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Matteo vs Matteo: obiettivo palude

Immagine di copertina
Matteo Salvini, leader della Lega, e Matteo Renzi, ex leader del Pd.

Cosa c'è dietro la strategia di Renzi nella crisi di governo aperta da Salvini

Salvini e Renzi: Matteo vs Matteo

Se oggi tutti si chiedono chi sia il candidato ideale contro Salvini, a Renzi bisogna dare atto di aver individuato cosa può metterlo in difficoltà più di chiunque altro. Lui stesso è stato sconfitto da questo avversario. Si tratta di un rivale che non ha voti, non ha consenso, non ha un programma e non propone leggi, ma sa fermare un politico meglio di molti altri. Questo rivale è la palude politica.

Dalle primarie del centrosinistra del 2012 al referendum costituzionale del 2016 la politica italiana ha avuto tra i suoi protagonisti indiscussi quello che, a oggi, è un mero senatore: Matteo Renzi. Sindaco rottamatore prima, premier e segretario del Pd poi, in quel lasso di tempo Matteo Renzi ha saputo dettare i tempi della politica italiana, al di là dei risultati politici ed elettorali. La fine di questo periodo è arrivata dopo la sconfitta nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, non tanto perché Renzi aveva perso ma perché aveva fatto l’ingresso in quello che lui stesso definì a suo tempo una palude politica.

La palude è quel luogo in cui un leader politico di un preciso momento storico non ha più il pallone tra i piedi ed è all’improvviso impossibilitato a dettare modi e tempi della politica, con il rischio di perdere lucidità e di rimanere tagliato fuori. È proprio quello che è successo a Renzi: messo all’angolo in attesa che la Consulta decidesse sull’Italicum, messo in ombra da un governo di fatto fotocopia del suo, ma guidato da Gentiloni, Renzi si è alla fine ritrovato in una palude, sempre più isolato nel partito, fino ad arrivare alla sonora sconfitta del 4 marzo 2018.

Oggi Renzi è un senatore con un peso diverso dagli altri, non tanto per il suo passato quanto per la folta pattuglia di parlamentari a lui ancora fedeli. Ma oltre a questo è un senatore consapevole di una cosa: a un leader finire nella palude politica rischia di fare più male di una sconfitta elettorale. La proposta di Renzi di non votare subito e di realizzare un governo istituzionale di cui facciano parte Pd e M5S, seppur non coerente con quanto fino a oggi portato avanti da Renzi, sembra in primis andare in questa direzione: abbandonare la palude in cui si trova e mandarci qualcun altro.

Ci sono certamente anche altri elementi di cui tenere conto, compresa la lotta interna al Pd con il segretario Nicola Zingaretti – a Renzi fa sicuramente comodo conservare l’attuale pattuglia di parlamentari a lui fedeli, mentre a Zingaretti farebbe altrettanto comodo un rinnovo del parlamento, potendo cambiare la composizione dei gruppi Pd in suo favore -. In seconda battuta, uno degli obiettivi che Renzi vorrebbe centrare è probabilmente quello di mandare nella palude chi oggi ha il pallone tra i piedi e decide le regole del gioco: Matteo Salvini.

Che Salvini sia colui che oggi detta l’agenda politica italiana è sotto gli occhi di tutti: dopo un anno da azionista di maggioranza del Governo in cui è riuscito a rovesciare i rapporti di forza con l’alleato pentastellato, il leader leghista ha messo la ciliegina sulla torta del suo operato annunciando in piena estate di voler porre fine al governo Conte (la tempistica è stata fondamentale: ha preso in contropiede tutta la politica italiana che non poteva immaginare una crisi nel mezzo della stagione estiva).

Con gli avversari colti di sorpresa e un probabile voto anticipato alle porte, Salvini sembrava – e sembra tuttora – destinato a un trionfo già segnato. Ma se le altre forze politiche erano ormai rassegnate al voto, Renzi ha voluto mettere in campo una tattica tanto diversa quanto rischiosa. Se il governo istituzionale di cui tanto si parla dovesse infatti andare in porto, Salvini avrebbe di fatto fallito nel suo obiettivo di andare al voto, così come risulterebbe fallito il suo tentativo di dettare, ancora una volta, l’agenda politica. Una vera novità per il leader leghista che ha guadagnato consensi, avvicinandosi al 40 per cento nei sondaggi.

Renzi, al contrario, dopo un periodo trascorso in disparte e all’ombra degli eventi, potrebbe nuovamente avere in mano le carte da mettere in gioco. Tutto questo non senza rischi enormi per lo stesso Renzi: il governo istituzionale, infatti, qualora nascesse – ed è tutto da vedere – rischierebbe di dover fare una manovra finanziaria impopolare che porterebbe acqua al mulino di Salvini. Ma, dall’altra parte, se si trovassero le condizioni – e la paura del voto anticipato può essere una di queste – può essere un governo forse non di successo ma abbastanza lungo da logorare Salvini e relegarlo a quella palude politica a cui ogni leader, prima o poi, rischia di dover andare incontro.

Lo stesso Salvini è consapevole di questa situazione ma comunque punta a un “win-win”: vittoria in caso di voto anticipato ma anche vittoria in caso di governo istituzionale, con i suoi rivali impegnati a logorarsi in un governicchio costretto a prendere misure impopolari che gli lascerebbero ampio spazio per continuare a fare il pieno di consensi e a riempire le piazze, in una scalata apparentemente inarrestabile verso il successo. Intanto Renzi ha centrato un obiettivo. La sua linea ha messo in ombra quella del “voto subito” di Zingaretti e a dimostrarlo è stato proprio Salvini, che nel suo discorso di ieri al Senato si è rivolto direttamente a Renzi. La lotta su chi comanda davvero all’interno del Pd è appena iniziata.

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