete dei sostenitori.

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