Il costituzionalista Azzariti a TPI: “Col premierato rischiamo una deriva populista”
“Questa riforma è confusa e pericolosa. Rafforza il Governo anziché il Parlamento. E il capo dello Stato è ridotto a fare il notaio. Questi politici sono estranei rispetto alle dimensioni costituzionali”
«Questa riforma è tanto pericolosa quanto confusa, un vero pasticcio», osserva il costituzionalista Gaetano Azzariti, professore ordinario di Diritto costituzionale alla Sapienza di Roma. L’esperto spiega a TPI perché, a suo avviso, il disegno di legge costituzionale del Governo Meloni indebolisce il ruolo del Capo dello Stato e quello del Parlamento trasformando una democrazia in una forma di “populismo”.
Qual è il suo giudizio sulla riforma che mira a introdurre il premierato?
«Partirei da qualche tempo fa, ovvero dal terzo secolo avanti Cristo, da Polibio, il quale diceva una cosa fondamentale: per quanto riguarda le forme di governo bisogna garantire gli equilibri perché altrimenti si mette a rischio il sistema democratico nel suo complesso e quindi si passa all’olocrazia. Noi potremmo dire che si passa dalla democrazia alla forma attuale dell’olocrazia, ovvero al populismo o alla demagogia in assoluto. Il difetto maggiore che vedo in questa riforma costituzionale è proprio questo: l’accentuato squilibrio che produrrebbe alla nostra forma di governo, che è già un po’ squilibrata e che quindi avrebbe necessità di un riequilibrio».
«In questo momento nella nostra forma di governo, cioè nel rapporto tra Presidente, Parlamento ed Esecutivo, il soggetto debole è il Parlamento, che è al servizio dell’esecutivo. Il Governo, attraverso ad esempio i decreti legge e le questioni di fiducia, ha assorbito la funzione legislativa. Questa riforma si propone di rafforzare l’esecutivo senza toccare i poteri del Parlamento, mi sembra una follia. Bisognerebbe fare esattamente il contrario. Se si vuole rafforzare il Governo, prima bisogna rafforzare il Parlamento. Con questa riforma gli equilibri generali verrebbero rotti con effetti diretti e indiretti. E questo, a mio parere, è il maggiore pericolo».
Il Governo sostiene che i poteri del presidente della Repubblica rimarrebbero gli stessi.
«Il presidente della Repubblica è uno dei contropoteri, anche se un contropotere anomalo e neutro che interviene secondo quelle che sono le sue funzioni. Con la riforma, formalmente i poteri del capo dello Stato rimangono gli stessi ma sostanzialmente vengono svuotati: anche questo mi sembra miope. Non è una mia opinione, è un dato di fatto».
«Il presidente della Repubblica ha due poteri essenziali di intermediazione, che sono quelli di nomina del presidente del Consiglio e di scioglimento delle Camere. Con questa riforma nel bene, e soprattutto nel male, il presidente del Consiglio viene scelto dagli elettori, quindi viene annullato il potere di nomina del capo dello Stato. Il fatto che rimanga il potere di conferire l’incarico è l’espressione di un formalismo, con il presidente della Repubblica che a quel punto ricoprirebbe un ruolo puramente notarile. Anche sullo scioglimento anticipato delle Camere, che è un altro potere delicatissimo, il capo dello Stato non potrebbe fare altro che prendere atto di un’eventuale crisi e, in termini puramente notarili, sciogliere le Camere senza avere più potere di scioglimento».
La riforma prevede che un altro premier possa subentrare al presidente del Consiglio a patto che sia sostenuto dalla stessa maggioranza. Non crede che, paradossalmente, l’eventuale premier subentrato possa avere più potere del suo predecessore dal momento che, in caso di sfiducia, si tornerebbe al voto?
«L’attuale ceto politico, non solo la maggioranza, mostra una sostanziale estraneità rispetto alle dimensioni costituzionali. In questa riforma si mischiano le logiche che devono essere proprie della forma di governo presidenziale e le logiche della forma di governo parlamentare. Da una parte si sceglie di dare più poteri al premier, dall’altra si introduce un elemento distorsivo proprio della forma di governo parlamentare, irrigidendola tra l’altro, introducendo l’obbligo di andare alle elezioni in seconda battuta».
«È una logica discutibile di fortissima razionalizzazione di forma di governo parlamentare, che nulla c’entra con una riforma presidenziale. Il disinteresse rispetto agli equilibri costituzionali ha portato a una riforma che, come ho già avuto modo di dire, è tanto pericolosa quanto confusa. E forse è proprio la confusione che rende ancora più pericolosa la riforma».
La maggioranza, tramite una nuova legge elettorale, dovrà avere il 55% dei seggi in Parlamento. Non c’è il rischio, come già accaduto con l’Italicum, che vengano rilevati profili di incostituzionalità su questo punto?
«Questa è un’ulteriore dimostrazione di come questa riforma sia distante dalle logiche costituzionali. Si introducono disposizioni molto specifiche che dovrebbero essere proprie della legge elettorale, non inserite in Costituzione. Una volta che viene imposto il 55% devo sapere come poterlo ottenere. La Corte Costituzionale, nella sentenza sull’Italicum, ha detto che non ci può essere un eccesso di premialità perché si incide sul principio della rappresentatività del Parlamento. Sicuramente è un tema che si riproporrebbe anche con una nuova legge elettorale. Questa norma è un pasticcio anche per questo motivo: inserisce una specifica valutazione politica in Costituzione».
Qualora la riforma venisse approvata, secondo lei il presidente della Repubblica Mattarella dovrebbe dimettersi?
«Per il presidente non vi sarebbe alcun obbligo di dimissioni, è un problema di opportunità. La scelta non potrebbe che essere rimessa alla persona, non credo si possano fare valutazioni di ordine giuridico o costituzionale su questo punto. Valutando l’opportunità è evidente che dopo l’eventuale approvazione di questa sconclusionata riforma costituzionale, l’attuale presidente, essendo cambiato l’intero quadro dei suoi poteri e delle sua funzione, a quel punto potrebbe prendere in esame l’eventualità delle dimissioni».
Quale riforma servirebbe a suo parere?
«Nella discussione sulle riforme costituzionali, e parlo anche delle precedenti, si mettono insieme cose diverse: esigenze reali ed esigenze che reali non sono. La prima riforma che farei è sul Parlamento e non sul Presidente. Bisognerebbe garantire il rispetto di un equilibrio tra Parlamento e Governo, razionalizzare i regolamenti parlamentari, puntare a una centralità del Parlamento. È sicuramente vero che i governi durano poco, ma sono trent’anni che sappiamo perfettamente quali sono le misure per limitare il rischio di instabilità».
«Abbiamo l’esperienza europea e in particolare della Germania, che ha delle misure sulle quali discutiamo da trent’anni. Ovvero: sfiducia costruttiva e nomina del solo cancelliere. Poi c’è un’ultima considerazione, che è forse la più importante di tutte, che rappresenta la vera debolezza dei governi: la loro scarsa autorevolezza. Si può intervenire su questo provando a modificare il sistema dei partiti, nella speranza che essi riescano a tornare a esprimere la propria specifica capacità di rappresentanza che hanno da tempo perduto. Ma è essenzialmente un problema politico-culturale più che istituzionale, su cui dovrebbe riflettere la nostra classe dirigente occupandosi più dei problemi reali e non di quelli autoreferenziali al sistema politico».