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Quella settimana insieme a Beppe Grillo in una Spa

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L'autore dell'articolo, Franco Bagnasco, insieme a Beppe Grillo durante la permanenza al centro benessere

Era, suppergiù, la primavera del 2007, quattordici anni fa. Il Movimento 5 Stelle aveva toccato il 12%, che pareva già un mezzo miracolo per un partito fondamentalmente di protesta, che si muoveva quasi solo sulle eteree ali del Vaffa. Volendo perdere qualche chilo (antica, ingenua battaglia di retroguardia), prenoto una settimana in un centro benessere dalla filosofia mista, oriental-occidentale, in un paesino sul Lago di Garda.

Fatto il check-in, mi dirigo con la valigia verso la camera, percorrendo un lungo, elegante corridoio che non lasciava di certo intuire le ristrettezze da fantozziana clinica del Dottor Kranz che avrei (che avremmo) subito di lì a poco. All’improvviso, alle mie spalle, sento quattro parole provenire da una voce inconfondibile per un Paese intero, imitata milioni di volte, eppure unica: la cantilena ligure lievemente sovracuta di Beppre Grillo.

Mi giro e lo vedo al bancone mentre sbriga le formalità con l’amico conterraneo che si è portato appresso per quella settimana all’insegna del salutismo: un simpatico “mastro d’ascia”, come lo presentava a tutti romanticamente. I mastri d’ascia sono coloro che nei cantieri navali si occupano della sagomatura delle barche in legno e del trattamento di questo materiale.

Premessa. Scrivendo di spettacolo da una vita e amando il cabaret, per me Beppe Grillo era un gradino sotto Dio. O forse sopra, senza nulla togliere. Il miglior comedian che questo Paese avesse espresso (soprattutto con i testi scritti da e con Michele Serra, ma anche prima e oltre), con una teatralità e una memoria formidabili. Capace di riempire la scena come nessuno.

Da anni non perdevo uno solo dei suoi spettacoli dal vivo, recensendoli e talvolta intervistandolo. Avevo visto tutto di lui, compresi gli show più lividi, incazzosi, ambientalisti, ostinatamente anti-internettiani, economico-centrici degli ultimi anni. Quelli meno divertenti, insomma, e mi tolsi anche lo sfizio di dirglielo una volta in un camerino, prima che prendesse la strada che tutti conosciamo: “Beppe, tutto questo non sarà troppo pesante?”.

Quindi capirete che trovarmi lì, per 7 giorni, in modo totalmente – totalmente – casuale blindato in un centro benessere con lui, per me era meglio (non esagero) di una vacanza di 15 giorni tutta spesata alle Maldive. I giornalisti, si sa, sono gente strana.

Capii subito che anche Grillo e il suo amico (ma soprattutto Beppe, che amavo molto artisticamente e mi convinceva meno politicamente, ma tant’è) erano lì per quell’antica, ingenua battaglia di retroguardia di cui sopra. Insieme a noi nel centro benessere quella settimana c’erano non più di una ventina di ospiti. Platea improvvisata di fortunati ai quali Grillo regalava a ogni ora del giorno il suo mini-show.

Dai mugugni in sala da pranzo (c’era quella per i soggetti costretti a dieta e un’altra attigua ma rigorosamente separata, dove servivano pasti normali), all’arrivo di buffissimi, enormi piatti bianchi al centro dei quali spiccava un minuscolo pozzetto contenente non più di 10 penne al sugo, ai tentati assalti alla cucina. Dove i cuochi, ridendo, lo respingevano con perdite.

La fame era così tanta che una notte, alla disperata, tentammo di scendere a rubare addirittura i limoni piantati nei grandi vasi nel giardino della proprietà. C’era un piano articolato e preciso con tanto di vie di fuga. Poi prevalse il buonsenso: in fin dei conti il limone è astringente.

Tra le sue gag preferite, ricordo questa: percorrere stradine in discesa nei dintorni (invitava anche tutti gli altri del gruppo a farlo) spingendo tutto il corpo all’indietro, al limite massimo, con un innaturale sbilanciamento dell’asse che provocava ilarità. Una trovata alla Benny Hill, insolita per lui che ha sempre vissuto di una comicità di parola.

Ma non mancavano le supercazzore (occhio, i puristi lo scrivono con la R) alle signore un po’ agée nella sala d’attesa della zona sauna-massaggi, dove fu stata scattata la foto ricordo che correda questo pezzo.

