Scissione Pd-Renzi, l’ex premier vuole gruppi autonomi in Parlamento: ecco cosa succede
Le ultime sulla spaccatura nei Dem
Scissione Pd-Renzi, cosa succede
Il Pd rischia la scissione per volere di Matteo Renzi. Il Partito Democratico verso la scissione con la nascita di gruppi autonomi renziani in Parlamento. Si fa sempre più concreta in queste ore l’ipotesi di una spaccatura della principale forza di centrosinistra.
Cosa vuole fare Renzi
Stando a quanto trapelato in questi ultimi giorni il piano di Renzi dovrebbe entrare nel vivo fin da subito (possibile un annuncio già domani, martedì 16 settembre, in tv, da Bruno Vespa nello studio di Porta a Porta). Dovrebbero nascere un gruppo parlamentare autonomo alla Camera, composto quindi da almeno 20 deputati, e un sottogruppo del gruppo Misto al Senato (ma non c’è certezza sulle date). L’ex presidente del Consiglio ed ex segretario Dem non penserebbe per ora a dar vita un partito vero e proprio, ma a un movimento sul modello dei comitati di Azione civile: una formazione capace di attrarre anche pezzi del centrodestra, da Forza Italia al Centro. Non sarebbe all’ordine del giorno nemmeno un partito da lanciare alle Regionali.
Attualmente i gruppi Pd in Parlamento sono composti da 111 deputati e 51 senatori. I nuovi gruppi renziani dovrebbero nascere comunque non contro il governo, ma a suo sostegno.
Scissione Pd-Renzi: la posizione di Zingaretti
Ovviamente l’attivismo dei renziani di queste settimane ha creato preoccupazione ai vertici del Pd. Il segretario Nicola Zingaretti, che dopo la crisi del governo M5S-Lega si diceva pronto ad andare alle elezioni anticipate, ha lavorato molto in queste settimane per tenere unito il partito e ha accettato la linea chiesta da Renzi di aprire ad una trattativa con il Movimento 5 Stelle, dialogo che ha poi portato alla nascita del nuovo governo.
Il tesoriere Dem Luigi Zanda dice oggi: “Fino all’ultimo dobbiamo sperare che sia solo un brutto sogno”. E spiega: “Una scissione è il fatto più traumatico che si possa immaginare nella vita di un partito ed è singolare che chi medita di andarsene possa immaginare di farlo con l’assenso di chi resta”.
Si tratta della posizione sulla scissione Pd-Renzi espressa ieri da Dario Franceschini, esponente Dem tra i protagonisti dell’intesa con il M5S, dalla trattativa per un governo fino al dialogo per un accordo alle Regionali. “Lo dico a Renzi: non farlo. Il Pd è la casa di tutti, è casa tua e casa nostra”, ha detto il ministro dei Beni Culturali. “Il popolo della Leopolda è parte del grande popolo del Pd. Non separiamo questo popolo, non indeboliamoci spaccando il partito di fronte a questa destra pericolosa”, ha aggiunto.
E ancora: “L’unità del Pd è indispensabile. La nascita del governo è passata anche dalle interviste di Renzi e di Bettini, non si era mai visto un voto unanime in direzione. Per questo non voglio credere a questa storia della scissione o quel che ho letto sui giornali, questa storia ridicola della separazione consensuale. Quando spacchi un partito è sempre traumatico, come si fa a pensare che sia consensuale?”.
Zingaretti, poi: “”Scissione? Spero di no perché un Pd unito serve alla democrazia italiana e serve alla stabilità del Governo”, ha dichiarato ieri dal palco della festa de l’Unità di Torino. “Serve un partito totalmente nuovo che si rifonda, è durissima ma questo lo dovremo fare. Dividersi in questo momento è un gravissimo errore che l’Italia non capirebbe”.
Gli scenari
I gruppi parlamentari renziani sarebbero solo un primo step, un primo passaggio che potrebbe portare anche all’ingresso in maggioranza di nuovi parlamentari. Ma non è chiaro al momento in che modo la scissione Pd-Renzi potrà pesare sul Partito Democratico e sul rapporto con gli alleati di governo M5S.
I retroscena hanno parlato di una possibile separazione “consensuale” tra Pd e Renzi, descrivendo un clima di relativa serenità rispetto ai nuovi equilibri che potrebbero sorgere. Ma trapelano anche posizioni più nette su un possibile ritorno al muro contro muro con il Movimento 5 Stelle e a rischi per la tenuta del governo Conte bis (oggi il giuramento dei sottosegretari). L’iniziativa viene vista nel partito come un potenziale fattore di destabilizzazione mentre tra i renziani c’è chi vuole interrompere la tregua con i pentastellati.
“Dobbiamo tornare a dettare l’agenda e a sfidare il Movimento 5 stelle su tutto. Dall’immigrazione alla Rai”, è il pensiero espresso da Michele Anzaldi, deputato fedelissimo di Renzi, riportato da Repubblica. “Sono disperato perché ho un problema nel mio partito. Un nuovo gruppo invece può spingere l’esecutivo a fare più cose, a tenere Di Maio sulla corda per andare avanti”.
La visione meno pessimistica vede nella nuova formazione renziana la terza colonna del governo Conte bis insieme a Pd e M5S, in grado di conquistare spazio tra i moderati mentre il Partito Democratico consolida la sua vocazione di sinistra.
Scissione Pd-Renzi: i nomi
La scissione Pd-Renzi viene motivata anche con il possibile ritorno nel partito dell’ala di sinistra anti-renziana, rappresentati da Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema.
“È del resto questione di settimane e nel Pd torneranno D’ Alema e gli amici di Leu. Erano già candidati nelle nostre liste alle europee. Giusto che Renzi e tutti noi ci pensiamo seriamente. Noi non siamo il partito che canta Bandiera Rossa al comizio conclusivo del segretario. Legittimo, ci mancherebbe altro, ma per quello meglio chiamare Speranza e D’Alema e non noi”, ha detto il deputato renziano Ettore Rosato.
Luigi Marattin, che è in pole per diventare capogruppo alla Camera, in un’intervista ha parlato di “sovranisti” e “Pd-M5S” come “opzioni politiche insufficienti”. Rosato, ex capogruppo Dem alla Camera, potrebbe diventare coordinatore del nuovo movimento.
Poi ci sono anche i renziani leali a Zingaretti, come Lorenzo Guerini e Luca Lotti, che darebbero il via libera alla rottura senza problemi pur non iscrivendosi ai nuovi gruppi.
Il primo grande appuntamento sarà quello della Leopolda, l’annuale raduno renziano a Firenze, quest’anno in programma da venerdì 18 a domenica 20 ottobre. Alla Stazione l’ex premier chiarirà il suo piano per il futuro ma a quel punto il processo di separazione sarà già ben avviato.