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Esclusivo: seggio regionale fantasma in Sicilia, i conti non tornano

Immagine di copertina

Nella sezione di Paternò una manciata di voti spuntati in corsa hanno ribaltato l’esito del testa a testa tra due candidate Cinque Stelle. Regalando ad Ardizzone lo scranno con otto schede di vantaggio a danno di Adorno. Che ha fatto ricorso al Tar

Alle elezioni regionali del 2022 in Sicilia molti seggi sono stati assegnati sul filo di lana, ma riguardo all’assegnazione di uno di questi c’è in corso un vero e proprio giallo. Un giallo anche appassionante, giacché in ballo non c’è la semplice assegnazione di un seggio, ma il principio cardine della democrazia rappresentativa. Che potrebbe sembrare banale ma a quanto pare non lo è: chi prende più voti viene eletto.

Nel collegio elettorale di Catania, il Movimento Cinque Stelle ha conquistato due seggi. Il secondo inizialmente sembrava spettare a Lidia Adorno, storica ex-consigliera comunale di Catania nonché prima candidata sindaco dei grillini agli albori. A pochissimi voti di distanza si attestava Martina Ardizzone, anche lei ex-consigliera comunale grillina a Paternò, dove tuttavia alle ultime comunali il M5S aveva scelto di fare una lista civica alleata fra gli altri con gli uomini di Totò Cuffaro. Una decisione legittima che però è stata “punita” dagli elettori che avevano lasciato Ardizzone e gli altri candidati cinquestelle a casa, sotto la soglia del 5%.

Due donne di punta, dunque, dei pentastellati siciliani. La sfida in famiglia alla fine della tornata elettorale regionale sembrava vinta dalla catanese Adorno, ma i primi dati ufficiali ribaltavano quelli ufficiosi, perché «proprio a Paternò – spiega una fonte a TPI – comparivano improvvisamente diversi voti in più per la Ardizzone». E alla fine, non a caso, proprio quest’ultima veniva eletta: 1849 voti validi contro i 1841 della concorrente Adorno.

Al fotofinish

Ed è qui che viene il bello. Data l’esigua distanza, proprio la Adorno propone ricorso nei tempi previsti, chiedendo ed ottenendo l’accesso agli atti dei 58 comuni della provincia, per poter sommare i dati ufficiali delle 1126 sezioni elettorali. La richiesta della Adorno è infatti quella di fare una semplice addizione dai dati forniti dalle 1126 sezioni. «Ho proposto ricorso non perché voglia sedere io all’ARS a discapito di qualcun altro, ma perché credo nella democrazia e nelle sue sacre regole», dice l’esclusa a TPI. E spiega: «Ho enorme stima della collega Ardizzone, e sono certa che stia facendo bene in Regione, a differenza di Schifani e della sua maggioranza. Il problema è solo avere certezza di quale candidata sia stata scelta dagli elettori catanesi, quale abbia preso più voti».

C’è da dire che il Tar si è già pronunciato riconoscendo la legittimità dell’elezione della Ardizzone. Ma qualcosa non tornerebbe tanto da spingere la Adorno a rivolgersi al Consiglio di Giustizia Amministrativa (organo che in Sicilia ha le funzioni proprie del Consiglio di Stato, ndr). Il dubbio, partendo da un preliminare lavoro dei legali della pentastellata esclusa dall’Ars, è a quanto pare lecito: «L’enorme e fruttuoso lavoro dei miei avvocati ci ha dato la possibilità di fare una somma algebrica delle singole sezioni, cosa che – una volta ottenuti i verbali ufficiali – anche un bambino saprebbe fare in pochi minuti con la calcolatrice del suo telefonino. Secondo quella somma, io sono stata scelta da 1859 cittadini, e la mia collega da 1849. Il mio ricorso chiede soltanto questo: fate la somma, contate i voti, verificate, abbiate cura con scrupolo che sia comprovato senza ombra di dubbio chi democraticamente ha diritto di sedere a Palazzo d’Orleans. Magari abbiamo sbagliato noi a fare i conti, per quanto abbiamo ripetuto l’operazione mille volte, ci può stare. Non ci può stare invece che la democrazia, la libera scelta degli elettori, venga calpestata senza che ci sia certezza di come effettivamente abbiano scelto. Faccio tutt’ora enorme fatica a comprendere come l’ufficio elettorale abbia potuto proclamare un risultato che sia differente da quello delle singole sezioni, dunque chiedo solo di capire cosa sia successo, di fare un’addizione rapida per poter continuare a lavorare serena, sapendo che la democrazia in Italia non viene violata».

