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Hanno ucciso il Reddito di cittadinanza: così la società civile si prepara a difendere una misura di dignità

Immagine di copertina
Credits: Contrasto

Lavorano tutto il giorno. Ricevono un’integrazione al salario perché guadagnano troppo poco. Ma ora il governo li ha esclusi dal sussidio. Così i precari sono pronti a battersi contro lo smantellamento di uno strumento che ha aiutato migliaia di persone a uscire dalla povertà

«Potevo restare con mio marito e non avere problemi, però volevo la mia libertà. Mi sono separata, ho trovato lavoro in un’azienda farmaceutica, ma guadagno 400 euro al mese. Ho deciso di fare domanda per il reddito di cittadinanza. Il fatto che vogliano toglierlo è un peccato per me e per le tante persone che stanno respirando con questo sostegno». Simona ha 52 anni e vive da sola con due figlie 20enni. Sei anni fa ha deciso di lasciare il marito, «un vero salto nel vuoto», perché non aveva abbastanza strumenti per essere autonoma senza l’aiuto del coniuge, che per tutta la vita aveva provveduto alle esigenze economiche della famiglia. Tornata single, con un diploma di scuola superiore e quasi nessuna esperienza lavorativa, non ha trovato un lavoro che le permettesse di mantenere gli standard della vita precedente. Così ha fatto domanda per il reddito di cittadinanza. «A spingermi è stata la fame», racconta a TPI. Dai 400 euro che percepisce per il lavoro di informatrice scientifica all’interno della sua azienda, deve infatti sottrarre ogni mese almeno 150 di spese per le trasferte, per le quali non è previsto rimborso. Poi ci sono i bolli auto, le bollette, la spesa. «Ora con il reddito sto pagando i debiti che avevo accumulato e il condominio con cui avevo un anno di arretrati. E alle mie figlie dovrò pur comprare qualcosa», continua. 

Ma questo sollievo tra sette mesi cesserà. Simona è uno dei circa 800mila percettori di reddito di cittadinanza che, a partire da luglio prossimo, potrebbe dire addio alla tessera gialla con cui almeno 2 milioni di persone sono riuscite ad arrivare alla fine del mese in Italia negli ultimi tre anni. Non ha figli minori o disabili a carico, ha meno di 59 anni ed ha sottoscritto il cosiddetto “patto per il lavoro” che obbliga i beneficiari a intraprendere un percorso di inserimento lavorativo. È considerata cioè “occupabile” secondo i criteri stabiliti dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, che all’interno della legge di Bilancio ha previsto un graduale restringimento della platea di beneficiari della misura bandiera del M5S, fino alla definitiva abolizione del sussidio nel 2024. Gli ultimi emendamenti alla manovra prevedono anche che ai beneficiari non spetti più il sussidio qualora rifiutino la prima offerta di lavoro, a prescindere dalla congruità di essa o dalla vicinanza dal luogo di residenza, e che il contributo decada per gli under 30 che non hanno completato la scuola dell’obbligo. 

In questi mesi, anche se ritenuta “abile al lavoro”, Simona non ha ricevuto chiamate per svolgere colloqui o iniziare corsi di formazione dal centro per l’impiego con cui ha sottoscritto il patto. Ha provveduto da sola a sbarcare il lunario con la sua partita Iva e un lavoro che però, a conti fatti, svolge quasi gratis. «Provate voi a vivere con 800 euro al mese e due figlie grandi con le loro esigenze, mettetevi le scarpe di chi cammina dalla mattina alla sera per portarsi a casa 400 euro e vediamo un po’», vorrebbe dire al governo. 