Individuata la preda giusta, la incalzava così: “Buongiorno signora: mi tolga una piccola curiosità, se posso: è qui anche lei per lo sbiancamento anale?”. “Oddìo, no. Ma che cos’è?”, rispondeva la malcapitata fingendo disagio e stando ovviamente al gioco. “Una tecnica nuova, fanno un lavoretto di fino, mi dia retta, la chieda anche lei. Io sono qui proprio per questo…”. Ovviamente massaggiatrici, medici e tutto il personale della struttura lavoravano tutto il tempo piegati in due dal ridere.

Parlammo solo una volta, per un po’, di politica. Gli espressi le mie perplessità sull’abuso del “Vaffa” (“Secondo me dovreste darvi una calmata per diventare un po’ più ecumenici, altrimenti non salirete più nei consensi, i moderati scappano”), ma Beppe era perplesso, sembrava convinto che la protesta andasse cavalcata ancora.

Non molto tardi i pentastellati si calmarono davvero (non mi intesto nessun merito, per carità, era nella logica delle cose) e arrivarono a superare come sappiamo il 30% dei voti a livello nazionale drenando voti ovunque.

In quei giorni Grillo era molto nervoso perché l’amico di vecchia data Gino Paoli aveva rilasciato al Tg3 un’intervista in cui criticava pesantemente lui e il Movimento. Non se l’aspettava, lo viveva come un inatteso tradimento.

Parlandogli di spettacolo e di quella strada politica che aveva intrapreso in tempi relativamente recenti, ebbi la netta percezione che lo vivesse soltanto come un (altro) lavoro. Uno come tanti. Come un recital o la pubblicità dello yogurt, ma in versione elettorale.

Quel genio di Gianroberto Casaleggio, seguendo i suoi ultimi show, quelli più incattiviti e polemici, aveva avuto la formidabile intuizione di reclutare come “testimonial” politico il più amato e popolare dei nostri uomini di spettacolo, per farne il travolgente simbolo di un anti-partito da far sfondare nell’agone.

Non so quali fossero gli accordi o i rapporti di forza tra loro, ma immagino siano col tempo un po’ cambiati, visto il successo che ebbe l’operazione, inizialmente tutta focalizzata su Grillo, vero motore di tutto. E sono anche convinto che Beppe col tempo si sia davvero appassionato a quella creatura che propagandava e che all’epoca mi sembrò (ovviamente fu soltanto una mia impressione nata dalle chiacchiere fra noi di quei giorni, ma fu netta) soltanto l’ennesimo lavoro che Beppe aveva portato a casa insieme con il suo agente Marangoni.

Beppe Grillo è sempre stato un grande uomo di comunicazione, un esperto, e nella comunicazione uno sfacciato scommettitore: dominando quella strana bestia del palcoscenico, non si fa problemi a forzare i toni (e a smorzarli sfacciatamente poco dopo, se occorre) per portare a casa il risultato.

Per questo quando lo vedo in questi giorni alle prese con la sua prova politica più difficile, quella di salvare il salvabile, anche con errori comunicativi che un tempo non avrebbe mai fatto, ripenso inevitabilmente a quella settimana indimenticabile.

Vedo il vano tentativo che ha fatto di riavvicinare il M5S a quel Casaleggio junior e all’Associazione Rousseau dai quali Giuseppe Conte e gran parte del partito inevitabilmente si stanno allontanando, come la sindrome di Mr. Wolf di “Pulp Fiction”. Quella dell’uomo che “risolve problemi”, o almeno ci prova.

Tenta, insomma, di finire il lavoro per il quale fu reclutato (basti pensare che sino a non molto tempo fa dalla politica si voleva allontanare) pagando soprattutto il prezzo della gratitudine alla famiglia di colui che aveva deciso di metterlo in campo. Che l’aveva scelto come testimonial politico. E lo fa anche andando contro non solo la corrente, ma il buon senso. Un segno d’amicizia.

Il resto, l’Elevato, l’Eminenza grigia, il Visionario, le sparate a voce ben alta che poi si spengono e diventano quasi un bisbiglio, ma ben enfatizzato, fanno parte del bagaglio teatrale di Beppe, il più grande comedian che abbiamo avuto. Prestato alla politica, probabilmente non gratis. L’uomo col quale ho condiviso una settimana da leoni sul Lago di Garda ipotizzando di scendere di notte a rubare limoni in giardino per tramortire una fame che ammazzava.

Per la cronaca, non so Grillo (l’ho perso di vista) ma io uscito da lì, in 7 giorni, avevo perso ben 3 chili e 800 grammi. Ripresi tutti – e subito – in un’ora e mezza di pranzo mai così apprezzato alla trattoria dietro il secondo curvone. A dire il vero ce n’era un’altra prima, ma avevo il terrore di farmi beccare dalla security.

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