Alla moviola

La stranezza di questa vicenda, di fatto, non è la brevissima distanza che separa due candidati, ma proprio la scarsa chiarezza rispetto a chi abbia preso più voti. Eppure il “meccanismo” formale è piuttosto chiaro: alla fine di ogni elezione, il Presidente di sezione redige due verbali, che sono identici per legge: uno viene depositato ai Comuni – i quali hanno fornito prontamente ai ricorrenti quel verbale con i dati di tutte le singole sezioni e da cui, appunto, emergerebbe l’errore di calcolo – l’altro all’Ufficio Centrale Circoscrizionale del Tribunale di Catania. Ed è proprio a questo Ufficio che inizialmente era stata chiesta la documentazione, ma a tale accesso agli atti era stato risposto con la mera consegna del solo verbale di proclamazione e non invece con gli elenchi di tutti i voti.

La stessa Martina Ardizzone, attuale consigliera 5S in Regione, contattata telefonicamente da TPI, è chiara su un punto: «Se Lidia (Adorno, ndr) pensa ci siano degli errori, è giusto che abbia fatto ricorso anche in secondo grado al Consiglio di Giustizia Amministrativa (organo che in Sicilia ha le funzioni proprie del Consiglio di Stato, ndr) per cui ora attendiamo la decisione. Da quanto ne so, il Tar è stato chiaro e non ha lasciato spiragli, ma vediamo. È ovvio che se dovesse aver ragione, lei ha tutto il diritto di subentrare al mio posto, su questo voglio essere chiara».

La richiesta della Adorno, cui a quanto pare non è mai stata data una risposta chiara o convincente, è nominare un cosiddetto “valutatore”, una sorta di Ctu che di norma può essere incaricato dal Tar o, adesso, anche dal Consiglio di Giustizia Amministrativa che, senza oneri per la collettività ma a carico del ricorrente o del soccombente, dovrebbe eseguire una semplice somma aritmetica delle preferenze delle due candidate (una per Adorno e una per Ardizzone), estrapolando i dati dai verbali allegati al ricorso, senza dovere ripetere le operazioni elettorali, senza dovere aprire nessuna scheda.

Rimane, dunque, la grande incognita: come mai secondo la ricorrente la somma delle sezioni non corrisponde ai numeri relativi alla proclamazione degli eletti? C’è un errore nella somma, un’addizione sbagliata da parte dell’ufficio elettorale circoscrizionale, o l’errore nei conti lo fa la ricorrente? Dunque non resta che augurarsi davvero che i giudici vogliano prendersi la briga di perdere cinque minuti per controllare i voti e verificare chi davvero ha ricevuto la fiducia dei cittadini etnei. Sarebbe in caso contrario l’ennesima beffa nel paese delle beffe. E l’ennesima dimostrazione di inadeguatezza italiana, quando nel resto dei Paesi europei sono da un pezzo stati messi da parte i verbali scritti a mano, le addizioni in colonna, le cifre poco leggibili e le correzioni con la gomma pelikan, ma si utilizzano sistemi informatici non falsificabili e a poche ore dalle elezioni si conoscono eletti e bocciati. Senza bisogno di carte bollate. Per il resto la battaglia politica, al di là del nome e della consigliera seduta in assise, continua. «Bisogna lavorare sui temi e battere un centrodestra allo sbando in Ars», conclude la Ardizzone.

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