Il taglio dei parlamentari non conta più, ora il referendum è solo per far cadere il governo o salvarlo
Referendum sul taglio dei parlamentari: tutti vorrebbero votare il contrario di quello che dicono
C’è un paradosso che caratterizza il referendum sul taglio dei parlamentari in programma il 20 e 21 settembre, ovvero che tutti i partiti vorrebbero votare il contrario di quello che dicono. Quasi tutti gli schieramenti sono a favore del Sì, eppure la maggior parte vorrebbe schierarsi con il No. Più che di psicologia inversa, strategia attraverso la quale si induce una persona a fare o dire qualcosa che in realtà non desidera fare, si tratta di una delle tante schizofrenie della politica italiana. A dare un’idea della complessità della cosa c’è il fatto che la riforma, ad esempio, è approdata in Parlamento con una maggioranza sostenuta da M5S e Lega ed è stata approvata in via definitiva quando si era già formato il Conte bis, ovvero quando il Pd ha preso il posto del Carroccio nella maggioranza di governo. C’è da dire, poi, che dietro al referendum si nasconde una partita molto più importante del “semplice” taglio dei parlamentari: la sopravvivenza o meno del governo. Ecco perché dietro le ragioni del Sì o del No, in realtà, si nascondono delle motivazioni che vanno ben aldilà della riforma stessa. Di seguito, una “mappa” di coloro che vorrebbero vincesse il No pur votando Sì.
L’emblema della schizofrenia sul referendum: il Partito Democratico
Il Pd è senza dubbio il simbolo del paradosso in atto sul referendum sul taglio dei parlamentari. Schierato ufficialmente per il Sì, vorrebbe votare No “senza se e senza ma” per usare uno slogan fin troppo abusato nei primi anni Duemila. D’altronde, in Parlamento il partito guidato da Nicola Zingaretti ha sempre votato contro la riforma ad eccezione dell’approvazione finale in cui si è schierato a favore della legge in seguito all’accordo di governo con il M5S che prevedeva il via libera dei dem in cambio di una serie di riforme da approvare successivamente, tra cui quella riguardante una nuova legge elettorale. Ed è proprio su questo tasto che ha insistito Zingaretti nel corso della Direzione nazionale al termine della quale il partito si è schierato ufficialmente a favore del Sì con numeri anche piuttosto bulgari: 188 favorevoli, 13 contrari e 8 astenuti.
Nonostante i numeri emersi in Direzione e la consapevolezza che il Sì al referendum sia un rospo da dover ingoiare per continuare a governare con il M5s, i mal di pancia all’interno del Partito Democratico sono sicuramente molti di più di quello che i freddi numeri dicono. E se alcuni big, tra cui Luigi Zanda, il governatore della Campania De Luca, il sindaco di Bergamo Gori o il ministro della Difesa Lorenzo Guerini hanno detto espressamente che voteranno No, senza dimenticare Romano Prodi, il quale non è iscritto al Pd ma che una certa influenza sugli elettori ce l’ha, un discorso a parte lo merita la base del partito. Gli elettori dem, infatti, sono in prevalenza a favore del No o comunque voterà Sì solamente per “spirito di servizio”. Non a caso, lo stesso Pd si è schierato a favore del taglio sui parlamentari, ma lo ha detto sottovoce ed evitando qualsiasi campagna elettorale a favore del Sì. Quasi a non voler farlo sapere.
Il M5S ha voluto la riforma sul taglio dei parlamentari, ma voterebbe volentieri No
Anche il Movimento 5 Stelle, se potesse, voterebbe volentieri No. Certo, la riforma è stata fortemente voluta dal M5S ed è una bandiera della battaglia alla casta che il partito porta avanti da quando doveva aprire “il Parlamento come una scatola di tonno”. Ma c’è un però, ovvero che il M5S non è più quello delle origini. Oggi, inutile negarlo, è un partito a tutti gli effetti e in quanto tale deve fare i conti con i numerosi parlamentari, i quali saranno costretti a votare una riforma che sarà complice del loro ritorno a casa proprio per il taglio da loro fortemente voluto. Non a caso, tre parlamentari, Elisa Siragusa, Andrea Vallascas, e Mara Lapia, si sono schierati apertamente a favore del No, anche se in molti sostengono che in realtà siano molti di più coloro che si oppongono alla riforma.
C’è da sottolineare, così come per il Pd, che un trionfo del Sì dovrebbe mettere a riparo il governo da eventuali scossoni. Ma non tutti i dirigenti del M5S, così come molti degli elettori, sono entusiasti dell’alleanza con il Partito Democratico, motivo per cui molto potrebbero essere tentati dallo “sgambetto”. Inoltre, l’eventuale vittoria del No potrebbe essere sfruttato come argomento per una futura campagna elettorale. Il partito fondato da Beppe Grillo, infatti, potrebbe sostenere di aver provato a tagliare le poltrone attraverso la riforma, ma di essere stato ostacolato dalla casta.
Lega e Fratelli d’Italia, ovvero vorrei il No ma non posso
Anche Lega e Fratelli d’Italia sono schierati ufficialmente per il Sì al referendum. Entrambi i partiti d’altronde in Parlamento hanno sempre votato a favore della riforma e sarebbe anche difficile spiegare un eventuale dietrofront sull’argomento anche alla luce della storia dei due movimenti politici, che li vede come partiti anti-sistema. Un argomento come quello del taglio dei parlamentari, inoltre, non può essere lasciato al solo appannaggio del Movimento 5 Stelle: lo sa bene Salvini e lo sa molto bene anche la Meloni, entrambi molto attenti al sentiment degli elettori. Ma c’è un però.
La vittoria del No al referendum potrebbe decretare la fine del governo giallorosso, mentre quella del Sì potrebbe rafforzare l’esecutivo e in particolare il M5S. Motivo per cui se il 21 settembre dovesse registrarsi la sconfitta del Sì, Salvini e Meloni potrebbero dirsi dispiaciuti a parole, ma al tempo stesso stappare una bottiglia di ottimo champagne dietro le quinte. Non è un caso, infatti, che i due leader si siano defilati, evitando di spendersi più di tanto a favore del Sì. Non solo, Giorgia Meloni ha addirittura dichiarato: “Io sono per il Sì, abbiamo sostenuto la legge e penso che il 99% degli italiani, sulla carta, sia favorevole al taglio dei parlamentari. Però l’idea che magari la vittoria del No possa creare un sommovimento nel governo, rischia di avere la meglio”. Della serie: se vince il No, non tagliamo i parlamentari, ma mandiamo Conte a casa. L’altro partito del centrodestra, Forza Italia, invece, non ha fornito dichiarazioni di voto lasciando libertà di scelta ai propri elettori. Ma i suoi principali esponenti, ad eccezione di Mariastella Gelmini e pochi altri, sono quasi tutti per il No. Un altro paradosso dal momento che, secondo tutti i sondaggi, con il taglio di deputati e senatori grazie al Sì al referendum, il centrodestra avrebbe la maggioranza assoluta nel futuro Parlamento.
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