Un aiuto per i giovani

Anche Giacomo, 30 anni e una laurea in geografia, rientra nei criteri di “occupabilità” definiti dall’esecutivo. Ha fatto domanda per il reddito di cittadinanza due anni fa, quando ha superato il concorso ordinario per la scuola pubblica, in attesa di diventare docente. Ora rischia di perderlo. «Prevedevo che il periodo di entrata a scuola fosse più breve, ma in realtà la tempistica per problemi burocratici è stata lunga, molti di noi non sono riusciti ad accedere all’anno di prova in cattedra, probabilmente da settembre avranno accesso, ma non è detto», spiega a TPI. Ricevere un reddito di cittadinanza di 750 euro al mese gli ha permesso di pagare una stanza da 350 a Roma e di non sentirsi obbligato ad accettare lavoretti in nero, come gli era successo prima che la sua domanda fosse accolta. Una situazione che si riproporrà se nei prossimi sette mesi non troverà un impiego dignitoso. «Si ritornerà come prima a mettersi nel mercato del lavoro tramite soluzioni di mera sopravvivenza più che di pianificazione della carriera, molto legate al contesto universitario in cui uno ha studiato. Qualora tardasse la questione insegnamento si prospetta uno scenario di quel tipo, che prima del reddito era ancora più diffuso di oggi». Si tratta di piccoli impieghi estivi nel settore del turismo o collaborazioni editoriali non riconosciute o pagate poco. Compromessi che nell’ultimo anno e mezzo si è concesso il lusso di rifiutare. Oggi ritiene che la manovra decisa dall’esecutivo di centrodestra per fare cassa (un risparmio di circa 800 milioni di euro per lo Stato), sottraendo il reddito di cittadinanza agli individui ritenuti “occupabili”, sia una «misura brutale», messa in campo senza pianificare soluzioni alternative in grado di preservare l’equilibrio che lo strumento di contrasto alla povertà introdotto nel 2019, pur con tanti limiti, ha garantito. Secondo i dati Istat le misure di sostegno economico erogate nel 2020 hanno evitato a un milione di persone, circa 500mila famiglie, di trovarsi in condizione di povertà assoluta. Non solo: il reddito di cittadinanza ha permesso a migliaia di giovani istruiti ma disoccupati di guardarsi intorno senza affanno e di non trovarsi costretti a entrare in una spirale di precarietà da cui è difficile uscire quando non si hanno risparmi o il sostegno della famiglia per pagare l’affitto e vivere una vita dignitosa. 

In difesa del reddito

Ma Giacomo non si perde d’animo. Insieme ad altri percettori ha deciso di aderire alla costruzione dei “Comitati in difesa del Reddito”, avviati a metà novembre dalle Camere del Lavoro Autonomo e Precario (CLAP), un sindacato che dal 2014 si occupa di lavoro precario attraverso sportelli di assistenza legale e sindacale e l’organizzazione di vertenze e scioperi, e che già prima dell’approvazione della legge da parte del governo giallo-verde è stato attivo nella promozione del reddito di base, guardando alle esperienze portate avanti nel resto d’Europa. Oggi le Clap – insieme ad altre associazioni vicine ai bisogni dei percettori di reddito sul territorio – non solo si battono per difendere la misura, ma hanno in mente di proporre soluzioni per migliorarla, anche sulla base delle osservazioni del Comitato Scientifico sulla valutazione del Reddito di Cittadinanza presieduto dalla professoressa Chiara Saraceno: rendere i requisiti di ingresso meno rigidi, estendere il limite di 10 anni di residenza in Italia per gli stranieri, non legare il beneficio all’accettazione obbligatoria della prima offerta di lavoro e all’Isee del nucleo familiare, guardare al contesto e alla situazione del singolo richiedente per favorire la sua autonomia. 

«Se non si riflette sul fatto che gli occupabili già lavorano e che se integrano il salario con il reddito vuol dire che guadagnano troppo poco, così poco da avere i requisiti per accedere a quella misura, si fa un danno enorme. Per questo leghiamo la nostra battaglia a quella del salario minimo legale», spiega a TPI Tiziano Trobia, coordinatore della Clap. Nell’attività all’interno degli sportelli sindacali, racconta, entra in contatto ogni settimana con persone che non rientrano nella narrazione classica che distingue “persone fragili che non possono lavorare” da “fannulloni che preferiscono stare sul divano”, su cui il governo ha insistito separando chi è occupabile e di conseguenza considerato senza diritto di ricevere un sostegno economico da chi invece può continuare a essere aiutato dallo Stato. «Il reddito di cittadinanza non è arrivato solo ai poveri, ma anche a diverse studentesse o studenti che hanno avuto la possibilità di concentrarsi sul percorso anche svolgendo un lavoretto, ma continuando a campare e studiare. È arrivato a tantissime persone che fanno part time involontari, che hanno contratti di 5 ore e ne lavorano quaranta», continua.

Le liste di percettori

Persone che fanno parte di un mercato del lavoro distante dalle maglie tradizionali della rappresentanza, che non rientrano nei contratti collettivi nazionali, che lavorano in grigio o in nero e compongono un sottobosco di invisibili, che hanno difficoltà a riconoscersi ed emergere proprio per lo stigma che pende sui percettori di reddito di cittadinanza, interiorizzato negli anni di propaganda contro la misura. Precari che non sono riusciti a indirizzare il malcontento verso i vertici politici perché non hanno una voce comune, dopo anni in cui si è cercato il responsabile della propria condizione nel simile che sottrae risorse e possibilità piuttosto che negli organismi che prendono decisioni dall’alto. «Sono persone che già lavorano e prendono il reddito, e a loro non si può dire “andate a lavorare”», continua Tiziano. Tutte loro dovrebbero rientrare nelle liste di percettori che le Clap pianificano di compilare nei prossimi mesi proprio con l’intento di mettere insieme beneficiari, richiedenti o persone che contavano sul reddito di cittadinanza per sopravvivere in futuro.

