Salvini, il ministro assenteista: dall’inizio del 2019 si è recato in Viminale solo 17 volte
Matteo Salvini assenze Viminale | Repubblica cambia la grafica del quotidiano e del sito, e dedica la sua prima nuova apertura a Matteo Salvini, il ministro latitante. Dall’inizio del 2019, dice l’inchiesta del quotidiano diretto da Carlo Verdelli, il ministro ha lavorato solo 17 giornate piene, per un totale di 95 assenze.
In compenso, ha partecipato a 211 eventi tra cui comizi elettorali del suo partito e altri incontri non istituzionali, come cene, feste della Lega e altro.
“Incontrare il ministro? Si fa prima con VinciSalvini, sperando che sia lui a richiamare…”, scrive Fabio Tonacci, citando voci di dirigenti del Viminale.
E spesso, i suoi giri in Italia, da Nord a Sud, da Est a Ovest, Salvini li fa a bordo di mezzi della polizia.
“Appare ovunque. Tranne che al Viminale”. Repubblica fa un dettagliato elenco dei luoghi in cui il ministro si è recato dall’inizio dell’anno: da Bormio il primo gennaio, passando per tutte le regioni in cui si sono tenute le elezioni regionali, e in ultimo, i comizi per le Europee.
A tenere traccia di tutti i suoi spostamenti sono le dirette Facebook, i tweet e i post su Instagram di cui il vicepremier, tra un arancino e un mozzarella, fa un uso copioso.
Stringe mani – e se le fa baciare – , scatta selfie, parla agguerrito dal palco. E intanto in Viminale non lo si vede mai.
Nell’articolo, che ricostruisce l’agenda del ministro giorno per giorno, i giorni al Viminale sono meno di 20, e si contano sulle dita di una mano: il giorno dell’incontro con il suo omologo libico Maiteeq, o il tavolo per decidere il blocco della Mare Jonio.
Ci sono poi i giorni in cui al ministero si reca, ma ci sta solo poche ore. “Un tasso di ‘assenteismo’ del 70 per cento”, scrive il quotidiano.
Ma chi comanda al Viminale, vien da chiedersi? “Il vero ministro dell’Interno italiano si chiama sì Matteo, ma di cognome fa Piantedosi. È il prefetto che Salvini ha voluto a capo del Gabinetto, e al quale ha delegato il comando”, si legge su Repubblica.
Mario Morcone, prefetto in pensione che lavora in Viminale da tantissimo, fa un paragone con il passato: “Minniti arrivava in ufficio alle 8.30 e se ne andava la sera. Nicola Mancino si presentava in ufficio alle 7, prima della donna di servizio”.
Quando il capo non c’è, o impartisce ordini via telefono, il lavoro si rallenta. E il lavoro del Viminale è il lavoro di un’intera Nazione.
Ad esempio, il ministro dell’Interno è l’unico che può firmare l’autorizzazione a intercettazioni preventive, in caso di indagini di mafia e terrorismo e deve essere a Roma per poterlo fare. C’è poi la questione della sicurezza. La linea interna del Viminale criptata, è l’unica sicura per poter comunicare con gli alti vertici dello stato o con i servizi segreti.
Per non parlare poi degli impegni europei: da ministro dell’Interno è stato assente a 5 Consigli degli Affari Interni su 6.
E nelle grandi emergenze, da Corinaldo all’assassinio del maresciallo Di Gennaro, in provincia di Foggia, il ministro arriva sempre con svariate ore – se non giorni – di ritardo, a causa di comizi o altri eventi.