La scontata linea di difesa di Attilio Fontana: “Colpire la mia Lombardia per fare fuori la Lega”
“Avevo iniziato a girare la Lombardia per presentare il nostro piano di rilancio. E avevo trovato ovunque una gran voglia di reagire e di ripartire, di rimettersi in gioco. La cosa mi entusiasmava, avevo il morale a mille. E invece è arrivata questa seconda botta, un’accelerazione fortissima in appena due o tre giorni”. Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana risponde alle domande del quotidiano “La Verità” alla vigilia della puntata di “Report”, la trasmissione d’inchiesta di RaiTre che nelle anticipazioni ha annunciato che si occuperà diffusamente, tra l’altro, di vicende che toccano, più o meno direttamente, il presidente di Regione Lombardia ed ex sindaco di Varese.
Secondo il quotidiano, nella puntata di Report verrano evidenziate pressioni da parte della ‘Ndrangheta su Fontana in merito ad alcune scelte nel settore della sanità. “Queste sono illazioni vergognose fatte per suggestioni ed inaccettabili. Mi riservo comunque di agire sia in sede penale che in sede civile”, risponde Fontana che aggiunge: “Forse perché hanno già cavalcato il cosiddetto caso dei camici. Per citare Stalin, pensano di affondare il coltello nel ventre, ma non trovano un ventre molle, trovano l’acciaio”.
Il giornalista torna anche sul tema camici: “Alla fine l’azienda di suo cognato ha fatto una donazione alla Regione, i lombardi non hanno pagato un euro, e lei aveva dato disponibilità a mettere dei soldi di tasca sua. La cosa è materia penale?”, viene chiesto a Fontana che replica: “Mio cognato aveva fatto altre donazioni in quel periodo. Quando ho capito che la fornitura era onerosa gli ho chiesto di rinunciare al pagamento per evitare polemiche e ho cercato di corrispondergli il 50% del mancato incasso. Il prezzo era il più basso fra quelli in quel momento pagati, Mio cognato ha accettato e quindi la Regione non ha pagato nulla. Ed è proprio lui che ha oggi ci ha rimesso”.
Il governatore Fontana viene invitato anche a commentare la vicenda delle consulenze della figlia, sempre sollevate da Report. “Di questo non parlo, parla lei, che ha già inviato delle risposte che per ora la trasmissione non ha preso in considerazione. Aveva degli incarichi assolutamente trasparenti da un’assicurazione che poi era anche un’assicurazione di un’ASST”.
Per Fontana si tratterebbe di “un’operazione” che “prevede due obiettivi appetitosi: provare a mettere nel mirino la Lega e tentare di prendere la Lombardia. Anche perché con il voto democratico in Lombardia non riescono a vincere, e allora tentano altre strade”. Un accanimento nei confronti della sua regione, già da marzo-aprile quando la Lombardia era in difficoltà nel fronteggiare la pandemia, “non solo percepito”, per il governatore, “alcuni giornalisti e politici lo hanno esplicitato, pronunciando parole pesanti”.
Infine Fontana risponde anche alle accuse di Domenico Arcuri e del ministro Boccia secondo i quali molti ritardi sulla risposta al Covid sono colpa dei governatori. “Noi abbiamo sempre fornito in tempo i nostri dati. Sento anche che ci viene rimproverato di avere respiratori inutilizzati. Non ne ne abbiamo nessuno inutilizzati, tranne venti, ma solo perché non hanno la certificazione. Li teniamo da parte e li utilizzeremo solo se ci sarò un’urgenza drammatica”.
Le altre inchieste che scuotono la Regione Lombardia
Il caso delle consulenze assegnate alla figlia di Fontana è solo l’ultimo nel lungo elenco di grane che hanno scosso la Regione Lombardia:
Caso camici – Il governatore Fontana risulta direttamente indagato solo per la vicenda della fornitura di camici da parte della società Dama, partecipata dal cognato Andrea Dini e dalla moglie Rebecca, che, in conflitto di interessi, doveva fornire 75mila camici alla Regione Lombardia per 500mila euro, in piena emergenza Covid. L’accusa rivolta a Fontana è di frode in forniture pubbliche, approfondita dalla procura di Milano.
Caso test sierologici – Questa inchiesta è della procura di Pavia. La Regione Lombardia non usò nel mese di marzo i test sierologici, ritenendoli scarsamente affidabili. Poi l’11 aprile scelse, con affidamento esclusivo, la Diasorin, azienda di Saluggia, che nel frattempo aveva ottenuto un accordo esclusivo con il Policlinico San Matteo di Pavia per sviluppare la ricerca, senza avere ancora la certificazione CE.
Caso Rsa – Sono aperti molti fascicoli, in varie procure. Fra tutti spicca quello di Milano relativamente al Pio Albergo Trivulzio, dove la mortalità è salita più del doppio rispetto allo scorso anno. Sono indagati per omicidio colposo i vertici della società (e in generale ci sono decine di indagati in tutta la Lombardia). Per quanto riguarda la Regione Lombardia, sotto la lente degli inquirenti ci sono tre delibere regionali, emanate tra l’8 e il 30 marzo. In particolare la prima, dell’8 marzo, chiedeva di poter inserire, su base volontaria, malati Covid nelle Rsa; la seconda rendeva possibili i finanziamenti per ogni paziente in più accettato (150 euro al giorno a testa) e la terza bloccava le visite ai partenti.
Caso mascherine – Si indaga anche sulla mancanza di dispositivi medici: dalle ricostruzioni emerge che le mascherine siano state usate poco, in quanto la direzione chiedeva di non farne uso per non spaventare i pazienti. È emersa anche una circolare della Regione che diceva di limitarne l’impiego per via della difficoltà a reperirle sul mercato.
Caso ospedale in Fiera – L’inchiesta aperta sull’ospedale nel quartiere Portello di Milano, realizzato dalla Fondazione Fiera Milano. Si tratta in questo caso di donazioni private, pari a 22 milioni, ma gli inquirenti vogliono approfondire, dopo un esposto dei Cobas, se i costi sostenuti siano compatibili con le attrezzature acquistate, finalizzate alla realizzazione di 220 posti letto per la terapia intensiva.
Caso mancata zona rossa in Val Seriana – Dopo l’inchiesta in più parti di TPI, la Procura di Bergamo ha aperto un fascicolo per “epidemia colposa” sulla mancata zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro. Tra il 27 febbraio e il 3 marzo 2020 i contagiati e soprattutto i morti in Val Seriana stavano salendo esponenzialmente, più che in altre province. Il 2 e il 5 marzo l’Istituto Superiore di Sanità invia due note al Comitato tecnico Scientifico invitando a chiudere quelle zone. Cosa che non è mai successa e che ha permesso la propagazione del virus a partire dall’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo, facendo diventare la provincia di Bergamo il peggior focolaio d’Europa. L’inchiesta è ancora verso ignoti e Fontana non risulta al momento indagato, ma sicuramente questa vicenda ha scosso le sorti della Regione Lombardia e dell’intero Paese.
L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:
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