«Quella degli occupabili è una platea dove le problematiche spesso sono un po’ più complicate del solo lavoro. Prima di accedere ai corsi di formazione sono necessari altri passaggi, di un sostegno che riguarda la casa o difficoltà sociali di altro tipo. C’è una tensione generata da altri problemi», spiega a TPI Marco Filippetti, sindacalista di Clap che lavora per un’agenzia tecnica del ministero del Lavoro all’interno dei centri per l’impiego. Da quando il reddito di cittadinanza è stato varato nel 2019, osserva, c’è stato un investimento per rafforzare il sistema pubblico dei servizi. «Come operatori abbiamo visto che, anche se la misura non ha funzionato in termini di incontro tra domanda e offerta, ha garantito a molte persone che non avevano mai avuto contatto con una struttura pubblica di avvicinarsi ai servizi. Gli ultimi assunti nella Regione Lazio sono professionisti che hanno reso i centri per l’impiego un punto di accesso al servizio pubblico». Il rischio è che con lo smantellamento dell’impianto che la legge varata dal primo governo Conte ha cercato di mettere in piedi molti beneficiari tornino a essere esclusi dall’accesso ai servizi. «Una parte di platea sarà allontanata, isolata e senza un punto di riferimento. Migliaia di persone che in questi anni hanno visto come si cerca un corso di formazione o ci si prepara a un colloquio torneranno a isolarsi», osserva.

L’appello ai politici

Fa parte delle associazioni che hanno aderito ai comitati di difesa del reddito di cittadinanza anche Nonna Roma, il banco di mutuo soccorso che dal 2017 organizza distribuzioni di pacchi alimentari gratuiti in diverse zone di Roma e che sopperisce ai bisogni alimentari di 2.500 famiglie in tutta la capitale: si tratta di circa 9mila persone che ricevono un pacco alimentare ogni settimana, e che spesso usufruiscono della rete di mutualismo solidale anche per accedere ad altri servizi di base, dallo sportello legale all’assistenza per l’inclusione lavorativa. Una rete che allargherà le sue maglie in vista del 2024, quando il reddito di cittadinanza dovrebbe essere definitivamente sostituito da un sistema alternativo di sostegno ai fragili “inoccupabili”, di cui però il governo non ha ancora annunciato i dettagli. «Continueremo a rafforzare il nostro sostegno alle famiglie nel momento in cui il reddito di cittadinanza sarà solo un ricordo», dichiara a TPI il presidente dell’associazione Alberto Campailla, che ha organizzato – nella settimana in cui l’esecutivo ha disegnato la manovra di bilancio – tre giorni di riflessione insieme ad Arci e alle altre realtà che si preparano a dare battaglia, invitando anche le forze politiche del campo progressista. «In questa mobilitazione in difesa del reddito chiediamo che i partiti di opposizione che dicono di essere contrari alla cancellazione della misura siano con noi a sostenere i milioni di percettori che rischiano di tornare a vivere sotto la soglia di povertà. La nostra azione, essenziale per molte famiglie, non può essere risolutiva. Se pensassimo di sostituire lo Stato non ci appelleremmo alla politica», conclude. 

Arci Sparwasser, Roma. Iniziativa contro l’emergenza freddo “Qui c’è posto”, organizzata nel 2021 insieme a Nonna Roma. Credits: AGF

Tra i beneficiari di Nonna Roma che percepiscono il reddito di cittadinanza c’è anche Sia, 27 anni, di origini magrebine e con la cittadinanza italiana. Grazie ai 600 euro che riceve ogni mese riesce ad acquistare i medicinali per il padre, che soffre del morbo Parkinson, a badare alla madre e a provvedere alla manutenzione dell’alloggio popolare in cui ha iniziato ad abitare dopo essere stata sgomberata da un palazzo occupato. Per assistere la famiglia ha rinunciato ai suoi sogni: finire l’università, partire per Londra. Da quando ha sottoscritto il “patto per il lavoro”, pur essendosi presentata a ogni appuntamento nel centro per l’impiego, non ha ricevuto proposte di colloqui o formazione. Intanto continua a recarsi all’emporio di Nonna Roma, a cui si affida da sempre per avere assistenza e soccorso. «Se toglieranno il reddito di cittadinanza con cui in questi mesi ho potuto fare la spesa anche con i prezzi così alti, so che continueranno ad aiutarmi. Per qualsiasi cosa mi rivolgo a loro», confida a TPI. Ma sarà solo un quietivo. 

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